da Francesco Mandarini | Ott 18, 1999
Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc….). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: â€Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.†In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto†a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà avere. L’affidabilità politica e
amministrativa e’ qualità richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità , ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà , quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999
da Francesco Mandarini | Ott 18, 1999
Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc”¦.). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: “Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.” In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto” a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà avere. L’affidabilità politica e
amministrativa e’ qualità richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità , ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà , quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999
da Francesco Mandarini | Ott 1, 1999
Bisogna guardare ai fatti con molta freddezza e con molto rigore. La
sconfitta a livello continentale (Europa) delle forze del centro destra,
proprio nel momento di maggiore credibilità del neoliberismo, è seguita
all’affermazione di Clinton sui repubblicani in Usa. Queste vittorie non
hanno spostato di una virgola i processi di costruzione di un’economia e
conseguentemente di società completamente sottomesse alla ferrea logica
del mercato “libero”.
Non era mai successo nella storia, che le forze politiche di
centrosinistra governassero globalmente il mondo occidentale. Va
sottolineato il fatto che ciò è avvenuto nel decennio del crollo di tutto
ciò che era riconducibile al così detto “socialismo reale”. Sono
scomparsi Stati, Partiti, Movimenti politici che avevano segnato la
storia di questo secolo e di quest’implosione ne hanno tratto forza le
socialdemocrazie di vecchia tradizione, nuove formazioni di sinistra
(NewLabour) e i nuovi Partiti postcomunisti tipo PDS/Ds. in Italia.
Nel nostro Paese, però, la sinistra non è stata mai, nel dopoguerra, così
debole sia dal punto di vista organizzativo che da quello elettorale.
Tutti i Partiti riconducibili a qualche forma di sinistra (di governo,
alternativa, ambientalista e via dividendo), non raggiungono la
percentuale di voti del disciolto PCI. Gli iscritti pochi, strumenti
d’informazione inesistenti, riferimenti sociali sconosciuti, movimenti di
massa annichiliti.
Debolezze strutturali rese più gravi dovendo gestire un potere
straordinario: governo del Paese, governo di gran parte delle
amministrazioni regionali e locali, gestione di tutti gli apparati
pubblici. Legame forte con l’internazionale socialista, consonanza con
l’Amministrazione Clinton.
La consonanza è stata tale che”¦.. si è iniziata una guerra.
Al peggio non c’è mai fine. Così si potrebbe iniziare una riflessione
sulla sinistra e sulla politica in genere. Ci stavamo quasi abituando al
fatto che la politica avesse lasciato il posto all’economia, adesso la
politica ha lasciato il posto alle portaerei, ai missili, alle bombe
intelligenti che, nel caso specifico, sono comandate da quel generale
Clark che ci comunica di non aver timore della terza guerra mondiale. La
poderosa macchina da guerra della NATO di Clinton è invincibile.
Pazzesco? No, la cronaca quotidiana di un linguaggio militarista che ha
reso commentatori e intellettuali, professionisti dei bollettini di
battaglie che si commuovono quando arriva in Italia qualche Generale
della Nato e ci propinano ciò che la NATO vuole. Ci si vuol convincere
che esistono anche i missili”¦Umanitari e che se non ci piacciono siamo
imbelli, incapaci di capire le esigenze della guerra “umanitaria”. Il
fatto, poi, che l’obiettivo di difendere le popolazioni del Kosovo sia
miseramente fallito e che i bombardamenti abbiano invece accelerato la
pulizia etnica, lascia i nostri commentatori fermi nelle loro convinzioni
sulla guerra giusta. Kissinger, lo stesso Ministro Dini, affermano che a
Rambouillet si è proposto un accordo truffa per Miloseivic, queste
affermazioni non alimentano sospetti nelle reali intenzioni di Clinton.
Nessun dubbio, mai, rispetto alla poderosa propaganda degli alleati che
trasforma le povere vittime serbe o kosovare, in effetti collaterali
delle bombe. Vogliono toglierci anche la dignità d’indignarci, con una
mistificazione continua e martellante dei fatti e delle responsabilità .
Nessuno di noi, soltanto poche settimane fa, avrebbe immaginato di
trovarsi nel pieno di una guerra non dichiarata ma che ha già prodotto
morti, distruzioni a poche centinaia di chilometri da noi.
Una guerra cercata e voluta da Clinton, ma accettata da tutte le
socialdemocrazie europee unite alla destra politica in questa scelta
scellerata di una guerra “etica” teorizzata dagli integralisti
angloamericani, ma ben accettata dal segretario dei Democratici di
Sinistra.
L’Europa diviene colonia americana nel momento in cui si festeggiava la
“vittoria” dell’EURO che nasceva. Clinton ordina l’attacco, gli europei
si accodano ubbidienti.
Non so quando e come finirà .
So per certo che oltre le macerie fisiche, ci saranno da rimuovere quelle
di una sinistra che ormai ha smarrito qualsiasi capacità di guardare alle
cose del mondo con occhi diversi da quelli dell’Amministrazione
americana. Una sinistra che ha smarrito ogni capacità di critica dello
stato di cose esistente L’americanizzazione ha raggiunto e plasmato
totalmente il senso comune di dirigenti, intellettuali, sindacalisti, ma
anche il comune sentire di gran parte del “popolo” della sinistra
europea, incapace come non mai di manifestare un dissenso efficace
rispetto alle scelte dei propri leader. Completamente annichiliti dalla
violenta propaganda di tutti i mezzi d’informazione, ci si sta
cominciando ad abituare ad essere un Paese in guerra. Si, in una guerra
che produrrà nuovi morti, nuove distruzioni, nuove miserie economiche,
altre pulizie etniche.
Una guerra gestita direttamente anche da uomini e donne della sinistra
europea.
Spesso abbiamo parlato di una deriva della sinistra. La deriva è finita.
Oggi siamo di fronte ad una catastrofe in cui si sono smarriti tutti i
referenti di un movimento che voleva cambiare il mondo e che alla fine si
è ritrovato smarrito, frastornato, senza più parole per descrivere la
propria diaspora ideale.
Sembrerebbe non ci siano più ragioni per la sinistra se non quelle delle
solitarie testimonianze di diversità rispetto all’onda lunga del
conformismo.
Non si tratta di subalternità nei confronti della potenza USA.
Si tratta, bisogna capirlo di una totale consonanza, di un comune sentire
che non inizia oggi con la guerra, ma ha avuto tappe, occasioni in cui
dirigenti della sinistra italiana ed Europea hanno accettato l’arroganza
americana come la giusta medicina per il governo del mondo.
Non tutti hanno detto si a questo dominio e così minoranze, non solo
riconducibili alla sinistra comunista, hanno continuato ad argomentare e,
in certe occasioni, a lottare contro. Ma con quali limiti!
Esemplare da questo punto di vista e ciò che non è successo in Umbria. La
nostra terra è stata protagonista per decenni (tutto inizia nel lontano
settembre del 1960 con Capitini) di lotte per la pace in tempi in cui era
difficile schierarsi contro la guerra fredda per le rigidità dei campi
avversi.
Eppure tante volte si sono mobilitate masse significative contro la
guerra, qualsiasi guerra. Oggi le forze istituzionali e di associazioni
che si sono date l’esclusiva dei movimenti per la pace, non hanno trovato
il modo di andare oltre generiche e flebili iniziative. Ancora oggi, al
momento in cui scrivo, ad un mese dall’inizio dei bombardamenti, non si è
avuto il coraggio di indire un’iniziativa generale di mobilitazione come
una marcia straordinaria “Perugia Assisi”. Com’è possibile? Quale
credibilità si potrà avere nel futuro? E’ previsto dal regolamento
dell’Associazione per la Pace che le marce si fanno a ricorrenza fissa?
Capisco l’imbarazzo, quando si deve passare dal buonismo alla dura realtà
che si entra in conflitto con il Governo di Centrosinistra, è più
semplice l’inerzia. Anche ciò rende ancora più laceranti le divisioni
della sinistra e con le forze democratiche in Italia e nel continente.
3
Non poteva essere altrimenti anche perchè in Europa la guerra della Nato
ha trovato l’accordo di tutti i governi di centrosinistra e poche,
beffeggiate, aggredite dalla quasi totalità dei mass media, sono state le
forze politiche e intellettuali che hanno cercato di dire il loro no alla
guerra. Il tentativo è stato quello di presentare i dissidenti come
complici della pulizia etnica o come gli imbelli delle democrazie
occidentali che permisero l’ascesa di Hitler, provocando la seconda
guerra mondiale.
Non basta ripetere quasi ossessivamente il rifiuto netto e forte della
politica di Milosevic: se non si è d’accordo con i bombardamenti della
NATO, si è automaticamente responsabili delle sofferenze dei profughi.
Lo sforzo di mistificazione della propaganda non ha ancora prodotto
un’assuefazione totale. Manifestazioni continuano a svolgersi in tutta
Italia pur con evidenti limiti di partecipazione quantitativa e
qualitativa, anche se è palpabile il disagio di vedere soltanto pezzi
della sinistra, c’è chi continua a dire no alla guerra. Mi ha colpito
vedere la sede nazionale dei DS, in Via Botteghe Oscure, difesa dalla
polizia contro i manifestanti per la pace. Sta forse anche in questi
fatti emblematici, il segno di una sorta di parabola della forza politica
che si è dichiarata erede del più grande Partito Comunista
dell’occidente, parabola che giunge a conclusione proprio con la guerra.
Dopo, niente sarà più come prima, la mutazione si completa.
Così, alla tragedia della Yugoslavia, bisogna aggiungere la lacerazione
tra donne e uomini che hanno per tanti anni condiviso, pur scegliendo
strade e percorsi organizzativi diversi, progetti d’emancipazione e di
liberazione dei ceti più deboli della società italiana e mondiale.
Dalla consapevolezza piena di questa lacerazione si dovrà ripartire per
ricostruire un’analisi e una capacità d’aggregazione politica che si
faccia protagonista di una nuova stagione della sinistra.
Arrivano i risultati del referendum elettorale, bene. I demagoghi
all’Occhetto e alla Di Pietro, l’invito, scorretto, di D’Alema di votare
Si, non ha funzionato se non per alzare la percentuale dei votanti:
prendono tutti una bella sberla.
Noi non festeggiamo, non sono questi i tempi, ma certo guardiamo con
attenzione anche a questi segnali di crisi del regime del maggioritario
che si voleva imporre.
Giornale 1 ottobre 1999