Massimo D’Alema ha fatto una dichiarazione. Questa: «C’è sempre stato qualcuno più a sinistra, dall’articolo 7 (quello sui Patti lateranensi tra stato e chiesa ndr) in giù che è stato il primo grande inciucio.. Quegli inciuci sono stati molto importanti per costruire la convivenza in Italia.Oggi è più complicato, invece sarebbero utili anche adesso invece questa cultura azionista non ha mai fatto bene al Paese”. Il leader democratico si riferisce alla discussione aperta tra i partiti, dopo l’aggressione subita da Berlusconi a Milano per mano di un instabile di mente.
Stemperare i toni, dicono a destra e a sinistra, il PDL offre un patto costituente a tutti coloro che non alimentano la campagna d’odio verso il Capo. La definizione inciucio è più consona a trattative d’affari loschi che al confronto tra tesi politiche. Per questo è da detestare ma al di là  di questo, il richiamo storico dell’ex presidente della Bicamerale della metà  degli anni ’90, ci sembra imbarazzante per la natura diversa dei protagonisti e per l’oggetto del possibile compromesso.
I protagonisti dell’accordo sull’art.7 furono la DC di De Gasperi e La Pira e il PCI di Togliatti e Terracini, contrario tra gli altri fu il PSI di Nenni e Basso.
Il patto costituzionale dovrebbe essere siglato con Gasparri, Quagliarello, Cicchitto con portavoce Capezzone? L’oggetto, non il tentativo di risolvere la questione della convivenza religiosa, ma modifiche alla Carta Costituzionale che costituzionalizzino l’anomalia del berlusconismo?
La doverosa solidarietà  al presidente del consiglio per l’attacco violento subito, non può trasformarsi nella rimozione delle profonde differenze tra le parti in causa ad iniziare dal diverso rapporto che una parte della destra ha con il dettato costituzionale.
Il dibattito politico deve incivilirsi per il bene della democrazia ma questo sarà  possibile se tutti rifuggono dalle mistificazioni. Il governo della destra ha una maggioranza amplissima che gli consentirebbe di governare secondo il programma presentato agli elettori. Deve e può farlo nel rispetto della Costituzione e delle regole della democrazia. E’ vero, la nostra è una democrazia malata e uno dei sintomi del malessere è la trasformazione del dibattito politico in un evento televisivo. Il parlamento è svuotato di ogni possibilità  di confronto. Il confronto si svolge nei salotti televisivi e diviene volgare scontro dove la fa da padrone l’insulto all’avversario. Si è riusciti a trasformare i cittadini in tifosi da curva nord e la responsabilità  non è affatto tutta dei beceri della destra. L’arroganza e la stupidità  sono patrimonio di protagonisti dai molti colori dell’avanspettacolo della politica italiana. D’Alema che sogna un paese normale, dovrebbe domandarsi in quale parte del mondo la lotta politica è determinata da ciò che si dice a Porta a Porta o a Ballarò. Si può continuare così o c’è bisogno di una svolta anche nella comunicazione dei progetti dei partiti? Che succederebbe se per una fase, anche breve, i dirigenti del centrosinistra rifiutassero di andare a esternare nelle corride televisive? Se a dibattere ci fosse solo l’ottimo Brunetta assieme a Bossi o Castelli, interrogati da Feltri, lo share sarebbe forse problematico.
Bersani ha più volte dichiarato di voler costruire con pazienza e tenacia un partito insediato nel territorio. Non è stato fortunatissimo. Il dopo congresso ha lasciato molti feriti e la scadenza elettorale di marzo non aiuta affatto il segretario a costruire gruppi dirigenti coesi per un progetto riformista. Soltanto in poche regioni sono stati scelti i candidati a presidente e la lotta per un seggio in consiglio provoca in tutto il Paese un disagio che è avvertito ormai con fastidio dal corpo elettorale. Non è che il centrodestra stia messo meglio. Nonostante il carisma di Berlusconi e il suo decisionismo molte partite rimangono aperte e in quelle chiuse, come in Veneto, il clima non sembra serenissimo.
E’ paradossale che nell’apice della crisi della politica la corsa all’incarico pubblico sia di un’intensità  tale da provocare lotte intestine così aspre sia a destra che a sinistra. La spiegazione non può essere tutta nelle prebende che un seggio in consiglio o in giunta assicura. C’è evidentemente anche il fatto che ormai il fare politica è prerogativa esclusiva di chi è eletto da qualche parte. Non esiste più la politica per progettare il futuro in una discussione continua con gli iscritti e gli elettori. La politica è soltanto la delibera, l’atto amministrativo. Che tristezza.
Altra bizzarria. Con la crisi della finanza pubblica, i nostri futuri presidenti, assessori e consiglieri avranno come compito primario quello di tagliare i servizi al cittadino. Che divertimento.
Ciò non ferma nemmeno in Umbria la corsa all’entrata in lista o in qualche strapuntino di un ente pubblico.
Come si dice i giochi sono tutti aperti sia nel PDL che nel PD.
Si passa da una riunione all’altra, le correnti si compattano o si scompongono nell’indifferenza della comunità . Il risultato del congresso del PD in Umbria non ha prodotto una situazione di stabilità  e in mancanza di tentativi di ricomposizione fatti nell’interesse generale del nuovo partito non possono che consolidarsi le divisioni passate. Le campagne acquisti della tornata congressuale non hanno risolto i problemi di un gruppo dirigente lacerato e astioso nelle contrapposizioni personali.
In mancanza di un progetto di partito condiviso tende a prevalere, anche al di là  della volontà  del singolo, l’interesse alla carriera personale. Lo sforzo a cui sarà  chiamato Bersani sarà  titanico non solo per salvare il Lazio o la Campania, ma per impedire che anche l’ex regione rossa, l’Umbria, per mancanza di saggezza collettiva, arrivi alle elezioni di marzo con un centrosinistra sfiancato e lacerato.

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