La Costituzione repubblicana all’art 49 così recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Nei primi decenni del dopoguerra i partiti rappresentarono il luogo in cui si insegnavano la democrazia, l’educazione civica e si formavano le classi dirigenti politiche e sociali del Paese. Funzionavano, i partiti, con un metodo democratico incentrato nello svolgimento di congressi che avevano cadenza in genere non annuale ma fissate da statuti che rispondevano al criterio della democraticità . La selezione della dirigenza avveniva tenendo conto delle diverse sensibilità e qualità della rappresentanza. L’Italia è stata governata per oltre quaranta anni dalla democrazia cristiana che riusciva, di volta in volta a costruire alleanze con altri partiti moderati e per una lunga stagione, con il partito socialista. Il PCI pur rappresentando quasi un terzo del corpo elettorale, espresse ministri soltanto dal 1946 al 1948. Gli addetti alla politica, in genere, non avevano condizioni di vita entusiasmanti e il funzionario di partito o l’amministratore locale poteva far conto su stipendi mediocri.
Ad esempio, nel PCI la regola era che un dirigente non potesse avere un trattamento economico superiore a quello di un metalmeccanico di quinta categoria e l’amministratore poteva contare soltanto sul mantenimento del reddito che aveva prima di essere eletto in qualche carica. Prevalente era il lavoro volontario non retribuito. Il far parte di un organismo di direzione politica provocava tensioni e amarezze, ma difficilmente ti cambiava la vita.
L’auto candidatura a qualche incarico non era affatto apprezzata e in genere comportava l’emarginazione di chi sbracciava troppo per ottenere un posto di comando o di rappresentanza.
La modernità per molti Paesi ha significato spesso l’affinamento del sistema politico, per l’Italia la costruzione di un ceto politico inossidabile e l’esplodere degli addetti alla politica.
E si capisce perchè. Oggi un qualsiasi incarico nella pubblica amministrazione può comportare, non per tutti ovviamente, un mutamento della condizione sociale e un lavoro non certo stressante. La vita democratica nelle formazioni politiche si esaurisce in qualche riunione per la scelta del candidato ad un incarico e le defaticanti riunioni nelle sperdute sezioni di partito per discutere di politica fanno ormai parte della storia.
Una storia sepolta nell’oblio delle attuali classi dirigenti.
Oggi il sistema politico italiano è costituito dal prevalere dei partiti personali. Forza Italia non ha mai svolto un congresso ma molte convention per osannare Berlusconi. Non è soltanto Mastella ad avere un partito personale. Anche Di Pietro ha fatto il suo.
Il PD sposta la data del congresso di mese in mese. Soltanto il PRC ha svolto recentemente un congresso con risultati non entusiasmanti visto che si prefigura una nuova scissione a sinistra e il movimento della Sinistra Democratica non sembra in grado di costituire quel collante ad una ricomposizione di qualcosa di vivo a sinistra del PD.
La Lega pur essendo un partito articolato e intrecciato con il territorio, ha un leader capace di decidere in perfetta solitudine le scelte del partito. Non sono previste grandi discussioni rispetto ai voleri di Bossi. Alleanza Nazionale mantiene ancora una struttura organizzata ma non ha un segretario. Lo coordina un Ministro della Repubblica in attesa della fusione nel Partito di Berlusconi. Ci sono altri partiti quello di Lombardo o Rotondi ma sono semplici appendici del centrodestra. L’UDC di Casini sembra voler mantenere i caratteri di un partito che discute anche di politica e non solo di organigrammi, ma le forze sono esigue.
Un sistema politico imballato che non riesce a dare le risposte utili al Paese. E’ questa la peculiarità italiana. In Germania, in Francia o in Gran Bretagna si cerca di affrontare il crack economico con determinazione scegliendo di innovare l’intervento pubblico. In Italia si opera con la carta di povertà elegantemente chiamata social card. In inglese è più glamour.
Anche la brillante Marcegaglia, presidente di Confindustria, ritiene insufficienti gli interventi del governo per contrastare la crisi, ma il governo tira dritto e impone l’ennesimo voto di fiducia ad un Parlamento ormai ridotto a cassa di risonanza delle volontà di Tremonti e Berlusconi. Perchè il Parlamento ha perso di ruolo? Le ragioni sono molte e la colpa non è soltanto del cesarismo imperante a destra e a manca.
A Roma non ci sono parlamentari eletti dal popolo che rispondono soltanto all’interesse del Paese. Come è noto i nostri legislatori sono tutti stati nominati dalle oligarchie che guidano partiti e movimenti politici. Così la Camera e il Senato sono pieni di ex portaborse, di mogli, cugini, amanti e segretari, ex veline e altri protagonisti del circo mediatico che tutto vogliono meno che disturbare coloro che li hanno miracolati nelle elezioni di aprile. Che Berlusconi pretenda di nominare anche i parlamentari europei rientra nel rapporto che il Capo ha con la democrazia. Indigna molti il fatto che una parte del PD sia in trattativa con il centrodestra per modificare la legge anche per le elezioni europee. I partiti non possono espropriare i cittadini del loro diritto di scegliere i propri rappresentanti. E’ anti costituzionale e sarebbe un altro motivo di disprezzo per i comportamenti di un ceto politico che già non brilla per gli apprezzamenti delle masse. La semplificazione del sistema politico passa per la costruzione di partiti che sono regolati da forme di democrazia trasparente e non da signorie o imperatori che scelgono di nominare il proprio scudiero o cavallo a senatore. Ridare un senso alla parola democrazia dovrebbe essere compito primario per ogni politica riformista e di discontinuità . Magari recuperando anche quegli antichi valori che unirono insieme i costituenti