Carta che vince, carta che perde, gridava l’imbonitore di turno nelle fiere di un tempo. Oltre alle novità della tecnologia di allora nei mercati c’era sempre un tavolo per fare il gioco delle tre carte. L’impressione è che la famosa lettera di Berlusconi a Bruxelles sia sostanzialmente espressione del gioco di cui sopra. La cosa grave è che la burocrazia europea non poteva che giocare anch’essa e valutare positivamente quanto il governo italiano proponeva per affrontare la crisi finanziaria dell’Europa. Respingerla avrebbe significato l’aggravamento del marasma italiano che, ormai è evidente, costituisce una delle cause della crisi europea e mondiale. Nell’home page del New York Times di ieri è riportata una dichiarazione di James B. Stewart (premio Pulitzer), questa: “Questa settimana mi è apparso definitivamente chiaro che l’ammontare del mio assegno pensionistico può dipendere da Silvio Berlusconi”. Il giornalista economico vuol dire che se l’Italia dei berluscones affosserà l’Euro, anche per il resto del mondo le cose si aggraverebbero. Meglio non riportare i commenti dei lettori americani all’articolo di Stewart. Il Made in Italy in politica sembra non essere molto apprezzato negli Stati Uniti.
Dopo l’accordo dei governi europei sembrava che la svolta positiva si fosse prodotta. Invece è durata solo un giorno l’euforia delle borse. Chiudiamo la settimana con un altro venerdì nero: i titoli bancari e industriali vanno sotto e i BTP decennali italiani sono venduti assicurando interessi che superano il 6%. Ciò comporta un secco aggravamento del debito pubblico e conferma la scarsa fiducia dei mercati nella capacità del nostro Paese di affrontare la crisi. Si tratta soltanto di speculazione o vi sono dati oggettivi che dimostrano l’incapacità delle classi dirigenti italiane ad affrontare i problemi posti dal disastro provocato dal neoliberismo? Come sono ridotti i luoghi in cui devono essere prese le decisioni? Il governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti è in grado di portare avanti i provvedimenti necessari a soddisfare i vincoli posti dalla Comunità ? Non ci crede nessuno nè in Italia nè in Europa. Angela Merkel si affida a Napolitano, ma il Presidente non ha poteri di governo e non può che sollecitare il Capo a fare meno disastri possibili. Il Parlamento? Mentre in Germania, mercoledì, il parlamento discuteva e dava mandato alla Merkel su cosa doveva dire e fare a Bruxelles al summit dei leader di Governo, in Italia il Parlamento vedeva la rissa dei leghisti contro il Presidente della Camera. Berlusconi andava a Bruxelles in attesa che Letta completasse la lettera d’impegno da presentare alla Comunità il cui contenuto era completamente ignorato dal Parlamento.
In questa legislatura sono soltanto quarantadue le leggi d’iniziativa parlamentare approvate. L’impegno prevalente dei “nominati” è stata quello di partecipare ai voti di fiducia o nella discussione di mozioni o atti d’indirizzo. Sostanzialmente nelle 535 sedute l’assemblea legislativa è apparsa come un litigioso Dopolavoro e, troppo spesso, un Bar dello Sport di provincia. Il Parlamento non ha svolto il ruolo che la Costituzione gli assegna: quello di organo di legislazione e controllo dell’attività di governo. E’ stato invece commissariato dal governo stesso. Con un Parlamento così ridotto è la qualità della democrazia che s’impoverisce. Non sono solo i privilegi dei “nominati” a scandalizzare. Ciò che diviene sempre più insopportabile e l’inefficacia del lavoro delle assemblee legislative. In un momento di profonda preoccupazione di gran parte del popolo ci sarebbe bisogno di una democrazia capace di ascoltare e di decidere nell’interesse generale e non piegata per difendere l’interesse di pochi. Una preoccupazione più che legittima considerando che, nelle intenzioni del governo, non c’è alcun progetto che affronti il problema della crescita e nessuna idea su come assicurare un futuro agli ormai milioni di giovani senza lavoro o in occupazione precaria. Non si capisce secondo quale teoria un Paese che ha il maggior numero di contratti atipici e con ridotte possibilità di lavoro a tempo indeterminato, lo sviluppo sarebbe assicurato se si rendono ancor più facili i licenziamenti. Ormai sono trenta anni che prevale l’ideologia liberista per cui il “mercato” libero da vincoli risolve da solo i problemi dell’economia. Questa ideologia ha portato al disastro economico e sociale che stiamo vivendo eppure le classi dirigenti non vogliono modificare la loro dottrina. Lo dicono grandi economisti, lo sostengono ormai anche tutte le forze sociali: senza crescita della domanda non si evita la recessione. Come aumentare la domanda se i salari e gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa? E in mancanza d’investimenti pubblici dove troveranno lavoro le imprese piccole e grandi? Dove trovare le risorse per una politica antirecessione? In questi anni la ricchezza nazionale è stata suddivisa, non solo in Italia, a vantaggio di una parte sempre più ridotta di cittadini. Forse è venuto il tempo di produrre una svolta che faccia pagare la crisi anche a coloro che si sono arricchiti di là del legittimo. Nella missiva di Berlusconi non c’è una riga che riguardi questa esigenza. Si capisce perchè. Con la scusa dell’ideologia liberista, il Capo vuole evitare di essere chiamato anche Lui a pagare qualche cosa nell’interesse del Paese. Banale, non vuole che si mettano le mani nelle sue tasche. Così si continuerà a far pagare ai soliti. La pressione fiscale italiana ha raggiunto le massime vette europee, i servizi al cittadino si vanno abbassando a livelli insopportabili, la ricchezza come l’evasione fiscale rimarranno intoccabili anche in futuro. Se indignarsi è obbligatorio, ribellarsi diviene sempre più giusto. Democraticamente s’intende.