Gli ottimisti la definiscono fluida, i pessimisti limacciosa. Non vi sono però dubbi sul fatto che la situazione politica appare segnata da una grande incertezza e confusione.
Le urla di giubilo di Prodi per la tenuta del governo non si erano ancora spente che, lo stesso Prodi, ha dovuto imporre il voto di fiducia, questa volta alla Camera dei Deputati, sul decreto concernente gli accordi tra le parti sociali sul Welfare. Il testo votato non recepisce alcuna delle richieste formulate dalla sinistra al governo nonostante che la commissione parlamentare ne avesse accolte alcune che, se pur marginalmente, modificavano il testo concordato tra sindacati e Montezemolo. Lo strappo è avvenuto su questioni che non avrebbero stravolto l’accordo.
Erano miglioramenti rispetto ai contratti precari e per i lavori usuranti. Niente da fare. L’accordo è quello siglato e nemmeno le virgole devono essere modificate. Alla faccia della sovranità  del Parlamento! Voto di fiducia a testo immutato. Bisognava dimostrare chi comanda in Italia e così è stato fatto. Felicitazioni di confindustria e grande euforia dei diniani. Questa è la denominazione dell’ultimo raggruppamento della fantasiosa politica italiana. Un altro gruppo formato nel Senato della Repubblica con alcuni, cinque, trafughi della defunta Unione. Rispetto del programma presentato agli elettori? Roba vecchia: gli elettori servono per essere eletti e per fare ciò che più aggrada.
Qualcuno si è domandato di quale democrazia si parla, quando cinque parlamentari (i diniani) comandano più dei centocinquanta parlamentari della sinistra. Ma questo è il cinema cui siamo forzati ad assistere.
I comunisti non mangiano più bambini, mangiano i rospi ha disegnato Vauro. E non è un bel mangiare per una sinistra già  in confusione per proprio conto.
Per la sinistra le cose si mettono male e la discussione sul significato dello stare al governo è esplosa dentro i partiti e nella pagine dei giornali. Tra l’incudine del sostenere Prodi, senza che il programma venga attuato, e il rischio di un governo istituzionale che emargini ancora di più le istanze del mondo del lavoro, la scelta è drammaticamente difficile.
Ci vorrebbe il coraggio di riaggregare ciò che oggi è diviso da sigle, orticelli vari e generali senza esercito. Un appuntamento la sinistra lo ha fissato.
Il prossimo fine settimana a Roma, si riuniranno tutte le sigle della sinistra e dell’ambientalismo per discutere del futuro di un mondo, quello della sinistra. Un mondo frantumato che non riesce a dare continuità  e organizzazione alle varie spinte presenti nella società  italiana. Il 20 ottobre confluirono a Roma in un’enorme manifestazione migliaia di persone non contro Prodi, ma per sostenere un’iniziativa politica che avesse come fulcro la lotta alla precarietà . In quella manifestazione colpiva il silenzio assordante di tanti giovani e di tante donne che hanno come unica prospettiva una vita da precario che chiedevano una svolta nelle priorità  del Paese. Prodi avrebbe potuto valorizzare quella spinta di popolo per rafforzare il suo traballante governo.
Non lo ha fatto e ha premiato l’estremismo dei moderati della coalizione. Mangerà  il panettone il governo Prodi, ma senza recuperare un rapporto con la sinistra il suo destino è segnato. Mettersi nelle mani di certi figuri può consentire il galleggiamento non certo avere la forza per cambiare il Paese.
Chissà  se l’iniziativa di Veltroni riuscirà  nell’impresa di riformare il sistema elettorale e di introdurre novità  nella struttura istituzionale italiana. Per adesso il segretario del PD un risultato lo ha ottenuto. Berlusconi ha cambiato un’altra volta opinione. Fino a qualche settimana fa sembrava determinato a non trattare niente con “questa sinistra”. Via Prodi, elezioni subito, gridava nelle convention dei berluscones.
Raccolte ottomilioni di firme (un miracolo compiuto in due giorni) contro il governo di centrosinistra, il cavaliere negava ogni possibilità  di confronto con “i comunisti”. E’ noto che anche Veltroni, oltre che Prodi, è un comunista per il capo di Forza Italia. Dopo aver sciolto e, dopo tre giorni, ricostruito il partito azzurro, Berlusconi si è confrontato per ottanta minuti con il sindaco di Roma. Dal colloquio è uscita la disponibilità  a lavorare per una legge elettorale proporzionale senza premio di maggioranza e senza coalizioni pre elettorali. Tutto bene? Anche il più ottimista non può sottovalutare l’inclinazione del cavaliere a fare furbate. E’ un successo di Veltroni l’aver incassato la disponibilità  a discutere su come riformare il sistema politico italiano e certo questa volta, a differenza del 1994, non è interesse del cavaliere perdere tempo come fece con la bicamerale di D’Alema. I problemi esploderanno quando il tavolo del confronto si allargherà  ad altri protagonisti. Sembra difficile che Fini o Casini accettino procedure che assegnino nuovamente a Berlusconi il ruolo di Cesare dell’area di centrodestra. Pensare ad una legge elettorale che premia soltanto il partito più grande e svuota il ruolo delle forze intermedie e minori, mi sembra difficile. L’affollamento al centro di tanti partiti lascia margini elettorali a destra e a sinistra. Nell’attuale Parlamento esiste una maggioranza capace di deliberare una legge elettorale alla tedesca? Numericamente forse sì, ma politicamente sarà  più complicato realizzare una maggioranza. I prodiani alla Parisi, ad esempio, non sono d’accordo. Insistono su un sistema elettorale maggioritario appoggiati in questo anche da spezzoni della sinistra. I referendari hanno dalla loro il tempo: la nuova legge dovrebbe essere approvata entro marzo, altrimenti il referendum si svolgerà  comunque. Il ballo è iniziato con sorrisi e pacche sulle spalle. La prudenza non è mai troppa. Il “nostro” Berlusconi è un ballerino formidabile capace di giravolte che fanno impallidire anche Jhon Travolta.

Share This

Condividi

Condividi questo articolo con i tuoi amici.