da Francesco Mandarini | Mag 20, 2012
Che succede a Perugia? Sono ormai giorni che il centro della città è presidiato da ingenti forze dell’ordine che se da un lato rassicurano, dall’altro dimostrano che la capitale dell’Umbria ha seri problemi. Quali? Sottovalutare lo stato di disagio e d’insicurezza di alcuni settori della città sarebbe un errore. Troppi gli episodi di sgradevole presenza di gruppi di pusher che vendono la loro merce per le strade prospicienti il centro come se fosse parmigiano reggiano. Per motivi complessi Perugia, ma non solo, negli anni è divenuta una città in emergenza droga. Che sia la capitale europea della droga è indubbiamente una semplificazione del pessimo giornalismo in voga in questi tempi difficili e d’irresponsabili strumentalizzazioni politiche che non aiutano a trovare soluzioni razionali al problema. Ma certo che un problema serissimo c’è se molti perugini riscontrano un forte malessere nel vivere in certe ore la loro città . Una rigorosa e intelligente risposta di ordine pubblico è nelle cose da fare. Utile sarebbe evitare insensate enfatizzazioni del problema che, proprio perchè è già serio in sè, non ha bisogno di propaganda ma di concreti risultati nel contrastare un processo di degrado sociale al cui interno la diffusione della droga è soltanto uno dei segnali. Non sarebbe utile alla città se la classe dirigente cogliesse l’occasione per una discussione sui caratteri della Perugia degli ultimi decenni? Per quanto ne ho capito la mia città ha innanzi tutto visto ridimensionare la sua base produttiva. Permane certo un tessuto imprenditoriale ma ridimensionato in maniera rilevante rispetto a quello che, negli anni sessanta e settanta, garantiva a marchi “perugini” la presenza su molti mercati mondiali. Si dirà che la deindustrializzazione è stata un processo nazionale ed è vero, ma in altre parti del Paese è cresciuto un terziario avanzato che da noi non è riuscito a decollare per debolezza dell’imprenditoria ma anche per l’incapacità del settore pubblico a riconvertirsi e a sburocratizzarsi utilizzando la leva dell’innovazione tecnologica. In una regione in cui più della metà del prodotto interno lordo è riconducibile alla spesa pubblica, se questa non si riconverte, non esiste domanda sufficiente a far crescere un terziario avanzato degno di questo nome. Le poche esperienze imprenditoriali, e ve ne sono state, nel settore dell’innovazione dei processi non hanno trovato nella pubblica amministrazione un interlocutore. Le risorse pubbliche investite nell’informatizzazione della macchina amministrativa quantitativamente ridotte sono tenacemente spese male. Ci vorrebbe un saggio per descrivere le scelte urbanistiche affermatesi a Perugia in questi decenni. Lo svuotamento di tutte le funzioni dirigenziali del centro ha fatto da pendant a quello dei rioni storici e della rete delle stradine che portano al centro. Il vuoto è protagonista di molte parti della città , questo è il dato. Basta anche un sommario esame di quanta parte del patrimonio edilizio inutilizzato esiste oggi dentro le mura cittadine, per capire che forse è tempo di riflettere su quanto è stato fatto in questi anni. Molti si scandalizzano perchè migliaia di giovani la sera, fino a tardi, deambulano con bicchieri di plastica nelle strade. Possono fare altro? Quale alternativa, quali spazi per il tempo libero hanno i giovani? Cinema Lilli, chiuso da vent’anni? Modernissimo, da dieci? Cinema Turreno, da cinque? In tante città le multi sale sono state create anche nel centro della città . Perchè da noi no? L’imprenditoria perugina in questi casi non fa una gran figura. Per fortuna almeno il Teatro Pavone ha saputo trovare una strada di riconversione culturalmente intelligente che sta funzionando. Non miglior figura spetta al settore pubblico rispetto alla leggendaria telenovela della riconversione del Mercato Coperto. Quanti anni dal primo progetto? Ero un giovane dirigente politico quando iniziò la prima discussione e le prime scelte. Sono un anziano pensionato e ancora nulla. Che dire della riconversione del vecchio Tabacchificio di Via Cortonese? Doveva essere un contenitore per le aziende del settore informatico operanti a Perugia in accordo con l’Università . Obliato. Soltanto recentemente ho risentito parlare del recupero degli spazi ex-carcere di Piazza Partigiani. Pratica iniziata tra Regione e Ministero della Giustizia nel millenovecentoottantasette. Dopo venticinque anni se ne riparla. Come tempo di elaborazione non male, così speriamo per il meglio. Si potrebbe andare avanti con altri esempi. Esempi che confermano un problema già noto. Quello della qualità delle classi dirigenti. Utilizzando categorie “marxiane” si potrebbe semplificare rammentando che le sovrastrutture dipendono sempre dalle strutture materiali. Traduco: che classe dirigente può esprimere una città impoverita nella sua base produttiva? La speranza è l’ultima a morire e forse un giorno Perugia potrà tornare a svolgere il ruolo che le compete.
Corriere dell’Umbria 20 maggio 2012
da Francesco Mandarini | Mag 13, 2012
Gli italiani s’innamorano di parole che spesso non significano nulla. Sono etichette che si danno per attaccare un avversario politico o per autodefinirsi. Un esempio? Riformismo. Non c’è partito che non si autodefinisca riformista. Cosa e come riformare? Lo spiegano sempre senza fartelo capire i riformisti di destra, di centro, di sinistra. Da mesi è in voga il concetto di antipolitica. Che cosa significa? Sono antipolitici gli insulti di Grillo e non le risse quotidiane del teatrino della politica? Certo Grillo fa spettacolo nelle piazze e nei teatri mentre il ceto politico “istituzionalizzato” preferisce le aule parlamentari e i talk show televisivi. Ma è buona politica quella che ci hanno riservato in questi anni capi del governo, ministri, sottosegretari e parte consistente dei “nominati” in Parlamento? Che dire della diffusa pratica di cambio casacca, previo lauto premio d’ingaggio, di senatori e deputati? Quella è la politica con la “p” maiuscola? Analizzando i risultati elettorali di domenica scorsa sembrerebbe che gli elettori non la pensino così. A iniziare dal crollo della partecipazione al voto per passare alla liquefazione del centrodestra, del terzo polo e dello stallo del PD e della sinistra, sembrerebbe che tutte le forze politiche in campo dovranno trovare altre strade per recuperare consensi elettorali. Demonizzare Grillo serve a poco. A significare l’intollerabilità per una situazione sociale gravissima, l’elettorato ha dato segnali inequivocabili. Si dirà che sono state elezioni amministrative parziali, ma non era un sondaggio. Gente in carne ed ossa ha deciso di non votare, di punire certi partiti o di votare per il movimento di Grillo in maniera consistente. Il comico genovese ha sostenuto una tesi su cui riflettere: meglio i Grillini che i fascisti di Atene. Lo credo anch’io. La tornata elettorale del sei maggio è stata esemplare per dimostrare il disagio generale dell’Europa per lo stato dell’economia. Se in Italia si afferma il Movimento cinque stelle, in Grecia i nazisti entrano in parlamento e il partito dei Pirati in un Land tedesco con vivo disappunto della cancelliera di ferro. Fortunatamente in Francia vince Hollande. Dopo il rilevante risultato del Fronte Nazionale di Le Pen, alla Bastiglia la festa l’hanno fatta gli elettori del candidato socialista. La dobbiamo fare anche in Italia. Se l’Europa non inverte la rotta suicida dell’austerità a prescindere dall’analisi dei risultati prodotti nella vita concreta delle comunità , l’Europa non uscirà dalla recessione e l’esercito dei disoccupati di ogni età non potrà che crescere. Il governo Monti ha annunciato provvedimenti che dovrebbero innescare una crescita. Bene, era tempo. Per “riformare” il sistema pensionistico Monti ha impiegato poche settimane. Perchè occorrono mesi per attivare provvedimenti richiesti da tempo dalle forze sociali, da economisti non ottenebrati dall’ideologia fallimentare che ci ha portato al disastro? La svolta francese può essere un passaggio decisivo per interrompere il processo di disgregazione, innanzi tutto sociale, dell’Europa. Vendola ha dichiarato che un “manifesto” di centrosinistra simile a quello con cui Hollande ha vinto in Francia sarebbe subito sottoscritto dal suo partito. Il nuovo presidente francese non è certo riconducibile alla categoria degli estremisti di sinistra: il suo è un programma che dà sostanza alla parola “riformismo”. Non è tempo che i partiti che si collocano all’interno del centrosinistra si dotino di un programma che abbia le stesse caratteristiche? A sinistra comunque qualcosa di nuovo sta succedendo. L’appello per la creazione di un nuovo soggetto politico che, di là delle sigle e di stagionati leader in campo, sappia costruire una piattaforma d’idee e valori per una sinistra democratica che faccia dei “beni comuni” il terreno attorno al quale cui creare l’alternativa al neo-liberismo. E’ nata ALBA. Non è un nuovo partito ma un contenitore d’idee e di proposte che sollecita il contributo di tutti coloro che non si arrendono al declino della democrazia italiana ed europea. Come per i referendum dello scorso anno sull’acqua, i grandi opinion maker hanno ignorato l’avvenimento, confermando la consueta scarsa attenzione al nuovo. I mass media non hanno parlato dell’incontro di Firenze e dei mille intervenuti per discutere di politica e non di candidature. L’ha fatto soltanto “Il Manifesto”. Forse i grandi giornali dovranno occuparsene. Dipenderà dalla tenacia con cui i promotori di ALBA porteranno avanti il loro progetto imparando a interloquire con la sinistra già organizzata, con concrete proposte volte a risolvere le grandi contraddizioni del Paese.
Corriere dell’Umbria 13 maggio 2012
da Francesco Mandarini | Mag 6, 2012
I terremoti accadono. Anche gli tsunami. Non è colpa nostra se accadono. Ma perchè a queste tragedie dobbiamo aggiungere dei disastri causati da noi stessi? àˆ criminale questa ignoranza di quanto è avvenuto nel passato, l’economia deve essere al servizio della gente, e non viceversa. In un dibattito a Roma di mercoledì passato, con queste parole il premio Nobel per l’economia Jo Stigliz, ha sollecitato Mario Monti a prendere lezione dalla storia economica per evitare la ripetizione degli errori già fatti sotto il vessillo dell’austerità . L’austerità da sola ucciderà il malato, sostiene Stigliz, è provato che nessuna grande economia si è mai ripresa solo con questa medicina. Nei pochi casi in cui ha funzionato, è stato per piccole economie e grazie a dei fattori sui quali l’Europa non può contare: la svalutazione o il boom economico di un paese verso il quale si esporta. Non sappiamo se il professor Monti ha apprezzato la lezione del professore statunitense. Forse sì se è vera la notizia che il piano che Monti porterà a Bruxelles all’inizio di giugno prevede lo scorporo delle spese per investimenti e del pagamento dei debiti dello Stato verso le imprese dai parametri di Maastricht. Si tratta di una scelta obbligata considerando la situazione sociale ed economica del nostro Paese. Perfettamente inutile ripetere i dati della disoccupazione e della mortalità delle imprese. Così si va dritti al disastro e anche le giuste misure prese dal governo Monti rischiano di trasformarsi esclusivamente in salassi verso la popolazione implementando la sensazione di vivere in una società allo sbando in cui le istituzioni sono in guerra l’una contro le altre armate. Un esempio? Il ripristino della tassazione sulla casa è stata scelta obbligata. Non esiste nazione civile in cui i cittadini non devono pagare una tassa sulla casa. Irresponsabile è stato togliere l’ICI per ragioni esclusivamente di consenso elettorale. Il problema è la dimensione della tassazione e il beneficiario dei proventi. Le amministrazioni locali e regionali subiscono ormai da anni tagli consistenti dei trasferimenti centrali. Paralizzati dal patto di stabilità , anche i più virtuosi sono impossibilitati a mantenere servizi essenziali ai cittadini. Negare che sussistono in molti enti sprechi e cattivo funzionamento nel rapporto degli amministratori con i cittadini è cosa vana. Permangono sacche d’inutile burocrazia e di pessima gestione dei beni comuni. Scadente la progettualità di molte strutture pubbliche. Le idee nuove sono rare in tutti i settori della classe dirigente e l’ascolto verso l’inventiva, quando c’è, della società civile rasenta lo zero. Anche in aree che nel passato hanno dimostrato capacità innovative importanti, prevale l’interesse al facile consenso e al consolidamento dei “clientes”. Riconosciuto tutto questo: le amministrazioni locali non possono essere trasformate in esattori delle tasse statali e contemporaneamente non essere i primi beneficiari della nuova tassa sulle proprietà immobiliari. A Londra o a Parigi o a Bruxelles la tassazione sulla casa è una delle entrate fondamentali di quei grandi Comuni. O no? La tenuta sociale di un Paese ha origine dalla capacità che hanno i governi locali di rispondere ai bisogni essenziali dei cittadini. Oggi non c’è servizio pubblico che non abbia subito un decadimento e un aumento dei costi per la popolazione anche a causa di un neo-centralismo enfatizzato dal governo Berlusconi-Bossi. Anche da questo punto di vista è stata un’alleanza mortale che pur predicando il federalismo, ha sistematicamente e concretamente ridimensionato l’autonomia locale e regionale. La giusta esigenza di lotta agli sprechi dichiarata dal governo Monti deve partire dalla responsabilizzazione del ceto politico e burocratico che opera nel territorio in un quadro però di valorizzazione dell’autonomia delle comunità . La ricerca di scorciatoie porterebbe soltanto a una conflittualità istituzionale paralizzante. Da parte sua il ceto amministrativo locale farebbe bene a darsi una mossa. L’Umbria sta tornando a essere un’area in bilico tra l’essere la regione più a nord del mezzogiorno d’Italia e la regione più a sud delle aree più avanzate del Paese. Il rischio di tornare a sprofondare nel sottosviluppo non è da ignorare. Purtroppo, alle eccellenze del passato si va sostituendo, in troppi settori, mediocrità e pessimo funzionamento delle strutture amministrative. Si capisce, le risorse sono scarse ma è indiscutibile che le poche che ci sono non sempre sono usate con intelligenza e lungimiranza. E com’è noto, il galleggiare non porta da nessuna parte. In un mare in tempesta c’è bisogno di “capitani coraggiosi” e non di venditori di panna fresca.
Corriere dell’Umbria 2012