A quaranta giorni dalle elezioni i partiti e le coalizioni sono impegnati nella formazione delle liste e nella predisposizione dei programmi. La sceneggiatura è simile per il centrodestra e per il centrosinistra. Per adesso l’unica cosa certa è che i candidati a presidente sono, per adesso, cinque. Tra questi spiccano quattro donne. Tra queste ha fatto notizia la candidatura dell’onorevole Binetti per l’UDC di Casini. Appena uscita dal Partito Democratico, l’onorevole teodem sceglie di candidarsi nella nostra regione quale presidente. Qualche osservazione.
In Umbria siamo da tempo abituati ad eleggere in parlamento personale politico transumante che sceglie il collegio sicuro dell’Umbria ex rossa. Visto che la terra d’origine non garantisce l’elezione, si concorda con gli oligarchi romani e si transuma nelle liste umbre. In genere il transumante una volta eletto scompare come la neve al sole e l’Umbria torna ad essere, per l’eletto, soltanto una metà gastronomica e/o turistica.
Specialmente il centrosinistra ci ha abituati a opzioni innovative nella scelta dei candidati. A volte hanno anche esagerato, come quando hanno imposto ai bolognesi la candidatura di Cofferati a Sindaco della città rossa per eccellenza. L’esperienza non andò benissimo e una sola legislatura fu sufficiente per i bolognesi per cambiare. Ed anche se il successivo sindaco ha fatto la fine che ha fatto, a Bologna nessuno rimpiange la sindacatura dell’ex leader della CGIL. Felicemente approdato a Strasburgo come parlamentare europeo, si sta occupando dei nostri destini.
Pur senza metter limiti alla divina provvidenza, difficile ipotizzare l’onorevole Binetti vincitrice nella gara per la presidenza della regione umbra. E’ ipotizzabile una sua elezione in consiglio regionale. Se non ricordo male, esiste un’incompatibilità tra seggio parlamentare e quello regionale. Non si può essere in contemporanea parlamentare e consigliere regionale, le norme lo proibiscono. Delle due, una: la candidatura a presidente della Binetti va intesa come richiamo elettorale che, poi, opterà per rimanere a Roma in parlamento o la Binetti intende rinunciare allo scranno parlamentare per entrare a Palazzo Cesaroni? Sarebbe carino se gli elettori fossero messi in condizione di capire gli intendimenti della teodem. Non dire la verità sarebbe un peccato non so se veniale o mortale.
La proposta di utilizzare il listino per promuovere giovani speranze e nuove competenze nell’amministrazione regionale non ha avuto grande spazio nei partiti. Meglio stare sul sicuro, si sono detti, e accontentare i soliti noti. D’altra parte l’assemblea regionale è diventata un luogo di rappresentanza dei territori, pochi i poteri amministrativi: un luogo per facitori di mozioni e interpellanze più che di legislatori. Il potere è tutto concentrato nella presidenza e sugli apparati burocratici.
Gli stessi assessori hanno poco spazio. Non essendo espressione dell’elettorato o del consiglio dovrebbero dimostrare un’autonomia nell’esercizio della delega presidenziale che non è semplice da realizzare in carenza di una visione complessiva dei problemi da mettere a soluzione in Umbria.
Probabilmente tra poco tempo avremo in mano i programmi dei candidati e delle coalizioni. Sarà interessante vedere se il ceto amministrativo riuscirà a rendere semplice una lettura delle contraddizioni della nostra terra o meglio, se la classe dirigente conosce la realtà che vuole amministrare. Esistono studi e ricerche di diverse fonti che dimostrano quanto sia diventata delicata la situazione economico-sociale della nostra terra.
L’ultimo studio è quello presentato dalla Confindustria Umbra e realizzato sotto la direzione del professor Cavazzoni del dipartimento di Discipline giuridiche e aziendali dell’Università di Perugia.
Lo studio dimostra che il prodotto interno lordo regionale è costituito, nel periodo 2000-2007, da un 67% di spesa pubblica. Un dato superiore del 5% della media nazionale. L’intervento pubblico ha come matrice per il 68% soggetti riconducibili allo Stato centrale. Per avere un senso i programmi elettorali delle coalizioni devono partire da questo elemento.
Possibilmente evitando letture propagandistiche che, in una fase come l’attuale, non servono nemmeno a prendere più voti. Se l’incidenza della spesa pubblica centrale e locale è così elevata bisogna chiedersi dove e come incidere per rendere queste risorse più efficaci nel contrastare la crisi e quali politiche sono necessarie a sollecitare l’investimento privato. Si può leggere il dato della spesa pubblica semplicemente come il risultato di una rete di servizi al cittadino eccellente o come l’estendersi della mano pubblica a costruzione di un sistema di potere costoso ed inefficace. L’una e l’altra tesi sono mezze verità . In realtà anche se è innegabile che la tenuta sociale dell’Umbria sia dovuta anche a servizi pubblici migliori di tante altre parti del Paese, la crisi tende ad indebolire questi servizi e a ridimensionare la qualità dell’offerta pubblica. Ed è’ altrettanto certo che le difficoltà nel rendere più efficiente la struttura pubblica nascono da una miriade di situazioni in cui la struttura pubblica è poco trasparente ed efficace per la resistenza di posizioni di conservazione di situazioni dovute al timore di perdere consensi elettorali. La telenovela del superamento della frantumazione amministrativa dura da decenni senza che concretamente si siano ottenuti risultati apprezzabili. La spesa per l’innovazione nella pubblica amministrazione è ininfluente per la crescita di un terziario adeguato e le poche esperienze private nel settore non devono rispondere ad alcuna domanda pubblica. Gli esperti sostengono che se la pubblica amministrazione pagasse i fornitori in tempi ragionevoli, ci sarebbe meno consumo di psicofarmaci, ne guadagnerebbe la salute di tanti piccoli imprenditori e il sistema sanitario risparmierebbe.