Il nostro è un Paese noto nel mondo non solo per i suoi poeti, santi e navigatori. Anche i grandi pensatori politici italiani hanno fatto e fanno scuola nelle università di tanti Paesi. Per molti decenni la storia politica e le elaborazioni politiche dei partiti italiani hanno costituito punto di riferimento in tante parti del globo. La nostra Carta Costituzionale è ancor oggi considerata tra le più moderne ed efficaci tra quelle dei Paesi democratici. La nostra “scuola” di filosofia politica continua a produrre intelligenze ed ottimi studi. Studi che però non hanno alcuna incidenza concreta nel dibattito politico. Purtroppo la tradizione e la scienza politica che si produce nelle nostre università non sono servite a generare un ceto politico capace di gestire le contraddizioni di un mondo globalizzato. Si legge poco, si studia meno. Si naviga a vista. Anche leader politici di indubbia cultura politica (e ce ne sono) preferiscono seguire la moda della dichiarazione ad ogni costo. Si improvvisa ogni giorno con il solo scopo di apparire nei giornali o in TV.
Ciò che ormai prevale è un provincialismo che costringe i vari leader della sinistra e del centrosinistra in genere, a seguire modelli istituzionali vigenti in altri paesi. Chi vuole il presidenzialismo all’americana, chi il semipresidenzialismo alla francese, chi il modello tedesco. Berlusconi continua a giocare e ogni volta che sembra raggiunto un qualche accordo di riforma del sistema elettorale, cambia idea e chiede le dimissioni di Prodi. Una parte dei costruttori del PD, supportati dalla “libera” stampa e dalle sparate di Montezemolo hanno in mente la filosofia politica del blairismo: scalzare la destra attraverso l’incorporazione dell’ideologia della destra. E’ noto che Tony Blair è stato al potere per tanti anni applicando le ricette della signora Margaret Thatcher. Svuotamento del ruolo delle Trade Unions, privatizzazioni, mercato come esclusivo vincolo. Il risultato è un Paese, la Gran Bretagna, che ha il record europeo per la forbice tra la ricchezza di pochi e la povertà di molti. Le leggendarie ferrovie inglesi dell’ottocento e del novecento, sono diventate una catastrofe costosissima. Il sistema sanitario britannico, fiore all’occhiello per tanti decenni, garantisce servizi di gran lunga inferiori a quelli che si hanno nel nostro Paese. Uscito Blair di scena, il New Labour è passato dal 25% delle intenzioni di voto al 40%. La fine del caro Tony è stata considerata una liberazione dal popolo, hanno scritto i giornali inglesi.
I nostri vorrebbero riprodurre il blairismo in Italia correggendolo magari con Sarkozy, nuovo idolo di una parte dei riformisti nostrani.
Che il sistema politico italiano sia da riformare è un’ovvietà come denunciare il caldo di agosto. Annichilisce l’incapacità del ceto politico di trovare la strada per uscire dal pantano istituzionale costruito in questi ultimi quindici anni senza voler riprodurre in Italia politiche che hanno fatto fallimento anche all’estero.
In questo quadro producono brividi le divisioni che si vanno delineando nel processo di formazione del Partito Democratico. La campagna incessante contro la così detta sinistra radicale ha assunto livelli preoccupanti per il grado di falsificazione dei problemi pari soltanto alla volontà rutelliana di indebolire il governo Prodi. Ipotizzare, come fa Rutelli, nuove alleanze a quattro anni dalla scadenza della legislatura non può che aprire la strada ad un governo che vede insieme Forza Italia e i riformisti puri e duri. Tanti auguri.
Definire il sindacato (specificamente la CGIL) come un covo di conservatori non può che favorire un ulteriore indebolimento del popolo dell’Unione. Immaginare la lotta alla precarietà del lavoro senza l’impegno dei sindacati è una follia.
La sinistra si è storicamente sempre drammaticamente divisa. Le leggendarie dispute tra massimalisti e riformisti, tra comunisti e socialisti avvenivano in genere sulle grandi questioni del mondo: aderire alla guerra o sabotarla, democrazia dal basso o partito graniticamente al comando. Riformare o lottare contro le forme della produzione capitalistica. Favorire la libertà individuale o privilegiare le libertà collettive. E così a discutere e dividersi. Una storia tragica che ha segnato tutto il secolo scorso e che nel bene e nel male ha costituito il motore dello sviluppo della democrazia non solo in occidente.
Oggi ci si divide sui “lavavetri”. Tolleranza zero il nuovo slogan. Bella novità . Perchè il Ministro Amato non si dedica qualche ora di studio al rapporto dell’associazione per i diritti umani Human Rights Watch? E’ uno studioso il Ministro e forse capirebbe che la New York del dopo sceriffo Giuliani non è così sicura come Egli pensa. Nella mia formazione politica la questione della legalità è stata sempre decisiva. Le leggi vanno rispettate al di là delle convenienze personali. Ciò non mi ha mai impedito di stare dalla parte dei più deboli. Presentare la questione dei lavavetri come una questione di sicurezza dei cittadini è una fesseria. In un estate in cui è bruciata mezza italia, in cui intere zone sono sotto il giogo del malaffare, mettere in prigione quattro poveracci in nome della sicurezza mi sembra buffo.
Ciò non significa sottovalutare il disagio che producono certi aspetti della povertà e del degrado della condizione umana. Significa operare per dare alla legalità e alla sicurezza un terreno che non faccia scomparire la solidarietà . Il sindaco Locchi ha ragione quando afferma che la democrazia italiana non ha bisogno di spot elettorali alla fiorentina. Aggiungo che gli sceriffi di destra o di sinistra non sono un grande spettacolo.
Del resto Wyatt Earp, lo sceriffo della sfida all’OK Corral era nemico dei cattivi. Lui era per i più deboli.