da Francesco Mandarini | Dic 22, 2011
Poteva far meglio il governo Monti? Con il massimo rispetto, sì. La manovra appena approvata dalla Camera contiene misure che aggravano la pressione fiscale e colpiscono in larga misura il ceto medio e le fasce più deboli della società italiana. Il rischio della recessione non è più un rischio è la dura realtà con cui dovremo convivere e non si sa per quanto tempo. L’Europa ha ottenuto quello che voleva: tagli al sistema delle pensioni e ridimensionamento dello stato sociale. I dogmi liberisti sono stati rispettati anche dal governo dei professori. Sarà sufficiente per placare la voracità dei mercati finanziari? Non è stato sufficiente quando la ricetta “tedesca” è stata applicata alla Grecia, perchè dovrebbe dare risultati diversi per l’Italia? E’ indubbio il salto di qualità del governo guidato da Monti rispetto ai governanti (sic!) precedenti, ma di là dall’estetica le misure votate non incidono in nulla nelle contraddizioni fondamentali della società italiana. Quel dieci per cento degli italiani che possiede il cinquanta per cento della ricchezza nazionale non partecipa, se non per quisquilie, ai sacrifici imposti dalla crisi al resto del popolo italiano. Le misure anti evasione? Siamo alla promessa consueta di più controlli? Poco più. Una forma di patrimoniale si riesce a intravvedere, ma le grandi ricchezze non sono toccate. Si aiuta il sistema bancario, ma non si vincolano le banche a utilizzare le risorse ottenute per favorire il sistema produttivo. Si parla di esigenza di aiutare la piccola imprenditoria, ma il sistema pubblico i suoi debiti alle imprese continua a non pagarli. Ammontano a sessanta i miliardi di Euro i crediti che i diversi fornitori del sistema pubblico hanno accumulato negli anni. Esiste una direttiva europea che impone i pagamenti in tempi certi. Gli europeisti al governo non ne prevedono ancora l’applicazione? Eppure la morsa della crisi sarebbe attenuata se nelle discussioni di Bruxelles si ponesse la questione di quel patto di stabilità che paralizza l’azione anche dei comuni o le regioni virtuose. Molti di loro potrebbero investire ma non possono farlo proprio per i vincoli posti dal patto di stabilità . Se il problema è la crescita, non è il caso di liberare queste risorse? Liberalizzare è il credo di chi ritiene salvifico il libero mercato. Utile sarebbe capire se quello che è stato liberalizzato ha prodotto vantaggi per i consumatori. Telefonare oggi costa certamente meno, ma se si pensa alle assicurazioni o ai costi dell’energia, di benefici se ne sono visti pochissimi. O sbaglio? L’unica nuova liberalizzazione prevista è quella delle edicole! Colpisce che il Commissario Europeo, Monti, sia stato così determinato da sconfiggere i tentativi monopolistici del gigante Microsoft e abbia invece, per adesso, perduto nel suo scontro con i farmacisti italiani. Il presidente Monti ha cercato di intervenire anche sulla dibattuta questione dei costi della politica. Non c’è riuscito perchè la materia è di competenza del Parlamento. Sulla competenza non ci sono dubbi. Domanda: com’è possibile che i parlamentari non sentano come urgente fare quelle scelte che dimostrino la volontà di superare una situazione come quella dei benefit di cui godono? Come non capire che è una materia che per il popolo è divenuta primaria? Non parlano con la gente? Non leggono i giornali? In Italia di caste e di privilegi ce ne sono a iosa in tante categorie, ma nel senso comune è il “politico” quello che ha fama peggiore. Certo molto dipende dalla storica avversione verso la politica. E non va dimenticato mai che il successo del padrone di Mediaset è avvenuto nel campo politico grazie al suo apparire l’antipolitico per eccellenza e va ricordato che il qualunquismo è una pianta parassitaria coltivata da molti. Ma intervenire per annullare privilegi ingiustificabili è vitale se si vuol recuperare un apprezzamento per l’impegno in politica. Alcune decisioni sono state prese dagli organi parlamentari e sarebbe sbagliato non apprezzarle, ma la questione deve stimolare una riflessione su quello che la politica deve urgentemente fare per rigenerare un rapporto con il popolo.
La crisi della democrazia non è prerogativa di quella italiana. In tutto l’occidente, il mondo delle istituzioni democratiche è stato fagocitato dai grandi conglomerati economici. Lo viviamo ogni giorno. L’affidabilità di un debito pubblico è decisa da pochissime entità private possedute anche da chi specula sui mercati mondiali. Tutto ciò c’entra poco con la democrazia e con il libero mercato. Se intendo bene l’insegnamento del liberalismo, il libero mercato aborrisce i conflitti d’interesse. Purtroppo abbiamo a che fare con classi dirigenti incapaci di contrastare l’avidità di pochi, esse preferiscono scaricare sui più deboli i costi delle crisi provocate in nome della libertà di mercato.
da Francesco Mandarini | Dic 13, 2011
Un altro vertice europeo si è concluso con la consueta foto di gruppo dei capi di governo. Sui risultati conseguiti, vi sono pareri discordi ma una cosa è certa: la Gran Bretagna non ha la minima intenzione di accettare vincoli di alcun tipo per l’attività della City e, al prossimo incontro, Cameron non sarà invitato. L’Europa è più debole, la Gran Bretagna in isolamento è un problema per tutti, anche per gli inglesi. Molti sostengono che i nuovi trattati sono una vittoria di Angela Markel e della sua volontà di mettere sotto controllo teutonico i bilanci di tutti gli Stati europei. Il vincolo del pareggio di bilancio diviene la regola indiscutibile al di là delle concrete esigenze degli altri fattori economici e dei diversi cicli dello sviluppo. L’Euro è salvo? Dipenderà da come i mercati apprezzeranno le rigidità decise a Bruxelles. Continuiamo a essere nelle mani di chi ha causato la crisi. Sgradevole che gli Stati Uniti, artefici del disastro che sconvolge il mondo dal 2008, diano lezione agli europei su come risolvere la crisi finanziaria provocata dalle politiche lassiste delle amministrazioni americane degli ultimi venti anni. La possibilità che le cure da cavallo delle “manovre” nazionali di lacrime e sangue non servano a fermare la vendita dei titoli pubblici, è tra le ipotesi più accreditate. Scrive Mario Deaglio sulla “Stampa”: A questo punto, l’interrogativo diventa politico: è socialmente sostenibile una simile situazione, oppure i governi europei rischiano di essere travolti da una protesta sociale tanto più grave quanto più disordinata e priva di larghi orizzonti? Quanto dirompente potrebbe essere una simile protesta? Non sarebbe stato preferibile adottare un sentiero più flessibile, consentendo maggiore liquidità al sistema produttivo e bancario e impedendo che tutto sia condizionato da giudizi istantanei di Borse capricciose? Il tempo, senza dubbio, dirà se i leader europei hanno fatto complessivamente una scommessa giusta. I rischi, per l’Europa e l’economia mondiale, non sembrano, in ogni caso, essere stati sensibilmente ridotti ma soltanto trasferiti dall’economia e dalla finanza alla politica e alla società . Quelle di Deaglio sembrano parole al vento. Nonostante che venga da tutti riconosciuto l’inizio di recessione nelle economie europee, i capi riuniti a Bruxelles hanno avuto a cuore esclusivamente la tenuta dei saldi di bilancio e assicurato il sistema bancario sulle risorse loro necessarie. Il professor Monti ci rassicura che il vertice non è stato un fallimento. Avrà anche ragione, ma l’impressione di molti è diversa. Non tutti sono convinti che la riaffermazione del principio liberista del bilancio in equilibrio in qualsiasi circostanza sia la panacea per i problemi che abbiamo da affrontare. Quanto sta succedendo in Grecia, non è di conforto per coloro che si apprestano a subire cure simili. Domande. Se non ci sarà crescita da dove verranno le risorse per pagare il debito? Quali sono i provvedimenti che i governi conservatori europei hanno in mente per aumentare la ricchezza dei Paesi? Per quanto riguarda il governo Monti, la manovra ha come caratteristica essenziale l’aumento della pressione fiscale e il taglio del sistema pensionistico. Parlare di equità nei sacrifici sembrerebbe una forzatura. Tanto è vero questo che Monti ottiene un risultato da record: dopo venti giorni di governo deve incassare uno sciopero dei sindacati contro i suoi provvedimenti. Giusto lo sciopero? Forse è meglio uno sciopero che rivolte di piazza incontrollate. Monti ha avuto il merito di svelare l’inganno in cui siamo vissuti per così tanti anni: l’aumento del debito pubblico ha consentito al Paese di vivere sopra i propri mezzi. Le classi dirigenti politiche, ma non solo, non hanno avuto la capacità di risanare i conti pubblici pur di mantenere il consenso politico e sociale. Converrà il capo del governo che non a tutti i ceti è stato consentito di arricchirsi a spese del denaro pubblico. E se c’è un problema di equità nei sacrifici sarebbe giusto che chi più ha avuto più dovrebbe dare in tempi di crisi. Purtroppo il decreto in discussione conferma che il peso della crisi sarà sopportato dal mondo del lavoro in attività o in pensionamento. Difficile non indignarsi quando dei beni pubblici sono regalati mentre i pensionati si vedono sterilizzare la pensione e i giovani rimangono precari. A cosa mi riferisco? Gli addetti ai lavori sanno che le frequenze digitali terrestri ancora libere hanno un valore rilevante. Alcuni lo valutano a quattordici miliardi di Euro, i più prudenti si fermano a quattro. Regalarle a Mediaset e alla RAI non sembra al professor Monti in conflitto con i principi della libera concorrenza di cui egli è stato alfiere in Europa?
da Francesco Mandarini | Dic 7, 2011
Quello che ci aspetta è una fase di sacrifici. Il rischio per il Paese è così alto che tutti saranno costretti ad accettare quanto il governo Monti si appresta a deliberare nel consiglio dei ministri di lunedì. E’ questo che sostengono gli opinion maker di destra, di centro, di sinistra. Che cosa proporrà il governo Monti? I giornali sono pieni di prospetti e di anticipazioni su cosa accadrà nel nostro sistema pensionistico e in genere su chi sarà chiamato a sostenere l’onere maggiore per dare tranquillità ai mercati finanziari. Rigore ed equità sono le parole magiche rivendicate da tutti affinchè la maggioranza del popolo accetti di veder ridimensionato il proprio reddito. Rigore verso chi? Essendo il Paese che negli ultimi due decenni ha visto lo spostamento massiccio della ricchezza nazionale dai redditi da lavoro a quelli delle rendite finanziarie e/o immobiliari, ci si aspetterebbe una politica economica che faccia pagare a chi si è arricchito di più e non a coloro che si sono “impoveriti” negli anni. Per ottenere questo risultato lo strumento più logico e più utilizzato nel mondo, è quello della tassazione sui patrimoni accumulati. Lo affermano in molti e non soltanto per ragioni di giustizia sociale, ma anche per evidenti motivi economici. L’avidità , è accertato, non produce benessere collettivo ma rabbia e frustrazione in chi la subisce. Premiare di nuovo l’egoismo proprietario non implementa i consumi e non aiuta a invertire la tendenza al disastro. Il professor Monti avrà certamente letto le conclusioni del 45° Rapporto del Censis e avrà fatto tesoro del quadro allarmante sulla situazione del Paese. I più in sofferenza sono i giovani che continuano a pagare il prezzo più alto in termini di non lavoro o di lavoro precario. E’ aumentata l’area di giovani che non lavorano e non studiano. Ciò rende incerto il destino di tutti. La fascia delle nuove povertà si è allargata inglobando pezzi di ceto medio e non solo di lavoratori e pensionati. Sono gli stessi ceti che hanno bisogno di avere una struttura pubblica di servizi al cittadino senza la quale si diventa ancora più poveri. Il passato governo ha già inciso profondamente sulla qualità e quantità dell’offerta pubblica in settori decisivi come la scuola, i trasporti, la sanità . Regioni e amministrazioni locali hanno bilanci ridimensionati da anni. Si deve sollecitare una vigorosa lotta agli sprechi e alle burocrazie, ma bisogna prendere atto che la struttura decentrata dello Stato non è più in grado di sostenere la spesa in settori vitali per la tenuta sociale. L’esigenza di innovare il modo d’essere di una comunità , è frustrata dall’impossibilità di investire risorse adeguate a rendere le infrastrutture capaci di affrontare le sfide di uno sviluppo che non può che avere una qualità diversa da quello conosciuto. Bisogna intendersi su quale crescita necessita per l’Italia. C’è bisogno di una crescita nei consumi delle famiglie, ma un Paese cresce anche attraverso l’aumento dei consumi collettivi. Si cresce anche con una scuola migliore e con una sanità efficace. Una crescita compatibile con le problematiche ambientali richiede investimenti in ricerca e innovazione. Tagliare la spesa pubblica con l’esclusivo criterio del pareggio di bilancio e senza una valutazione costi/benefici dei tagli, può essere rigoroso ma certo non è equo e può produrre disastri. Quanto successo in Grecia dovrebbe essere tenuto presente per evitare gli stessi errori. Il ridimensionamento dello stato sociale, la svendita del patrimonio pubblico, l’abbassamento di salari stipendi e pensioni, non ha fatto uscire la Grecia dal disastro provocato dalle politiche liberiste imposte dalla Signora Merkel.
Anche da noi sembra un dato acquisito che il sistema pensionistico sia uno dei problemi decisivi per affrontare il disastroso debito pubblico. Spendiamo troppo, sostengono quasi tutti. I conti della spesa previdenziale sono insostenibili, la verità rivelata. E’ veramente così? In Italia la spesa previdenziale si calcola al lordo. Cioè non si considera quanto il pensionato restituisce in tasse. In Francia e in Germania il conto si effettua al netto. Cioè quanto il pensionato mette in tasca. Applicando la stessa metodologia non esisterebbero differenze sostanziali tra la nostra spesa pensionistica e quella dei nostri partner europei. Nei conti dell’INPS del 2009 il saldo tra le entrate contributive e gli assegni effettivamente erogati, era di un avanzo di Euro 27,6 Miliardi. Andiamo in pensione troppo presto, dicono. E’ vero? Per gli uomini in Italia l’età media di pensionamento è di 61,1 anni. In Francia è 59,1 anni. E in Germania? Incredibile, l’età media è di 61,8. Siamo lì, o No? Si capisce la rabbia dei sindacati rispetto alle voci giornalistiche d’ulteriori tagli alle pensioni. E si capisce anche l’imbarazzo del PD. Imbarazzo che diverrebbe complesso da gestire se il veto della destra a qualsiasi forma di patrimoniale, sarà accettato da Monti.
La sobrietà è tornata a essere un valore apprezzato dalla gente comune e certo fa una certa impressione sapere che il presidente del consiglio quando va a una Mostra paga il biglietto. Si capisce però poco che lo stesso Monti, giustamente critico nei confronti del teatrino della politica, abbia scelto di andare a illustrare i provvedimenti del governo nel tempio del suddetto teatrino: Porta a Porta. L’opinione pubblica ha ancora in mente gli spettacoli con la regia di Bruno Vespa. Chi non ricorda il leggendario contratto con gli italiani firmato in diretta dal Presidente dell’A.C.Milan? Per la salute mentale di tutti noi speriamo che il professore tra gli altri esperti acquisisca un teorico della comunicazione. Se lo avesse avuto già nella squadra siamo certi che, martedì prossimo, sarebbe andato a pagamento ad ascoltare un concerto.
Corriere dell’Umbria 4 dicembre 2011