I terremoti accadono. Anche gli tsunami. Non è colpa nostra se accadono. Ma perchè a queste tragedie dobbiamo aggiungere dei disastri causati da noi stessi? àˆ criminale questa ignoranza di quanto è avvenuto nel passato, l’economia deve essere al servizio della gente, e non viceversa. In un dibattito a Roma di mercoledì passato, con queste parole il premio Nobel per l’economia Jo Stigliz, ha sollecitato Mario Monti a prendere lezione dalla storia economica per evitare la ripetizione degli errori già  fatti sotto il vessillo dell’austerità . L’austerità  da sola ucciderà  il malato, sostiene Stigliz, è provato che nessuna grande economia si è mai ripresa solo con questa medicina. Nei pochi casi in cui ha funzionato, è stato per piccole economie e grazie a dei fattori sui quali l’Europa non può contare: la svalutazione o il boom economico di un paese verso il quale si esporta. Non sappiamo se il professor Monti ha apprezzato la lezione del professore statunitense. Forse sì se è vera la notizia che il piano che Monti porterà  a Bruxelles all’inizio di giugno prevede lo scorporo delle spese per investimenti e del pagamento dei debiti dello Stato verso le imprese dai parametri di Maastricht. Si tratta di una scelta obbligata considerando la situazione sociale ed economica del nostro Paese. Perfettamente inutile ripetere i dati della disoccupazione e della mortalità  delle imprese. Così si va dritti al disastro e anche le giuste misure prese dal governo Monti rischiano di trasformarsi esclusivamente in salassi verso la popolazione implementando la sensazione di vivere in una società  allo sbando in cui le istituzioni sono in guerra l’una contro le altre armate. Un esempio? Il ripristino della tassazione sulla casa è stata scelta obbligata. Non esiste nazione civile in cui i cittadini non devono pagare una tassa sulla casa. Irresponsabile è stato togliere l’ICI per ragioni esclusivamente di consenso elettorale. Il problema è la dimensione della tassazione e il beneficiario dei proventi. Le amministrazioni locali e regionali subiscono ormai da anni tagli consistenti dei trasferimenti centrali. Paralizzati dal patto di stabilità , anche i più virtuosi sono impossibilitati a mantenere servizi essenziali ai cittadini. Negare che sussistono in molti enti sprechi e cattivo funzionamento nel rapporto degli amministratori con i cittadini è cosa vana. Permangono sacche d’inutile burocrazia e di pessima gestione dei beni comuni. Scadente la progettualità  di molte strutture pubbliche. Le idee nuove sono rare in tutti i settori della classe dirigente e l’ascolto verso l’inventiva, quando c’è, della società  civile rasenta lo zero. Anche in aree che nel passato hanno dimostrato capacità  innovative importanti, prevale l’interesse al facile consenso e al consolidamento dei “clientes”. Riconosciuto tutto questo: le amministrazioni locali non possono essere trasformate in esattori delle tasse statali e contemporaneamente non essere i primi beneficiari della nuova tassa sulle proprietà  immobiliari. A Londra o a Parigi o a Bruxelles la tassazione sulla casa è una delle entrate fondamentali di quei grandi Comuni. O no? La tenuta sociale di un Paese ha origine dalla capacità  che hanno i governi locali di rispondere ai bisogni essenziali dei cittadini. Oggi non c’è servizio pubblico che non abbia subito un decadimento e un aumento dei costi per la popolazione anche a causa di un neo-centralismo enfatizzato dal governo Berlusconi-Bossi. Anche da questo punto di vista è stata un’alleanza mortale che pur predicando il federalismo, ha sistematicamente e concretamente ridimensionato l’autonomia locale e regionale. La giusta esigenza di lotta agli sprechi dichiarata dal governo Monti deve partire dalla responsabilizzazione del ceto politico e burocratico che opera nel territorio in un quadro però di valorizzazione dell’autonomia delle comunità . La ricerca di scorciatoie porterebbe soltanto a una conflittualità  istituzionale paralizzante. Da parte sua il ceto amministrativo locale farebbe bene a darsi una mossa. L’Umbria sta tornando a essere un’area in bilico tra l’essere la regione più a nord del mezzogiorno d’Italia e la regione più a sud delle aree più avanzate del Paese. Il rischio di tornare a sprofondare nel sottosviluppo non è da ignorare. Purtroppo, alle eccellenze del passato si va sostituendo, in troppi settori, mediocrità  e pessimo funzionamento delle strutture amministrative. Si capisce, le risorse sono scarse ma è indiscutibile che le poche che ci sono non sempre sono usate con intelligenza e lungimiranza. E com’è noto, il galleggiare non porta da nessuna parte. In un mare in tempesta c’è bisogno di “capitani coraggiosi” e non di venditori di panna fresca.
Corriere dell’Umbria 2012

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