da Francesco Mandarini | Set 26, 2011
Se qualcuno si è illuso che quello che sta succedendo in Italia è da valutare come la consueta commedia all’italiana, dovrà cambiare parere. Siamo dentro un angosciante film del filone horror.
C’è poco da ridere. Quando assistiamo al salvataggio dei nominati in Parlamento di un indagato per reati gravi salvato grazie ai voti dei “responsabili” di Scilipoti e dei duri e puri della Lega, vengono in chiaro due cose. La prima è che in questo Parlamento per una parte consistente dei suoi membri il compito essenziale è quello di salvaguardare fino alla fine le proprie indennità , i propri privilegi. In un video, ripreso alla Camera, si vede Berlusconi che parlando con il ministro La Russa dopo il voto che salva Milanese dall’arresto, dice: “Ci salviamo solo per Scilipoti?”. Affranto il ministro annuisce. Continua il Capo: “Ma ho comperato 100 parlamentari!”. Disperato l’ex fascista conferma.
Aver pensato che la campagna acquisti del Cavaliere non avrebbe dato frutti duraturi è stata pura illusione. Basta studiare i curriculum dei nominati e si avrà la conferma dell’illusione.
Che per decoro qualcuno di loro voti difformemente dai voleri del padrone della comitiva acquartierata in Parlamento, è difficile come vincere all’enalotto. Loro, i nominati, hanno già vinto al totocalcio.
La seconda considerazione riguarda l’abbaglio di molti sulla possibilità che Bossi per ragioni di coerenza con ciò che la Lega ha predicato per anni rompa con Berlusconi. Bossi non può rompere perchè il suo destino è ormai lo stesso del Capo della destra. Troppi rospi hanno fatto ingoiare alla base dei padani e poi Bossi tiene famiglia e deve assicurare alla figliolanza una bella carriera politica. Chi meglio del Capo potrebbe assicurare al Trota un posto in paradiso dopo quello di consigliere regionale?
I giornali rumoreggiano della base leghista in rivolta. Chiacchiere, la prossima settimana i leghisti salveranno un altro ministro accusato di aver rapporti con la mafia.
Come è noto un’agenzia di rating ha declassato l’Italia. Siamo stati retrocessi nella valutazione della nostra struttura economica e sociale. Di fronte ad un fatto così grave che ha già avuto una ripercussione serissima sul differenziale tra i nostri titoli pubblici e quelli tedeschi, la cosa più ovvia sarebbe stata quella di rassicurare i mercati con provvedimenti atti a consolidare e a far crescere la nostra economia. Niente di tutto questo è accaduto. La destra ha accusato l’agenzia di leggere troppo i giornali di sinistra e il Capo ha parlato di una congiura.
Nell’era fascista quando le cose non andavano bene, Mussolini se la prendeva con la perfida Albione (l’Inghilterra). In continuità ideale, visto il disastro del Paese, Berlusconi se la prende con i “circoli anglosassoni” e naturalmente con la stampa comunista del prototipo “The Economist”.
Tutti i circoli economici, culturali e politici del mondo sostengono che uno dei problemi decisivi dell’Italia è la sua credibilità politica. Soltanto le gerarchie vaticane sembrano disinteressate al degrado anche morale del Paese. Non è una chiacchiera la divisione tra pezzi importanti del mondo dei cattolici e i suoi vertici “romani”. Se avete pazienza e tempo andate in internet e sfogliate giornali e video che parlano dell’Italia. Non sarete rallegrati da ciò che leggete e vedete in video.
In questa situazione il problema è come eliminare dal governo il ministro Tremonti. Pur senza alcuna simpatia per l’uomo e spesso in disaccordo con la sua azione di ministro, non posso non ricordare che, in Europa, l’unico membro del governo che ha avuto apprezzamenti è stato proprio Tremonti. Di fronte alla crisi del debito italiano la priorità del governo deve essere quella di eliminare Tremonti? Si ritiene che sostituirlo con il competente e amatissimo ministro Sacconi aumenterebbe la credibilità del governo?
Non so se è chiaro a tutti ma l’aumento del differenziale tra i BTP e i titoli tedeschi ha conseguenze immediate e gravissime per la nostra economia e per le condizioni materiali del popolo e della sua imprenditorialità . Non è una forzatura quella della Marcegaglia quando chiede al governo di lasciare il passo se non è capace di governare. Se la Confindustria dichiara che bisogna salvare l’Italia dal disastro significa che siamo vicinissimi alla catastrofe. Se il costo del debito continua ad aumentare significherà che le banche non avranno più risorse per gli investimenti delle imprese e i costi dei mutui stipulati dalle famiglie aumenteranno in modo esponenziale.
Quasi per statuto il mondo delle imprese è sempre stato filogovernativo e non va dimenticato che nella costruzione del berlusconismo il padronato italiano ha avuto le sue belle responsabilità . Le ovazioni a Berlusconi nelle assemblee confindustriali non sono avvenute in un passato lontano. Se oggi dice basta qualcosa di grave sta succedendo.
Si è svolto a Perugia un’incontro degli amministratori locali di tutte le parti politiche. E’ stata una riunione per molti versi drammatica. Non è un giudizio di parte quello che denuncia il rischio che lo svuotamento di risorse per il governo locale mette in difficoltà la stessa tenuta democratica del Paese. Togliere ancora più risorse alle strutture pubbliche decentrate renderà impossibile qualsiasi politica d’investimento. La crescita da tutti rivendicata rimarrà un miraggio. Si renderà ancora più precaria la vita dei cittadini e per le nuove generazioni un posto di lavoro e una scuola adeguata rimarranno nell’ambito dei pii desideri. Quanto può reggere una società in cui l’unica prospettiva è un impoverimento progressivo anche per ceti abituati con il lavoro e con il risparmio ad avere una vita dignitosa?
Che fare? Ci vorrebbe un’aggregazione politica e culturale capace di individuare quali priorità dare ad un Paese, che pur berlusconizzato in molti settori, ha le energie e le intelligenze per avviare un percorso virtuoso capace di ridare un’immagine dell’Italia di maggior civiltà di quella oggi rappresentata.
da Francesco Mandarini | Set 19, 2011
Pezzi dello Stato che scendono in piazza contro altri pezzi dello Stato. La rete delle autonomie locali, Comuni, Province e Regioni, contro Governo e Parlamento. Amministratori del centrodestra e del centrosinistra uniti nel denunciare lo svuotamento di ogni possibilità di gestione di servizi al cittadino se non a prezzo di un aumento massiccio delle tasse locali. La cosa più agghiacciante è che il partito che ha tormentato il Paese con l’esigenza del federalismo, la Lega, ha proibito ai Sindaci leghisti di partecipare alla protesta. A voglia di andare a Pontida a rivendicare la Padania libera. Il federalismo leghista ha ballato, male, e per una sola estate.
Pur di non dispiacere al Capo, Bossi è disponibile a tutto. Sembra di assistere ad un film di G.A. Romero. Quando si ascolta in TV Bossi, Calderoli, Gasparri o Sacconi, per citarne alcuni, si ha l’impressione che la politica sia gestita da zombie che vivono in una dimensione tutta loro, completamente alieni rispetto al mondo reale. Un mondo che sembra andare in frantumi per responsabilità delle classi dirigenti politiche, economiche e culturali: hanno favorito per decenni l’ideologia dell’egoismo proprietario. Oggi paghiamo il prezzo della loro concezione del mondo.
La politica sconvolta da scandali che in qualsiasi altra parte del mondo avrebbero provocato la scomparsa irreversibile dei protagonisti delle malefatte, si avvita in discussioni che nulla hanno a che fare con i problemi della gente. La massima struttura della democrazia, il Parlamento, ridotta a un opificio di voti di fiducia e di leggi che nella sostanza servono a impoverire ogni prospettiva di salvezza di una Nazione ridotta allo stremo.
Giustamente c’è una campagna contro i costi della politica e dei privilegi degli addetti ai lavori. Per evitare il qualunquismo, però, c’è bisogno di capire quale è il costo divenuto insopportabile per l’Italia. Il prezzo più alto che paghiamo è dovuto all’incapacità della politica di capire e intervenire sulle grandi contraddizioni di un Paese che vede giorno, dopo giorno frustrate le energie migliori di cui siamo pur ricchi. Soltanto a giugno, con i risultati delle amministrative e dei referendum, si era accesa una speranza che quelle energie venissero usate per avviare una fase diversa dell’agire politico. La destra negò il valore politico di quei voti, il centrosinistra dopo l’euforia iniziale è tornato a guardare al proprio ombelico.
In onestà bisogna osservare che l’emergenza finanziaria è stata un macigno difficile da gestire per il PD e per le altre forze di opposizione. L’esigenza di far presto nei provvedimenti a contrasto della crisi del debito pubblico ha completamente svuotato il ruolo dell’opposizione parlamentare. Essa ha dovuto, per senso di responsabilità , rinunciare a tutti gli strumenti che la democrazia affida alle opposizioni. Ha mostrato una solida faccia di bronzo il Capo quando si è permesso di accusare, nella sua gita a Bruxelles, il centro-sinistra di aver favorito l’attacco speculativo. Non c’è grande giornale al mondo che non ripete quotidianamente che il problema dei problemi per l’Italia è l’assoluta inaffidabilità del governo della destra e del suo leader. C’è un problema democratico serio quando il ruolo dell’opposizione non può svolgersi nonostante che il governo dimostri profonda incapacità ad affrontare la crisi.
Difficile pensare che si possa andare avanti così. Le condizioni di vita della gente comune si aggraveranno a seguito dei provvedimenti votati dai nominati in Parlamento senza che ciò serva ad invertire la tendenza al degrado del debito pubblico. Ciò che sta succedendo in Grecia è la dimostrazione evidente che tagliare e impoverire i cittadini non aiuta a far uscire dall’inferno del debito pubblico.
Senza crescita i sacrifici di oggi non serviranno a nulla, sostengono le forze sociali sindacali e imprenditoriali. Ma come si immagina una qualsiasi crescita se gli investimenti pubblici sono praticamente inesistenti? Come si ritiene che le piccole imprese possano sopravvivere se la struttura pubblica paga i suoi fornitori a babbo morto? Come si pensa di crescere se continua a non esistere alcuna significativa domanda pubblica per servizi innovativi? Quando si discute in Regione o nelle amministrazioni comunali di semplificazione e di innovazione sarebbe utile uno sforzo di conoscenza di quello che esiste già nel territorio nel terziario avanzato e trovare gli strumenti e le risorse per valorizzare quelle forze produttive che hanno già scommesso nell’innovazione dei processi e dei prodotti. Non è un caso che anche piccole imprese umbre sono riuscite ad affermarsi in tante aree del mondo attraverso produzioni innovative. Da questo punto di vista abbiamo una lunga tradizione di marchi umbri che si affermano in mercati molto lontani dall’Italia.
Rompere incrostazioni e stupida burocrazia è un’esigenza ormai vitale. Molto si è fatto, dicono. Ma moltissimo resta da fare per riformare una struttura pubblica che è oggettivamente sovradimensionata e troppo spesso burocratizzata per eccesso di normative. Non è responsabilità dei dipendenti pubblici. In genere hanno un rapporto positivo con i cittadini. L’obbligo delle riforme della struttura pubblica è delle classi dirigenti politiche, ma non solo di esse. C’è una responsabilità collettiva nel lavoro per ridare alla politica il ruolo che essa deve avere.
Se è ingiusto dover andare con il cappello in mano dal potente di turno è sbagliata anche la ricerca dei santi in paradiso che ancora troppi hanno in testa. Certo che non sempre i rapporti con gli amministratori è facile. Alcuni sostengono che ci sono amministratori così impegnati che per avere un semplice banale appuntamento può richiedere tempi biblici. Alcuni, per principio, non ricevono nessuno se non gli stretti conoscenti. Anche ai Priori della vecchia civiltà medievale del Comune di Perugia era difficile accedere, ma forse nella democrazia moderna ottenere il consenso richiede una maggiore capacità d’ascolto. Con i tempi che corrono sembrerebbe che l’arroganza del potente comincia a non essere per nulla apprezzata.
Francesco Mandarini
da Francesco Mandarini | Set 14, 2011
Un’estate passata a contare i “venerdì neri” della borsa non è stata una bella estate.
Eppure la stagione era iniziata bene: Tremonti, Bossi e Berlusconi ci avevano assicurato che i conti pubblici italiani erano sotto controllo e che i fondamentali della nostra economia erano solidissimi. Avevamo qualche problemino del tipo occupazione giovanile e femminile e l’assoluta mancanza di sostegno alle famiglie stava provocando un impoverimento diffuso in tutto il Paese, ma per i nostri governanti non c’era bisogno di grandi interventi per affrontare la crisi. In poche settimane tutto è cambiato: il debito pubblico italiano è entrato nel mirino del mercato finanziario così che i BPT italiani devono sostenere un onere per interessi di oltre tre punti e mezzo superiore ai titoli di stato della Germania. Un gravame assolutamente insostenibile che ha richiesto la stesura di quattro, diconsi quattro manovre. L’ultima è il risultato della pressione della Banca Centrale Europea e degli stimoli di Draghi e Napolitano. Alla fine anche Berlusconi e Bossi hanno capito che la crisi era di tale ampiezza da richiedere interventi straordinari. Le comiche agostane saranno ricordate negli annali del berlusconismo come straordinaria espressione di improvvisazione e incompetenza al potere. Si è passati dal cuore sanguinante di Berlusconi, al sangue e champagne del meeting di Arcore, per arrivare ad una manovra di 54 miliardi di tagli al già fragile welfare e di nuove tasse. La pressione fiscale, per chi paga le tasse, arriverà al 45 per cento, sostiene la Marcegaglia.
Si tratta di una manovra pesante in cui c’è di tutto e di più. Ma con tutta la buona volontà possibile è risultato introvabile lo stanziamento di un solo Euro dedicato alla crescita della nostra economia.
La situazione è così grave che persino la Confindustria si è sentita obbligata a dire al Governo che se non è in grado di gestire la crisi deve farsi da parte. Nella sua storia la Confindustria è stata sempre filogovernativa. Per arrivare a richiedere un esecutivo diverso se il governo Berlusconi, Bossi e Scilipoti non cambia passo, la situazione è certo allarmante. L’eroico Bonanni si è reso conto che il suo amico ministro Sacconi ha fatto il furbo imponendo nel decreto un dispositivo che distrugge l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e rende possibile che una contrattazione aziendale, prescinda da leggi e contratti. Non bastano le oltre quaranta tipologie contrattuali presenti in Italia, non basta la precarietà attuale, bisogna andare oltre nello svilimento del lavoro.
Nonostante l’allarme generale, Berlusconi ha deciso di parlare ogni quindici giorni. Non è andato al Senato per approvare il decreto di cui parliamo, ma ha ripreso la parola all’incontro dei giovani del PDL. Un discorso, quello del Capo, che ha spaziato in tutti i campi e ci ha rinfrescato la memoria sulla storia recente. Sapete chi è stato a far esplodere il debito pubblico italiano? Eravate convinti che i responsabili fossero stati i governi di pentapartito diretti da Andreotti e Craxi? Vi sbagliavate: il debito pubblico è esploso con il compromesso storico. E’ Berlinguer il vero responsabile. Il PCI non ha avuto mai ministri, a parte quelli dei governi dal 1946 al 1947, ma è per responsabilità dei comunisti che oggi Berlusconi è obbligato a far miracoli per salvare l’Italia dalla bancarotta. Che il PCI si sia dissolto da due decenni, è una quisquilia. C’è poco da ridere. Ai plaudenti giovani del meeting il racconto berlusconiano è piaciuto moltissimo. L’avanspettacolo è un format apprezzato anche dalle nuove generazioni.
Difficile capire dove si andrà a finire. La tenuta sociale di un Paese è cosa delicata che si può frantumare all’improvviso se il futuro appare come un buco nero. Ci vorrebbe una classe dirigente capace di ridare qualche speranza ai milioni di uomini e donne che giorno dopo giorno vedono peggiorare la situazione loro e principalmente quella dei propri figli.
Il centrosinistra non è riuscito ad imporre al Paese una discussione sulle idee alternative a quelle del governo. Impossibile farlo in Parlamento per il ricorso sistematico al voto di fiducia imposto dalla destra. Forse sarebbe stato possibile farlo in un rapporto più intenso con i cittadini e con le forze produttive più consapevoli.
E’ senso comune il fatto che la crisi sarà pagata dai ceti meno abbienti e dalle giovani donne e uomini a cui è negata ogni prospettiva positiva.
Le grandi ricchezze non saranno sfiorate dalla manovra. Rimane incomprensibile il fatto che non ci sia stata una campagna di massa del centrosinistra sull’esigenza di una patrimoniale che assicurasse le risorse per una politica di sviluppo. Eppure una discussione c’è anche in una parte della grande borghesia.
In Francia, negli Stati Uniti e anche in Italia una minoranza di benestanti sostiene la giustezza di una tassazione che, per l’emergenza, colpisca anche i grandi patrimoni. Perchè non si è riusciti ad imporre un confronto su questo semplice tema?
Non conosco la risposta. Sembra che nel PD continui a prevalere la malattia infantile del riformismo: la leaderite acuta.
Parlando con un vecchio compagno ci è venuto spontaneo riflettere che se il nuovo che avanza nel centrosinistra è rappresentato dal Renzi type, ci spetterà di subire ancora per molti anni gli “inossidabili” dei decenni passati. Che senso ha in una situazione così drammatica impegnare energie e discussioni su chi dovrà essere il leader della coalizione che si contrapporrà ai berluscones? Personalmente sono assolutamente certo che il PD ha bisogno di un profondo processo di rinnovamento ma non credo affatto che il meccanismo dei levati tu che mi ci metto io, sia il metodo migliore. Il rinnovamento non può che partire dalle idee, dall’anima che il PD non è riuscito ancora a costruire. Non si è ancora capito il disastro prodotto nella democrazia italiana dai partiti “personali” e dalla leaderite? Possibile che nonostante le ripetute sconfitte non si riesce a trovare la strada per far uscire gli uomini e le donne del centrosinistra dai meccanismi della casta?