Molta confusione sotto il cielo e quindi la situazione è eccellente, usava dire Mao Tse-Tung.
Il Grande Timoniere non poteva prevedere l’Italia degli anni 2000 altrimenti avrebbe trasformato lo slogan.
Nel bel paese la confusione è grande, ma la situazione non è affatto eccellente. Non lo è innanzitutto perchè la crisi del sistema politico si trascina da così tanti anni da aver provocato lo scollamento tra le priorità della classe dirigente politica e quelle della società che dovrebbe governare. Cosa grave in sè, ma che diventa drammatica in presenza di una crisi economica che sta ridimensionando profondamente la qualità della vita di milioni di persone. Nei palazzi del potere si parla d’altro, sembrano essere altre le priorità della classe dirigente. Riformare, riformar bisogna. Cosa riformare non è proprio chiaro.
Riforme e riformismo sono le parole magiche usate da quasi tutti i dirigenti politici. Sono tutti riformisti e quindi tutti vogliono riformare. Mentre è chiarissimo ciò che vogliono i riformisti in Iran, per capire ciò che vogliono i riformisti in Italia si fa molta più fatica. Ad esempio, una parte della destra berlusconiana vuole modificare gli equilibri tra i poteri costituzionali per costruire una repubblica presidenziale.
Uno schema semplice in cui potere legislativo e potere giudiziario siano subalterni ai voleri del presidente eletto dal popolo. Una situazione inesistente nelle democrazie occidentali che ricorda piuttosto le repubbliche sudamericane del lontano passato, ma la cosa non sembra preoccupare. Nonostante che, soltanto tre anni fa, il popolo abbia respinto nettamente in un referendum le modifiche costituzionali proposte dal governo Berlusconi dell’epoca, la destra insiste. Tutto il potere al premier, senza pesi ne contrappesi. Questo vuole una parte consistente della destra. Il debordante Ministro Brunetta va oltre: bisogna metter mano anche sulla prima parte della Costituzione non soltanto sulla seconda. Un vero riformista l’ex socialista. I berluscones hanno idee precise. E il centrosinistra cosa vuole riformare? Come su tante cose il Pd non ha le idee chiarissime. Anche se rimane difficile immaginare un accordo con questa destra sullo schema istituzionale suddetto, quindici anni di legislazione creativa del centro sinistra sulle questioni istituzionali, non tranquillizza. I disastri prodotti nel funzionamento della democrazia italiana dall’assillo della governabilità sono innumerevoli. Il presidenzialismo rampante non è figlio soltanto di Berlusconi. Il cesarismo ha avuto molti padri e molte madri.
La confusione regna alla grande sia nel centrodestra che nel centrosinistra nella preparazione delle candidature per le prossime elezioni regionali. Sta messo peggio il centrosinistra anche perchè non essendoci un padre-padrone come Berlusconi che alla fine decide tutto lui, è difficile mettere insieme le diverse anime della coalizione. Come succede spesso la presidente del partito, Rosy Bindi è la dirigente che parla e si fa capire. Rispetto ai metodi di scelta dei candidati a presidente e sul rapporto con Casini la presidente, in un intervista alla Stampa, sostiene: Tra noi c’è stato un dibattito su come scegliere il segretario del partito, se con le primarie oppure no: ma non ci sono mai stati dubbi sul fatto che avremmo fatto elezioni primarie – e primarie di coalizione – per scegliere i nostri candidati alle cariche monocratiche. Questi sono due punti fermi del congresso. E io penso che la capacità di Bersani e del gruppo dirigente, cioè di tutti noi, debba essere appunto quella di tenere insieme queste due scelte”¦. Non c’è altra strada. Casini è alleato fondamentale in questa fase, ma noi non possiamo permetterci di rompere con tutta la sinistra. E credo che nemmeno all’Udc convenga allearsi con noi per perdere.
Come si fa a non essere d’accordo? Che lavorare all’allargamento del centrosinistra sia necessario per battere la destra è cosa giusta. Quello che ritengo una sciocchezza è ampliare a Casini e perdere quello che rimane della sinistra. Anche dal punto di vista dei voti prendere il 5% dell’UDC, se si prende, e perdere il 6/7% di quello che rimane della sinistra, non sembrerebbe un gran risultato. Credo che quello che è successo in Puglia sia un paradosso frutto della cattiva politica. Un presidente, Vendola, apprezzato da molti per il suo lavoro di amministratore e stimato come dirigente politico non settario e non anchilosato dalla tradizione non può essere cestinato per lasciare l’incarico allo stesso personaggio che ha battuto in elezioni primarie cinque anni fa. Sarebbe una stravaganza frutto del manovrismo di qualche scienziato della politica, una scelta che porterebbe ad una sonora sconfitta nelle Puglie. La Bindi ha ragione, meglio le primarie anche se Casini non vuole. Personalmente non amo particolarmente il meccanismo delle primarie. Forse perchè lo considero uno strumento che enfatizza la personalizzazione della politica o semplicemente perchè preferisco altri metodi di selezione delle classi dirigenti, non sono un tifoso dei plebisciti. Ma in vigenza di uno statuto liberamente scelto dal PD e di fronte ad una divisione verticale degli organismi dirigenti nella scelta dei candidati, la strada maestra è quella indicata dalla presidente Rosy Bindi. E’ noto, siamo un Paese in cui le regole, le norme, non vengono sempre rispettate con grave danno per tutti. Il PD per molti ha rappresentato una speranza di rinnovamento della politica e una possibile risposta alla crisi della sinistra. Difficile immaginare d’altra parte una coalizione capace di sconfiggere il berlusconismo senza un partito democratico forte e capace di aggregare soggetti politici diversi. La sinistra non può non essere uno di questi.
Bersani ha molti problemi da risolvere. Il primo di questi è come costruire gruppi dirigenti capaci di legarsi alla realtà senza aver troppo l’assillo della carriera politica. Compito non facile dopo anni e anni di privatizzazione della politica ci vuole molta determinazione a rompere incrostazioni e pessime abitudini. Tanti sinceri auguri al segretario.