Un’estate passata a contare i “venerdì neri” della borsa non è stata una bella estate.
Eppure la stagione era iniziata bene: Tremonti, Bossi e Berlusconi ci avevano assicurato che i conti pubblici italiani erano sotto controllo e che i fondamentali della nostra economia erano solidissimi. Avevamo qualche problemino del tipo occupazione giovanile e femminile e l’assoluta mancanza di sostegno alle famiglie stava provocando un impoverimento diffuso in tutto il Paese, ma per i nostri governanti non c’era bisogno di grandi interventi per affrontare la crisi. In poche settimane tutto è cambiato: il debito pubblico italiano è entrato nel mirino del mercato finanziario così che i BPT italiani devono sostenere un onere per interessi di oltre tre punti e mezzo superiore ai titoli di stato della Germania. Un gravame assolutamente insostenibile che ha richiesto la stesura di quattro, diconsi quattro manovre. L’ultima è il risultato della pressione della Banca Centrale Europea e degli stimoli di Draghi e Napolitano. Alla fine anche Berlusconi e Bossi hanno capito che la crisi era di tale ampiezza da richiedere interventi straordinari. Le comiche agostane saranno ricordate negli annali del berlusconismo come straordinaria espressione di improvvisazione e incompetenza al potere. Si è passati dal cuore sanguinante di Berlusconi, al sangue e champagne del meeting di Arcore, per arrivare ad una manovra di 54 miliardi di tagli al già  fragile welfare e di nuove tasse. La pressione fiscale, per chi paga le tasse, arriverà  al 45 per cento, sostiene la Marcegaglia.
Si tratta di una manovra pesante in cui c’è di tutto e di più. Ma con tutta la buona volontà  possibile è risultato introvabile lo stanziamento di un solo Euro dedicato alla crescita della nostra economia.
La situazione è così grave che persino la Confindustria si è sentita obbligata a dire al Governo che se non è in grado di gestire la crisi deve farsi da parte. Nella sua storia la Confindustria è stata sempre filogovernativa. Per arrivare a richiedere un esecutivo diverso se il governo Berlusconi, Bossi e Scilipoti non cambia passo, la situazione è certo allarmante. L’eroico Bonanni si è reso conto che il suo amico ministro Sacconi ha fatto il furbo imponendo nel decreto un dispositivo che distrugge l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e rende possibile che una contrattazione aziendale, prescinda da leggi e contratti. Non bastano le oltre quaranta tipologie contrattuali presenti in Italia, non basta la precarietà  attuale, bisogna andare oltre nello svilimento del lavoro.
Nonostante l’allarme generale, Berlusconi ha deciso di parlare ogni quindici giorni. Non è andato al Senato per approvare il decreto di cui parliamo, ma ha ripreso la parola all’incontro dei giovani del PDL. Un discorso, quello del Capo, che ha spaziato in tutti i campi e ci ha rinfrescato la memoria sulla storia recente. Sapete chi è stato a far esplodere il debito pubblico italiano? Eravate convinti che i responsabili fossero stati i governi di pentapartito diretti da Andreotti e Craxi? Vi sbagliavate: il debito pubblico è esploso con il compromesso storico. E’ Berlinguer il vero responsabile. Il PCI non ha avuto mai ministri, a parte quelli dei governi dal 1946 al 1947, ma è per responsabilità  dei comunisti che oggi Berlusconi è obbligato a far miracoli per salvare l’Italia dalla bancarotta. Che il PCI si sia dissolto da due decenni, è una quisquilia. C’è poco da ridere. Ai plaudenti giovani del meeting il racconto berlusconiano è piaciuto moltissimo. L’avanspettacolo è un format apprezzato anche dalle nuove generazioni.
Difficile capire dove si andrà  a finire. La tenuta sociale di un Paese è cosa delicata che si può frantumare all’improvviso se il futuro appare come un buco nero. Ci vorrebbe una classe dirigente capace di ridare qualche speranza ai milioni di uomini e donne che giorno dopo giorno vedono peggiorare la situazione loro e principalmente quella dei propri figli.
Il centrosinistra non è riuscito ad imporre al Paese una discussione sulle idee alternative a quelle del governo. Impossibile farlo in Parlamento per il ricorso sistematico al voto di fiducia imposto dalla destra. Forse sarebbe stato possibile farlo in un rapporto più intenso con i cittadini e con le forze produttive più consapevoli.
E’ senso comune il fatto che la crisi sarà  pagata dai ceti meno abbienti e dalle giovani donne e uomini a cui è negata ogni prospettiva positiva.
Le grandi ricchezze non saranno sfiorate dalla manovra. Rimane incomprensibile il fatto che non ci sia stata una campagna di massa del centrosinistra sull’esigenza di una patrimoniale che assicurasse le risorse per una politica di sviluppo. Eppure una discussione c’è anche in una parte della grande borghesia.
In Francia, negli Stati Uniti e anche in Italia una minoranza di benestanti sostiene la giustezza di una tassazione che, per l’emergenza, colpisca anche i grandi patrimoni. Perchè non si è riusciti ad imporre un confronto su questo semplice tema?
Non conosco la risposta. Sembra che nel PD continui a prevalere la malattia infantile del riformismo: la leaderite acuta.
Parlando con un vecchio compagno ci è venuto spontaneo riflettere che se il nuovo che avanza nel centrosinistra è rappresentato dal Renzi type, ci spetterà  di subire ancora per molti anni gli “inossidabili” dei decenni passati. Che senso ha in una situazione così drammatica impegnare energie e discussioni su chi dovrà  essere il leader della coalizione che si contrapporrà  ai berluscones? Personalmente sono assolutamente certo che il PD ha bisogno di un profondo processo di rinnovamento ma non credo affatto che il meccanismo dei levati tu che mi ci metto io, sia il metodo migliore. Il rinnovamento non può che partire dalle idee, dall’anima che il PD non è riuscito ancora a costruire. Non si è ancora capito il disastro prodotto nella democrazia italiana dai partiti “personali” e dalla leaderite? Possibile che nonostante le ripetute sconfitte non si riesce a trovare la strada per far uscire gli uomini e le donne del centrosinistra dai meccanismi della casta?

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