Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc….). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: ”Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.” In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto” a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà avere. L’affidabilità politica e
amministrativa e’ qualità richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità, ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà, quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999

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