Nel passato, non tanto remoto, uno sciopero generale indetto dalle
confederazioni sindacali poteva provocare la crisi dell’esecutivo
se l’oggetto dello sciopero era la politica del governo. Nell’era
del berlusconismo di scioperi generali ve ne sono stati sei, e
tutte le manifestazioni erano contro l’azione del gabinetto
guidato da Berlusconi. Il 41% della forza lavoro non ha avuto
rinnovato il proprio contratto di lavoro, la finanziaria per il
2006 taglia agli enti locali sostanziali trasferimenti per i
servizi sociali, la sanità pubblica rischia alla grande in
mancanza di risorse certe. In Umbria mancheranno circa 100 milioni
di euro soltanto per la sanità . A voglia mettere ticket assessore
Riommi!
Uno sciopero pieno di contenuti non generici, quindi. Nonostante
questo: noi tireremo dritto, fa capire Berlusconi. I motivi dello
sciopero non sembrano interessare il cavaliere. Impegnato nella
campagna elettorale Berlusconi parla d’altro. L’argomentare del
Nostro è ricco di creatività e di humour. L’ultima facezia è
questa: “Se vincono i comunisti non riusciremo più a vendere il
nostro vino e la nostra moda in Usa, tutto il Made in Italy
entrerà in crisi”. Si potrebbe osservare che nei quattro anni e
mezzo del governo Berlusconi-Bossi-Fini le esportazioni italiane
sono tracollate e i fasti del Made in Italy sono soltanto un
lontano ricordo. Che dire poi dei “comunisti”? Ve lo immaginate
Fassino che lotta per il comunismo? Il segretario diessino è
impegnatissimo, come un pioniere americano, nella lotta per la
costruzione del partito democratico e, poi il segretario, avendo
una formazione cattolica con i Padri Gesuiti aborrisce certamente
le teorie del Moro di Treviri. Lo stesso onorevole Cossutta,
verificato che il comunismo non c’è più, è disponibile a
rinunciare alla falce e martello per fare una lista elettorale con
Pecoraro Scanio. Bertinotti ha i suoi problemi con Dio e con la
religione e trova complicato rispondere alla domanda del perchè si
dichiara ancora comunista.
Parlare di pericolo comunista in Italia sembrerebbe quindi
esagerato, eppure l’asse della propaganda berlusconiana è proprio
incentrato su questo. Perchè? La speranza di vittoria alle
prossime elezioni politiche per il centrodestra, è riuscire ad
imporre una campagna tutta ideologica che prescinde dai problemi
reali.
Non va sottovalutata affatto la scelta berlusconiana. Il suo amico
G.W.Bush ha vinto in America proprio perchè è riuscito a spostare
l’attenzione dell’elettorato dalle questioni materiali (guerra,
crisi economica, impoverimento della gente, servizi sociali allo
sfascio) a problematiche morali e religiose sotto la bandiera
della lotta al terrorismo.
La truffaldina legge elettorale (il toscanellum) può riservare
sorprese e in ogni caso non assicura la certezza della vittoria.
Impedire una campagna elettorale che parli delle cose fatte dai
pessimi governi di centrodestra: è questo l’obbiettivo. Così si
riapre il capitolo della legge sull’aborto, si rispolvera lo
spettro del comunismo e da qui ad aprile ne sentiremo delle belle.
Che il Paese continui il suo lento declino interessa poco.
L’importante è il mantenimento del potere. Conservazione del
potere che è stata fino ad ora molto redditizia per il Boss di
Arcore.
Anche un esame sommario dei bilanci delle società di proprietà
della famiglia Berlusconi dimostra che il capo di Forza Italia non
ha lavorato gratis come sostiene, per tutti noi.
I problemi sollevati dallo sciopero di venerdì non interessano
soltanto il centrodestra. Prodi e l’Unione, se vincono le
elezioni, non avranno vita facile ed è impensabile che si agisca
come se il berlusconismo sia da mettere tra parentesi per
riprendere il percorso del primo governo di centrosinistra. Con la
stessa filosofia e con le stesse soluzioni non si va da nessuna
parte. Berlusconi vinse nel 2001 anche perchè i governi Prodi,
D’Alema e Amato non riuscirono a governare bene.
Ad esempio, le politiche del lavoro di quegli anni furono
sbagliate. Perchè? L’Italia è tra i Paesi europei a più basso
tasso di disoccupazione eppure la quota del monte salari sul
prodotto interno lordo continua a diminuire. Che vuol significare
questo dato?
Semplicemente i posti di lavoro che si creano continuano ad essere
precari e pessimamente retribuiti. Non si è realizzata una
flessibilità del lavoro si è invece essenzialmente indebolita ogni
capacità contrattuale per il singolo lavoratore e ciò non ha fatto
alcun bene alla crescita delle aziende se è vero che in questi
anni è continuato il processo di deindustrializzazione del Paese
senza che sia cresciuto in maniera significativa un terziario
avanzato degno di questo nome.
In Umbria, nel nostro piccolo, non è che le cose siano andate
diversamente. Il nostro tasso di disoccupazione è forse al minimo
storico, ma il monte salari e stipendi non ha migliorato affatto
la sua incidenza sul PIL regionale. Sarebbe utile uno studio al
riguardo, l’impressione è che la precarietà del posto del lavoro
domina nella nuova occupazione. Lo stesso tessuto produttivo
continua ad indebolirsi nel settore industriale e le imprese del
terziario avanzato stentano a crescere. Si conferma uno sviluppo a
macchia di leopardo con isole di eccellenza, ma con significative
crisi imprenditoriali in molte aree della regione. La parola
d’ordine, più volte enfatizzata, dell’innovazione non si sostanzia
con scelte concrete della pubblica amministrazione. E’ assente
ingiustificata la domanda pubblica per processi di innovazione
tecnologica. E se il pubblico non si ammoderna difficile far
crescere imprese nel campo dell’informatica e delle tecnologie
della comunicazione.
Corriere dell’Umbria 27 novembre 2005