Ballerini

Gli ottimisti la definiscono fluida, i pessimisti limacciosa. Non vi sono però dubbi sul fatto che la situazione politica appare segnata da una grande incertezza e confusione.
Le urla di giubilo di Prodi per la tenuta del governo non si erano ancora spente che, lo stesso Prodi, ha dovuto imporre il voto di fiducia, questa volta alla Camera dei Deputati, sul decreto concernente gli accordi tra le parti sociali sul Welfare. Il testo votato non recepisce alcuna delle richieste formulate dalla sinistra al governo nonostante che la commissione parlamentare ne avesse accolte alcune che, se pur marginalmente, modificavano il testo concordato tra sindacati e Montezemolo. Lo strappo è avvenuto su questioni che non avrebbero stravolto l’accordo.
Erano miglioramenti rispetto ai contratti precari e per i lavori usuranti. Niente da fare. L’accordo è quello siglato e nemmeno le virgole devono essere modificate. Alla faccia della sovranità  del Parlamento! Voto di fiducia a testo immutato. Bisognava dimostrare chi comanda in Italia e così è stato fatto. Felicitazioni di confindustria e grande euforia dei diniani. Questa è la denominazione dell’ultimo raggruppamento della fantasiosa politica italiana. Un altro gruppo formato nel Senato della Repubblica con alcuni, cinque, trafughi della defunta Unione. Rispetto del programma presentato agli elettori? Roba vecchia: gli elettori servono per essere eletti e per fare ciò che più aggrada.
Qualcuno si è domandato di quale democrazia si parla, quando cinque parlamentari (i diniani) comandano più dei centocinquanta parlamentari della sinistra. Ma questo è il cinema cui siamo forzati ad assistere.
I comunisti non mangiano più bambini, mangiano i rospi ha disegnato Vauro. E non è un bel mangiare per una sinistra già  in confusione per proprio conto.
Per la sinistra le cose si mettono male e la discussione sul significato dello stare al governo è esplosa dentro i partiti e nella pagine dei giornali. Tra l’incudine del sostenere Prodi, senza che il programma venga attuato, e il rischio di un governo istituzionale che emargini ancora di più le istanze del mondo del lavoro, la scelta è drammaticamente difficile.
Ci vorrebbe il coraggio di riaggregare ciò che oggi è diviso da sigle, orticelli vari e generali senza esercito. Un appuntamento la sinistra lo ha fissato. (altro…)