da Francesco Mandarini | Ott 22, 2006
Questo è il tempo dell’eterno presente. Si vive il giorno per
giorno, senza passato e senza futuro. Come in un pessimo reality
show, l’ultimo fatto annichilisce tutto ciò che è successo prima.
Artista nella comunicazione, il leader di Forza Italia sa che una
bugia ripetuta all’infinito alla fine diviene la realtà anche per
il popolo dei teleutenti. Chi ricorda più la finanza creativa del
ministro Tremonti? Le cartolarizzazione che non generavano altro
che nuovi buchi di bilancio in un infinito gioco delle tre carte
che ha prodotto ricchezza privata (per pochi) e povertà pubblica
per tutti. Tutto ciò è stato rimosso dalla testa della gente? Le
bugie non hanno affatto le gambe corte. E la debolezza delle
argomentazioni dei governanti di centrosinistra, le loro
interminabili liti, il cambiar parere ogni giorno, rende l’azione
del governo perigliosa e incerta.
Su questo fa affidamento Berlusconi nel suo attacco al governo
Prodi. Il cavaliere dimezzato è convinto che il popolo abbia già
rimosso il disastro dei cinque anni di governo della destra.
Si sente libero di sostenere che l’abbassamento del rating,
dichiarato da due società di analisi, sia responsabilità delle
scelte economiche di Padoa Schioppa. E’ una mistificazione. Le
agenzia di rating costruiscono il loro giudizio nel medio periodo
e l’Italia che hanno stimato non può che essere quella lasciata
dal governo della destra. D’altra parte sarebbe utile una
valutazione sull’affidabilità di certi organismi di valutazione.
Ad esempio va ricordato come nella cronaca economica di questi
anni non sono mancati scandali micidiali che hanno coinvolto
società di certificazione. Ricordate il fallimento di alcune delle
corporation americane, una su tutte la Enron? Si dimostrò
l’assoluta inaffidabilità della società di certificazione: la
“Arthur Andersen” la più grande del mondo dichiarò fallimento a
seguito dello scandalo.
La Fitch, una delle società di rating che ci ha declassato, è
famosa perchè fino al giorno del crac in borsa, giudicava la
Parmalat assolutamente affidabile. Si preoccupi Padoa Schioppa del
rating, ma si preoccupi principalmente di far approvare una
finanziaria che serva al Paese.
Si tratta di una finanziaria comunista, tuona l’ex capo del
governo e organizza manifestazioni di piazza in difesa della
democrazia negata dai catto-comunisti.
Che la destra scelga la piazza rientra nella propria
responsabilità e sbaglierebbe il centrosinistra a intimorirsi per
il dissenso espresso democraticamente.
Prodi dovrebbe preoccuparsi invece dello scadimento nell’opinione
pubblica dell’immagine della compagine governativa. Sostenere come
fa Prodi che una finanziaria è seria se scontenta tutti è quanto
meno bizzarro. Si possono fare cose serie anche trovando il
consenso di una parte del Paese e l’apprezzamento per l’azione di
alcuni ministri lo dimostra. C’era bisogno di tanto rumore
mediatico per trovare un accordo prima con i sindaci sui
trasferimenti finanziari o poi con confindustria e sindacati sul
TFR? Non si sarebbe guadagnato tempo se prima di presentarla la
finanziaria fosse stata sottoposta al vaglio delle forze sociali e
istituzionali? Che le forze politiche di governo abbiano
presentato 250 emendamenti alla finanziaria in discussione
dimostra una frantumazione politica da brividi.
Di fronte a questo, come si fa a giudicare ostruzionismo se la
destra di emendamenti ne presenta 1000? I cattivi parlano di
dilettanti allo sbaraglio. Hanno ragione i cattivi? Bisogna avere
pazienza: alternative a questi governanti al momento non se ne
vedono e il Paese non può permettersi una crisi politica che porti
a nuove elezioni.
L’ulivo si è impelagato nella discussione sul partito democratico
e questo non ha affatto aiutato a governare con sagacia una
situazione economico sociale molto difficile. Era così urgente la
discussione sull’unificazione di DS e Margherita? Perchè allo
stato delle cose soltanto di questo si tratta. E rimane ancora
difficile immaginare un partito affascinante perchè Rutelli e
Fassino indossano la stessa maglia per giocare una partita di cui
non si conoscono nè regole nè finalità . Ma al di là degli
scettici, il treno è partito da Orvieto e anche per inerzia il
“sogno” di costruire un partito all’americana andrà avanti anche
scontando lacerazioni a sinistra. Per adesso masse pressanti per
entrare nel nuovo partito non se ne vedono e solo i capi sono
nella tenzone. Una tenzone che ha qualche aspetto singolare. Ad
esempio nella Margherita è esplosa la questione delle tessere. In
vista del congresso sembra che, in alcune situazioni, vi sia stato
un boom degli iscritti al partito di Rutelli e Marini. Sussurri
dicono che a Terni gli iscritti alla Margherita siano 5000 (a
Milano 8000) e in altre località vi sono più iscritti che
elettori. Regalare le tessere di un partito non è cosa buona, la
democrazia ne risente e la politica continua nel suo degrado.
Se il nuovo partito sarà dominato dai “signori delle tessere”
siamo a posto. Già esercitano il dominio nella politica italiana
le signorie territoriali, figuriamoci che qualità la democrazia
può avere se è organizzata attraverso iscritti taroccati.
Pazienza e ironia sono le principali virtù di un rivoluzionario,
scandiva Yves Montand in un bel film di Alain Resnais negli anni
sessanta. Di pazienza c’è ne vuole tanta, l’ironia è merce
rarissima nella classe politica, i rivoluzionari è noto che si
sono estinti da tempo. Sono diventati tutti riformisti. Tempi
difficili ci aspettano.
Corriere dell’Umbria 22 ottobre 2006
da Francesco Mandarini | Ott 15, 2006
Piazza o non piazza? Il centrodestra è afflitto da questo dilemma.
Berlusconi, Bossi e Fini minacciano un’opposizione di piazza,
l’onorevole Casini come sua consuetudine attende gli eventi. Per
intanto, i professionisti in piazza ci sono già scesi. A Roma,
provenienti da tutta Italia, migliaia di dentisti, notai,
ingegneri, commercialisti, avvocati, hanno manifestato contro la
finanziaria e contro il decreto Bersani. C’erano anche molti
infermieri a sollecitare la creazione del loro “ordine”.
L’onorevole Fini, entusiasta dopo aver gridato allo “stato di
polizia”, ha sottolineato la sua ammirazione perchè i
manifestanti si sono pagati da soli il viaggio verso la capitale.
Scusi, onorevole, chi avrebbe dovuto pagare il viaggio del notaio
di Bolzano che appartiene ad una categoria che dichiara (a
Bolzano)un reddito medio di 945.000 Euro? Certamente qualche
problema nel pagarsi il viaggio a Roma lo ha avuto il dentista
calabrese che dichiara al fisco meno di 25000 Euro. In genere chi
manifesta lo fa a proprie spese. Il contadino pugliese o l’operaio
di Brescia quando manifestano non solo perdono giornate di lavoro,
ma si pagano i panini che mangiano e l’eventuale viaggio in treno
o in autobus. Che il ceto medio benestante manifesti non deve
meravigliare ne intimorire. L’Italia è il Paese europeo con la
peggior distribuzione del reddito e con la maggior evasione
fiscale. Esemplare il fatto che la categoria dei gioiellieri ha
dichiarato al fisco meno di quanto ha fatto la categoria dei
maestri e degli operai. Nessun governo ha voluto o è riuscito ad
invertire la tendenza alla concentrazione della ricchezza
nazionale. Il governo Berlusconi in cinque anni ha aggravato gli
squilibri e ha condonato tutto il condonabile. La finanziaria per
il 2007 avvia questo processo di riequilibrio? I pareri sono molto
controversi. L’ISTAT assicura che oltre 16 milioni di famiglie
troveranno un beneficio fiscale se le aliquote saranno confermate.
Nello stesso tempo il Governatore della Banca d’Italia sostiene
che anche i precettori di un reddito attorno ai 23000 Euro
pagheranno più tasse. Chi ha ragione? Come stanno le cose? La
confusione è al massimo e non ci sarà chiarimento fino alla fine
della discussione parlamentare e ,quindi, presumibilmente per
Natale. La lunghezza della discussione non deve essere considerata
una perdita di tempo. All’interno del documento vi sono
disposizioni complesse che riguardano una infinità di settori ed è
quindi corretto un confronto a tutto campo in Parlamento. Ad
esempio vi sono norme che riguardano il così detto “costo della
politica”. Sono previsti paletti per ciò che riguarda le indennità
dei consiglieri comunali e gli stipendi dei manager pubblici. Per
adesso non sono previste manifestazioni di piazza degli addetti ai
lavori, ma le proteste sono aspre e indicative di un atteggiamento
corporativo del ceto politico. Il senatore Esterino Montino,
segretario dei DS di Roma, è tra i più determinati a difendere le
retribuzioni dei consiglieri comunali e dei manager pubblici della
capitale. Il senatore ha ragione nel ritenere ingiusta la norma
che nega l’aspettativa per incarico pubblico agli assessori
comunali. Pur in presenza di una normativa che ha reso un
assessore poco più che un “funzionario” del sindaco, non si può
fare l’assessore nel tempo libero. Giusta l’aspettativa. Non
seguiamo più il senatore quando ritiene ingiusta la norma che
prevede che un consigliere comunale non possa ricevere
un’indennità superiore ad un quinto di quella del sindaco della
città . Dice il senatore: “A Roma ammonterebbe a circa 1500 euro al
mese (il compenso del consigliere). A fronte di un impegno che può
essere tranquillamente equiparato a quello di un consigliere
regionale o di un parlamentare”. Wow!! Senatore!! 1500 euro le
sembran pochi di fronte all’assoluta mancanza di potere reale dei
consigli comunali? Ha presente, senatore, gli stipendi medi
italiani? Veramente pensa che il carico di lavoro di un
consigliere sia tale da giustificare un compenso più sostanzioso?
Il senatore diessino è fuori di sè anche per la norma che mette un
tetto alle retribuzioni dei manager pubblici. E’ il mercato che
deve stabilire i tetti dei compensi, sostiene Esterino Montino.
Senatore, veramente pensa che l’imprenditore privato sia alla
ricerca di qualche manager pubblico insoddisfatto dello stipendio?
Sarà una falsa impressione, ma in genere quando qualcuno entra nel
mercato “pubblico” non ne esce più. Passa da un incarico
all’altro, ma non si trasferisce nel privato. Il mercato
dell’impiego pubblico è un mercato parallelo, per molti versi
truccato. Quando la scelta è dovuta soltanto alla politica la
concorrenza c’entra poco. E’ in Francia e non in Italia che il
manager pubblico è ambito nel privato. D’altra parte, venendo a
noi, quanti sono i dirigenti privati, anche top manager, che
guadagnano in Umbria quanto alcuni direttori di strutture
pubbliche? Non mi sembra che ci sia una grande mobilità tra
pubblico e privato quando si tratta di alta dirigenza. Ciò che
sconvolge è l’assoluta impermeabilità del ceto politico al rischio
che si corre per il qualunquismo montante tra la gente.
Qualunquismo che trae alimento anche da come si gestiscono le
società pubbliche e in genere gli apparati amministrativi. Non si
è ancora capito che la riqualificazione del welfare non può che
partire da una critica forte alla decennale linea
dell’aziendalizzazione di tutto? I manager come panacea dei mali
del settore pubblico non ha funzionato. Ha aumentato i costi e
impoverito alla grande la democrazia.
Corriere dell’Umbria 15 ottobre 2006
da Francesco Mandarini | Ott 8, 2006
Che sindaci e presidenti di regioni hanno aperto un contenzioso
con il governo Prodi non deve provocare meraviglia. Sarebbe stato
grave il contrario. Se, in nome di un interesse di coalizione, gli
amministratori locali non avessero richiesto al governo centrale
una riflessione ulteriore rispetto alle scelte fatte nella
finanziaria per tutto ciò che riguarda la spesa pubblica locale
sarebbero stati pessimi amministratori.
La protesta c’è stata anche durante il governo Berlusconi e fanno
bene sindaci e presidenti a difendere gli interessi dei propri
amministrati. Scaricare in periferia i costi sociali prodotti da
minori trasferimenti di risorse, è pratica antica di molti governi
centrali. Padoa Schioppa non ha inventato niente. Il non aver
contrattato con Bruxelles un rientro più morbido nei parametri di
bilancio europei è stato un grave errore. Un errore che ha
prodotto quelle che Mao Tse-dun avrebbe chiamato “le
contraddizioni nel popolo”. Nel nostro caso si tratta di
contraddizioni all’interno della classe dirigente del centro
sinistra. Una classe dirigente litigiosa per vizio antico e poco
incline alla solidarietà se non quando si tratta di difendere la
propria collocazione all’interno di organigrammi di valenza
storica.
La finanziaria per il 2007 a detta di Prodi produce un inversione
di tendenza nella distribuzione del reddito in Italia dopo anni di
spostamento di ricchezza dai ceti poveri a quelli ricchi. Al
riguardo i pareri sono diversi. E se Rifondazione ed Epifani per
la CGIL dicono di sì, altri, anche a sinistra, sostengono il
contrario. La rimodulazione delle fasce dell’IRPEF non è tale da
spostare in maniera significativa la distribuzione della ricchezza
nazionale. E’ noto che una parte significativa dei redditi sfugge,
attraverso l’evasione fiscale, ad ogni tipo di tassazione. D’altra
parte, se, ad esempio, un operaio avrà un vantaggio fiscale di 200
euro l’anno, rischia di dover pagare molto di più i servizi
erogati dai comuni attraverso municipalizzate o aziende miste
locali. L’alzata di scudi dei sindaci va letta anche in questa
chiave.
La drammaticità della situazione dei conti pubblici italiani nasce
da un debito pubblico enorme, ma si enfatizza quando si analizza
la qualità della spesa. Non considerando il costo del debito,
l’ammontare della spesa pubblica italiana non è dissimile da
quella degli altri Paesi europei. Ad esempio, la spesa sanitaria
incide nel PIL in una percentuale (sei per cento) decisamente più
bassa che in Germania o in Francia. E in tutta onestà nessuno può
negare che la qualità dell’intervento pubblico non è imputabile
soltanto all’amministrazione centrale. Da questo punto di vista,
sindaci e presidenti di regione qualche problema lo hanno.
L’efficacia della spesa, il rapporto costo-benefici, non è il
massimo in nessuna amministrazione centrale, regionale e comunale.
Ci sarebbe un lavoro da fare e impegni da prendere da parte del
ceto dirigente politico amministrativo anche locale. L’enfasi di
tanti leader sull’esigenza di innovazione si è tradotta in una
morta gora in cui alle vecchie inefficienze se ne aggiungono altre
in modo sistematico. La favoletta della “regione leggera” si è
trasformata, nell’ultimo decennio, in un appesantimento deciso
dell’apparato pubblico regionale e sub-regionale.
L’onorevole Bocci, segretario regionale della Margherita, in una
recente intervista, ha detto con chiarezza che sono finiti i tempi
dei rinvii per ciò che riguarda la riforma della struttura degli
enti regionali. Bene, siamo tutti in attesa di vedere come si
riformano comunità montane, finanziarie regionali, aziende
sanitarie e via, via elencando enti e collocazioni personali.
Sulla rapidità dell’operazione invocata da Bocci, qualche dubbio è
legittimo. La tendenza alla precarizzazione del lavoro non è
ancora transitata nella professione politica. Tutto il lavoro è
diventato flessibile meno quello di coloro che si sacrificano per
amministrare i beni pubblici. Riformare, accorpare, rimuovere
entità consolidate non sarà indolore e non esistono più le
capacità di mediazione di partiti capaci di riportare gli
interessi dei singoli all’interno di un interesse generale che, in
questo caso, è quello di riqualificare la presenza pubblica nella
nostra comunità . E’ convinzione comune che per la classe dirigente
politica al potere in Umbria le vacanze sono finite. Berlusconi è
in ribasso. Senza una decisa accelerazione dei processi di riforma
della macchina pubblica il cemento politico e sociale che ha
consentito, a sinistra e centrosinistra, di governare l’Umbria per
tanti decenni non reggerà . Molti sostengono che la carenza di
risorse finanziare obbliga a scelte che se non compiute
determineranno una crisi dagli esiti incontrollabili. Esagerano?
Prevarrà ancora per anni quella sorta di tradizionalismo di massa
che ha consentito al ceto politico di perpetuarsi in ogni
stagione? Chi vivrà vedrà .
Per intanto c’è da registrare la convention di Orvieto. “Per il
partito democratico” è titolata. Tutti i leader dell’Ulivo sono
presenti e nelle tre relazioni introduttive si è cercato di dare
una qualche forma al progetto di unificazione in un solo partito
di DS e Margherita. Per iniziare. Costruire una nuova formazione
politica attraverso fusione di corpi politici preesistenti non è
cosa semplice e non sempre l’elettorato apprezza. Famoso fu il
flop dell’unificazione socialista negli anni ’60. Sui lavori di
Orvieto una sola osservazione. Definirsi democratici costituisce
un’identità così forte da ampliare i consensi elettorali? C’è
qualcuno in Italia che non si dichiara democratico a prescindere?
Certo anche chiamarsi Margherita per un partito non è esaltante,
ma pur apprezzando lo sforzo di mettere insieme tutti i
riformisti, sembrerebbe utile dare maggiore sostanza sia al
riformismo che alla parola democrazia. Quella che viviamo da tanti
anni è una democrazia annichilita dalla leaderite acuta e dal
consolidarsi di partiti che non sono altro che comitati
elettorali. E’ il caso di invertire questa orrida tendenza.
Corriere dell’Umbria 8 ottobre 2006