Il treno diretto al partito democratico ha accelerato la sua corsa. Indetti congresso e manifestazioni varie, il gruppo dirigente diessino guidato da Fassino cerca, nella costruzione di un nuovo partito, la risposta alla difficile situazione del Paese. Sarebbe sciocco non valutare con serietà  il tentativo di aggregare in un unico contenitore le forze che si autodefiniscono riformiste. In generale l’elettorato, anche di sinistra, ritiene ormai intollerabile la spinta alla frantumazione e indecente il proliferare dei “partiti personali” caratteristici di questa lunga transizione politica. La questione vera è se questa spinta all’unità  ha scelto il giusto binario o se, come molti temono, non si tratti di una scorciatoia che porta ad un disastro politico. Rimango convinto che il tempo scelto per fare l’operazione sia sbagliato. Con un’esperienza governativa travagliata come quella di Prodi, la priorità  doveva essere amministrare al meglio una situazione precaria come quella lasciata dal governo delle destre. E’ un’opinione ormai ininfluente: ad aprile il più significativo partito della sinistra italiana deciderà  di approdare in una nuova identità  politica. Una identità  ancor oggi incerta nei suoi valori e nella sua visione del mondo e dell’Italia. Non sappiamo se prevarrà  quella del “rutellismo” e soci o quella di Alfredo Reichlin. L’impressione è che, come sostiene più di un osservatore, si vada verso un partito all’americana dove tutto si decide attorno ai candidati e in cui le strutture portanti saranno i comitati elettorali.
Non è già  oggi così? Difficile negare il fatto che i partiti del centrosinistra siano in grado di mobilitare i propri iscritti ed elettori esclusivamente in occasione di qualche tornata elettorale. La destrutturazione delle organizzazioni territoriali e la marginalizzazione del ruolo del “militante” ha reso precario il rapporto tra la base e i vertici dei partiti. Un tempo ad ogni campanile corrispondeva una sezione. Oggi i leader in genere comunicano tramite stampa e televisione.
Il successo del meccanismo delle primarie per la scelta dei candidati è la conferma in positivo della voglia della gente di partecipare. Non potendolo fare in altre circostanze, perchè non sollecitate dai partiti, si va a votare per scegliere il candidato come occasione di democrazia. Poi si conferma il meccanismo della delega in bianco e la politica torna ad essere cosa riservata alle oligarchie piccole e grandi. Non sarebbe tempo di invertire questa tendenza? Non sarebbe questo un problema da mettere al centro del nuovo partito? Per adesso non è così. Nonostante le rassicurazioni, il partito democratico rischia di essere un agglomerato di “partiti personali” e non un contenitore che organizza una democrazia partecipata.

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