Osservatori e opinionisti sembrano festeggiare la fine di quei partiti personali che hanno segnato l’ultimo ventennio della politica italiana. La seconda repubblica è morta, ci dicono, la terza non si sa quando e come nascerà . Non troveremo più nelle schede elettorali il nome del “capo” candidato a primo ministro? Ancora non si sa. I partiti non sembrano trovare un accordo per modificare il “porcellum” e senza cambiare la legge elettorale indicare il candidato leader è obbligo di legge. Se così sarà , troveremo una lista che contiene il simbolo del Movimento Cinque Stelle e il nome di Grillo. Il capo politico del Movimento, primo partito in Sicilia, si appresta a incassare ciò per cui ha lavorato con determinazione da molti anni: la scomparsa di un ceto politico che ha portato il Paese al disastro attuale. Proprio a conferma che non sempre osservatori e opinionisti della politica sanno di cosa parlano, il partito personale si ripropone magari in forme differenti. C’è una diversità  tra il padre padrone del PDL, Berlusconi, e il comico genovese? Sì, profonda. Il primo è sceso in campo per difendere le proprie aziende dal comunismo rampante. L’uomo di Arcore ha vinto ripetutamente aggregando pezzi di ceto politico di ogni colore e di ogni prezzo, intellettuali accecati dall’odio per la sinistra e da ultimo, cortigiani maschili e femminili che con la politica non avevano il minimo rapporto. Peppe Grillo ha scelto di giocare la partita della politica mobilitando forze diverse che convergono nella critica forte e spesso motivata all’establishment. I candidati del Movimento Cinque Stelle sono tutti giovani che non hanno mai avuto ruoli politici o amministrativi. Presto dire se sapranno fornire buona prova, ma certo si presentano come la novità  di questa stagione politica. Non ritengo corretto riportare il successo del Movimento alle sole capacità  mediatiche del “capo politico” e dei suoi spin doctor. L’imbarbarimento dell’agire politico di tanti protagonisti della stagione berlusconiana legittima un’indignazione che, non avendo trovato nei partiti tradizionali alcuna capacità  di riforma, prende la strada o dell’astensione dal voto e dall’impegno politico. Altro significato ha il consenso per chi propone un altro modo di esercitare l’azione politica come risultano gli uomini e le donne del Movimento. Certo l’offerta pubblica d’acquisto esercitata da Grillo sull’IDV dell’onorevole Di Pietro qualche turbamento sembra provocarlo all’interno del Movimento Cinque Stelle. Se è vero che formalmente il simbolo dell’IDV rientra tra le proprietà  di Di Pietro, è anche vero che questo partito esprime ormai sindaci, amministratori, parlamentari di ottima qualità  che non potrebbero accettare il disfacimento. Voleranno stracci purtroppo, ma anche queste implosioni fanno parte della crisi della democrazia italiana. Una democrazia in affanno a ogni livello. Il governo Monti resta convinto che il suo appeal rimane buono nonostante che i sacrifici imposti al popolo non sembrano produrre quegli effetti positivi sulla crisi del Paese. Monti resta convinto, anche Lui studia i sondaggi, che dalla sua ha l’appoggio della maggioranza del popolo italiano. E’ noto che i sondaggi in genere durano lo spazio di un mattino, poi c’è la realtà . E questa ci dice che l’apatia sta montando in strati sempre più vasti della popolazione. Quando il cinquantadue per cento di una regione importante diserta le urne, l’allarme per il deteriorarsi del rapporto cittadino con la politica diviene drammatico. A molti, anche al sottoscritto, è sembrato eccessivo il giudizio entusiasta di Bersani per il risultato elettorale della Sicilia. Aver eletto presidente un’ottima persona come Crocetta non può far dimenticare a Bersani la massiccia perdita di voti del PD e la mancanza di una maggioranza nell’assemblea siciliana. L’enorme dato dell’astensione doveva sollecitare maggior prudenza nel giudizio. Si può legittimamente sostenere che il non voto è una sorta di modernizzazione dell’Italia. Nei Paesi anglosassoni sono ormai decenni che la maggioranza del popolo non partecipa al rito democratico del voto. Il presidente degli Stati Uniti è sempre eletto da una minoranza degli elettori. Il “grande” Tony Blair era votato da meno del trenta per cento degli aventi diritto al voto. E’ questa una modernizzazione molto rischiosa. In un momento in cui le sacche di disoccupazione divengono un fiume inarrestabile, le possibilità  di un collasso democratico aumentano. Accertato che per la classe dirigente italiana la storia non è per nulla maestra di vita, rileggere ciò che ha portato alla nascita del fascismo e poi del nazismo, sarebbe cosa utile. Il regime democratico non è dato per sempre. Una democrazia vive d’istituzioni che funzionano. La fase che viviamo vede tutta la struttura pubblica in crisi. Lo sono le autonomie locali, lo sono gli enti regionali ormai incapaci di svolgere un ruolo per alleviare le difficoltà  dei loro amministrati. Un disastro non provocato da catastrofi naturali. Ma causato dalle scelte dei governi centrali ormai da qualche decennio. Abbattere i costi della politica è sacrosanto e qualsiasi resistenza del ceto politico deve essere denunciata e battuta. Non è per nulla apprezzabile l’azione del governo quando annichilisce e non valorizza l’autonomia locale a vantaggio di un centralismo che storicamente ha dimostrato di essere la vera limitazione alla modernizzazione dell’Italia. La storia del nostro Paese è storia di comuni e di comunità  locali. Quando il governo in nome della lotta agli sprechi non permette di funzionare nemmeno alle amministrazioni periferiche che non sprecano un Euro, sbaglia alla grande. Monti riuscirà  anche a pareggiare il bilancio dello Stato, ma allontana il Paese da qualsiasi prospettiva positiva.
Corriere dell’Umbria 4 novembre 2012

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