La nuova Alba

Gli italiani s’innamorano di parole che spesso non significano nulla. Sono etichette che si danno per attaccare un avversario politico o per autodefinirsi. Un esempio? Riformismo. Non c’è partito che non si autodefinisca riformista. Cosa e come riformare? Lo spiegano sempre senza fartelo capire i riformisti di destra, di centro, di sinistra. Da mesi è in voga il concetto di antipolitica. Che cosa significa? Sono antipolitici gli insulti di Grillo e non le risse quotidiane del teatrino della politica? Certo Grillo fa spettacolo nelle piazze e nei teatri mentre il ceto politico “istituzionalizzato” preferisce le aule parlamentari e i talk show televisivi. Ma è buona politica quella che ci hanno riservato in questi anni capi del governo, ministri, sottosegretari e parte consistente dei “nominati” in Parlamento? Che dire della diffusa pratica di cambio casacca, previo lauto premio d’ingaggio, di senatori e deputati? Quella è la politica con la “p” maiuscola? Analizzando i risultati elettorali di domenica scorsa sembrerebbe che gli elettori non la pensino così. A iniziare dal crollo della partecipazione al voto per passare alla liquefazione del centrodestra, del terzo polo e dello stallo del PD e della sinistra, sembrerebbe che tutte le forze politiche in campo dovranno trovare altre strade per recuperare consensi elettorali. Demonizzare Grillo serve a poco. A significare l’intollerabilità  per una situazione sociale gravissima, l’elettorato ha dato segnali inequivocabili. Si dirà  che sono state elezioni amministrative parziali, ma non era un sondaggio. Gente in carne ed ossa ha deciso di non votare, di punire certi partiti o di votare per il movimento di Grillo in maniera consistente. Il comico genovese ha sostenuto una tesi su cui riflettere: meglio i Grillini che i fascisti di Atene. Lo credo anch’io. La tornata elettorale del sei maggio è stata esemplare per dimostrare il disagio generale dell’Europa per lo stato dell’economia. Se in Italia si afferma il Movimento cinque stelle, in Grecia i nazisti entrano in parlamento e il partito dei Pirati in un Land tedesco con vivo disappunto della cancelliera di ferro. Fortunatamente in Francia vince Hollande. Dopo il rilevante risultato del Fronte Nazionale di Le Pen, alla Bastiglia la festa l’hanno fatta gli elettori del candidato socialista. La dobbiamo fare anche in Italia. Se l’Europa non inverte la rotta suicida dell’austerità  a prescindere dall’analisi dei risultati prodotti nella vita concreta delle comunità , l’Europa non uscirà  dalla recessione e l’esercito dei disoccupati di ogni età  non potrà  che crescere. Il governo Monti ha annunciato provvedimenti che dovrebbero innescare una crescita. Bene, era tempo. Per “riformare” il sistema pensionistico Monti ha impiegato poche settimane. Perchè occorrono mesi per attivare provvedimenti richiesti da tempo dalle forze sociali, da economisti non ottenebrati dall’ideologia fallimentare che ci ha portato al disastro? La svolta francese può essere un passaggio decisivo per interrompere il processo di disgregazione, innanzi tutto sociale, dell’Europa. Vendola ha dichiarato che un “manifesto” di centrosinistra simile a quello con cui Hollande ha vinto in Francia sarebbe subito sottoscritto dal suo partito. Il nuovo presidente francese non è certo riconducibile alla categoria degli estremisti di sinistra: il suo è un programma che dà  sostanza alla parola “riformismo”. Non è tempo che i partiti che si collocano all’interno del centrosinistra si dotino di un programma che abbia le stesse caratteristiche? A sinistra comunque qualcosa di nuovo sta succedendo. L’appello per la creazione di un nuovo soggetto politico che, di là  delle sigle e di stagionati leader in campo, sappia costruire una piattaforma d’idee e valori per una sinistra democratica che faccia dei “beni comuni” il terreno attorno al quale cui creare l’alternativa al neo-liberismo. E’ nata ALBA. Non è un nuovo partito ma un contenitore d’idee e di proposte che sollecita il contributo di tutti coloro che non si arrendono al declino della democrazia italiana ed europea. Come per i referendum dello scorso anno sull’acqua, i grandi opinion maker hanno ignorato l’avvenimento, confermando la consueta scarsa attenzione al nuovo. I mass media non hanno parlato dell’incontro di Firenze e dei mille intervenuti per discutere di politica e non di candidature. L’ha fatto soltanto “Il Manifesto”. Forse i grandi giornali dovranno occuparsene. Dipenderà  dalla tenacia con cui i promotori di ALBA porteranno avanti il loro progetto imparando a interloquire con la sinistra già  organizzata, con concrete proposte volte a risolvere le grandi contraddizioni del Paese.
Corriere dell’Umbria 13 maggio 2012

Una regione in bilico

I terremoti accadono. Anche gli tsunami. Non è colpa nostra se accadono. Ma perchè a queste tragedie dobbiamo aggiungere dei disastri causati da noi stessi? àˆ criminale questa ignoranza di quanto è avvenuto nel passato, l’economia deve essere al servizio della gente, e non viceversa. In un dibattito a Roma di mercoledì passato, con queste parole il premio Nobel per l’economia Jo Stigliz, ha sollecitato Mario Monti a prendere lezione dalla storia economica per evitare la ripetizione degli errori già  fatti sotto il vessillo dell’austerità . L’austerità  da sola ucciderà  il malato, sostiene Stigliz, è provato che nessuna grande economia si è mai ripresa solo con questa medicina. Nei pochi casi in cui ha funzionato, è stato per piccole economie e grazie a dei fattori sui quali l’Europa non può contare: la svalutazione o il boom economico di un paese verso il quale si esporta. Non sappiamo se il professor Monti ha apprezzato la lezione del professore statunitense. Forse sì se è vera la notizia che il piano che Monti porterà  a Bruxelles all’inizio di giugno prevede lo scorporo delle spese per investimenti e del pagamento dei debiti dello Stato verso le imprese dai parametri di Maastricht. Si tratta di una scelta obbligata considerando la situazione sociale ed economica del nostro Paese. Perfettamente inutile ripetere i dati della disoccupazione e della mortalità  delle imprese. Così si va dritti al disastro e anche le giuste misure prese dal governo Monti rischiano di trasformarsi esclusivamente in salassi verso la popolazione implementando la sensazione di vivere in una società  allo sbando in cui le istituzioni sono in guerra l’una contro le altre armate. Un esempio? Il ripristino della tassazione sulla casa è stata scelta obbligata. Non esiste nazione civile in cui i cittadini non devono pagare una tassa sulla casa. Irresponsabile è stato togliere l’ICI per ragioni esclusivamente di consenso elettorale. Il problema è la dimensione della tassazione e il beneficiario dei proventi. Le amministrazioni locali e regionali subiscono ormai da anni tagli consistenti dei trasferimenti centrali. Paralizzati dal patto di stabilità , anche i più virtuosi sono impossibilitati a mantenere servizi essenziali ai cittadini. Negare che sussistono in molti enti sprechi e cattivo funzionamento nel rapporto degli amministratori con i cittadini è cosa vana. Permangono sacche d’inutile burocrazia e di pessima gestione dei beni comuni. Scadente la progettualità  di molte strutture pubbliche. Le idee nuove sono rare in tutti i settori della classe dirigente e l’ascolto verso l’inventiva, quando c’è, della società  civile rasenta lo zero. Anche in aree che nel passato hanno dimostrato capacità  innovative importanti, prevale l’interesse al facile consenso e al consolidamento dei “clientes”. Riconosciuto tutto questo: le amministrazioni locali non possono essere trasformate in esattori delle tasse statali e contemporaneamente non essere i primi beneficiari della nuova tassa sulle proprietà  immobiliari. A Londra o a Parigi o a Bruxelles la tassazione sulla casa è una delle entrate fondamentali di quei grandi Comuni. O no? La tenuta sociale di un Paese ha origine dalla capacità  che hanno i governi locali di rispondere ai bisogni essenziali dei cittadini. Oggi non c’è servizio pubblico che non abbia subito un decadimento e un aumento dei costi per la popolazione anche a causa di un neo-centralismo enfatizzato dal governo Berlusconi-Bossi. Anche da questo punto di vista è stata un’alleanza mortale che pur predicando il federalismo, ha sistematicamente e concretamente ridimensionato l’autonomia locale e regionale. La giusta esigenza di lotta agli sprechi dichiarata dal governo Monti deve partire dalla responsabilizzazione del ceto politico e burocratico che opera nel territorio in un quadro però di valorizzazione dell’autonomia delle comunità . La ricerca di scorciatoie porterebbe soltanto a una conflittualità  istituzionale paralizzante. Da parte sua il ceto amministrativo locale farebbe bene a darsi una mossa. L’Umbria sta tornando a essere un’area in bilico tra l’essere la regione più a nord del mezzogiorno d’Italia e la regione più a sud delle aree più avanzate del Paese. Il rischio di tornare a sprofondare nel sottosviluppo non è da ignorare. Purtroppo, alle eccellenze del passato si va sostituendo, in troppi settori, mediocrità  e pessimo funzionamento delle strutture amministrative. Si capisce, le risorse sono scarse ma è indiscutibile che le poche che ci sono non sempre sono usate con intelligenza e lungimiranza. E com’è noto, il galleggiare non porta da nessuna parte. In un mare in tempesta c’è bisogno di “capitani coraggiosi” e non di venditori di panna fresca.
Corriere dell’Umbria 2012

Il laissez faire di Monti

Rigore, equità , crescita. E’ questo il motto dei nostri governanti. Si spezzano ma non si piegano, forti dei dogmi liberisti, come novelli crociati, essi hanno nel programma chiamato “austerità “ la loro bibbia. Sordi ai richiami che giornalmente sono loro rivolti da economisti di chiara fama, indifferenti ai tragici risultati dell’applicazione delle loro tesi in Paesi come l’Irlanda, la Spagna, la Grecia, promettono la crescita spostando nel tempo l’inizio della ripresa economica, continuando a definire equi provvedimenti che incidono profondamente principalmente su chi paga le tasse. E’ vero e va apprezzato che la lotta all’evasione fiscale sembra essere una delle priorità  del governo. Questo potrà  aiutare l’Italia a mettere i conti pubblici in ordine, ma senza investimenti capaci di creare lavoro, i sacrifici richiesti non serviranno a nulla. Lo dicono in molti. Da ultimo Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Proprio analizzando i risultati delle politiche di tagli alla spesa pubblica di questi anni, è evidente che l’Europa si potrà  salvare soltanto se riuscirà  a trovare la strada di un nuovo modello di sviluppo economico, politico e istituzionale. E se la politica di rigore è attenuata da investimenti volti alla crescita. Altrimenti si rischia il rigor mortis. Una Comunità  Europea nelle mani di un solo Paese, la Germania, non ha prospettive e le spinte populiste antieuropee non potranno che crescere. Le elezioni francesi sono state esemplari anche da questo punto di vista. Sarkozy incassa il risultato di anni di subalternità  alle scelte della Cancelliera di ferro, l’estrema destra arriva al diciotto per cento, Hollande potrà  diventare presidente anche grazie al suo smarcarsi dalle rigidità  tedesche. Dove trovare le risorse da investire? E’ indubbio che l’opera di risanamento della struttura pubblica e la sua riconversione sia una priorità . La sburocratizzazione non serve soltanto per rendere più semplice la vita delle imprese e dei cittadini, può essere anche una risorsa economica. Le amministrazioni locali sono tutte in apnea. Strozzate dai tagli del governo centrale, impossibilitate dal Patto di stabilità  a investire, che faranno? Il rischio è di un’ondata di tasse locali con buona pace di chi è già  tartassato dalla tassazione centrale. Il Ministro Passera si è impegnato a risolvere in tempi rapidi (?) la questione del debito della struttura pubblica nei confronti delle imprese. Si tratta di qualcosa che ruota attorno ai cento miliardi di Euro. Un’enormità . Migliaia di piccole imprese devono aspettare fino a centottanta giorni per vedersi pagare un lavoro costringendole a chiedere mutui per andare avanti. La normativa europea pone il vincolo dei trenta – sessanta giorni. Ministro si potrebbe accelerare l’adeguamento alle norme comunitarie? Rimane in sostanza intonsa la ricchezza prodotta dal gioco della finanza e dall’accumulo di grandi patrimoni.Ogni tanto, quasi come una boutade, si torna a parlare della Tobin tax come strumento atto a trovare risorse per gli investimenti necessari a innovare. Si potrebbe cercare di convincere la signora Merkel e gli altri paesi comunitari a tassare leggermente i giocatori della finanza? Hollande richiederà , se eletto presidente, gli euro bond per affrontare le difficoltà  dell’economia europea. Considerando i buoni rapporti con la Cancelliera, potrebbe il nostro Monti sollecitare Berlino ad appoggiare la scelta consigliata anche da Washington? Capisco che per chi ha passato tutta una vita predicando il monetarismo come ideologia salvifica è difficile prendere atto del suo fallimento. L’economia non è una scienza esatta per questo è saggio tener conto delle lezioni della storia. Trovo bizzarro che il professor Monti definisca come vecchie ricette quelle keynesiane cioè la spesa pubblica come volano dello sviluppo in tempi di crisi. Essendo il capo del governo un convinto assertore di scelte economiche riconducibili al liberismo in voga sin dall’ottocento, definire vecchie idee elaborate nel secolo scorso, sembrerebbe appunto una bizzarria. Professore è proprio convinto che il “laissez faire” sia di maggior attualità  delle teorie di J.M.Keynes?
Corriere dell’Umbria 29 aprile 2012

Una politica utile

Sommersi dalle pessime notizie che quotidianamente ci sono somministrate (con una sorta di sadismo) da organismi di ricerca nazionali e internazionali, tutti temiamo il default della nostra economia. E d’altra parte basta osservare le nostre città  per capire che siamo in recessione. Negozi che chiudono e cartelli di “Affittasi” tanto numerosi da segnalare la crisi delle economie cittadine. Il disagio economico si aggrava anche perchè è palpabile l’incapacità  delle classi dirigenti di offrire una prospettiva diversa da quella dell’austerità  costi quel che costi. Senza speranze. Che l’eredità  lasciata dal governo dei berluscones era da far tremare i polsi era noto. Ma è evidente ormai che la tecnicità  dei nuovi governanti non ha qualità  tali da invertire la tendenza al degrado. Perchè? Paul Krugman è stato premio Nobel per l’economia nel 2008. Scrive editoriali sul New York Time. Nel suo ultimo scritto sostiene che la politica economica voluta dalla Germania e accettata da tutti i governi, compreso quello italiano, è da considerare una follia che porterà  al disastro dell’Europa. Lo scienziato argomenta la sua tesi ricordando come la stessa politica fu applicata per contrastare la crisi del millenovecentoventinove con risultati catastrofici. La storia non è maestra di vita se di fronte alla crisi provocata dal liberismo, le classi dirigenti propongono gli stessi dogmi monetaristi considerati causa prima della recessione che stiamo vivendo. Difficile immaginare come si potrà  raggiungere il pareggio di bilancio se l’economia reale non cresce. Disagio sociale a parte, i milioni di disoccupati aggiunti a lavoratori precari e a pensionati impoveriti dall’inflazione, difficilmente potranno contribuire alle entrate dello Stato. Il crollo dei consumi del mercato interno difficilmente sarà  compensato dalle esportazioni. Siamo al punto che anche Monti sta contabilizzando i suicidi causati dai fallimenti di aziende o dalla disoccupazione. Stiamo meglio della Grecia, ci rassicura il bocconiano al governo. Meno male. Dal governo ci viene comunicato che di crescita si potrà  cominciare a parlare, se va bene, tra un anno. E la politica che ci dice al riguardo? Nulla. I cosi detti moderati si apprestano a formare due nuovi partiti. Uno a marchio Casini, Fini, Rutelli. L’altro sarà  un’altra meravigliosa creatura figlia del “nostro”. Sì, tranquilli. Berlusconi non ci abbandona ai “comunisti”. Subito dopo le elezioni amministrative di maggio, al posto del PDL avremo qualcosa d’altro con a capo l’impresario degli spettacoli di burlesque di Arcore. All’ottimo Alfano, sarà  assicurato un ruolo importante. I moderati si rifondano e il centrosinistra che farà ? Il Partito democratico ha molti difetti, ma ha il pregio non da poco di non essere un “partito personale”. Potrebbe svolgere un ruolo decisivo se riuscisse a lottare contro il qualunquismo montante facendo scelte radicali per tutto ciò che riguarda il rapporto tra finanziamenti pubblici e la politica. Non basta sostenere che la democrazia ha un costo o che senza soldi pubblici soltanto i ricchi possono svolgere una funzione pubblica. Il finanziamento ai partiti non ha certo impedito che il miliardario padrone di Mediaset, sgovernasse l’Italia per quasi un ventennio. Tagliare significativamente i rimborsi pubblici è obbligatorio per recuperare una qualche credibilità  all’agire politico. I primi a dover sostenere economicamente un partito devono essere i suoi dirigenti, i militanti, i simpatizzanti e gli elettori: questo deve essere il patrimonio essenziale. Il pubblico può intervenire anche fornendo strutture e servizi diversi dai soldi per facilitare l’attività  politica. Il nodo però è come rendere la politica utile ai cittadini. A oggi prevale una politica che al massimo sembra una tecnica utile (quando lo è) per amministrare l’esistente. Misteriosi rimangono i meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti e la passione sembra esplodere soltanto nella competizione elettorale. La politica non è solo questo e un partito ha il diritto dovere di educare alla democrazia e a progettare un futuro secondo ideali e valori condivisi. I partiti del centrosinistra hanno l’obbligo di rappresentare coloro che dalla crisi sono ricacciati a condizioni di vita inaccettabili perchè ingiuste. Galleggiare sull’esistente senza combattere esplicitamente i dogmi del liberismo e i privilegi del ceto politico allontanerà  dalla politica sempre più gente. E al default dell’economia si aggiungerà  quello della democrazia repubblicana.
Corriere dell’Umbria 22 aprile 2012

Quei feudi da scardinare

In tutti i Paesi democratici, l’attività  politica è sostenuta dall’intervento pubblico. Anche negli Stati Uniti vige il finanziamento federale. I candidati americani a cariche pubbliche devono scegliere o soldi pubblici o risorse private. Quasi tutti i candidati preferiscono le donazioni dei privati in ragione della quantità  di dollari che i grandi interessi economici riescono a garantire a chi corre per la Casa Bianca o per un seggio alla Camera dei rappresentanti. La conseguenza è nota: a Washington le leggi sono condizionate dai desiderata dei donatori. Il lobbismo è previsto da leggi con norme rigorose che se disattese possono comportare pene severe. E’ un modo di finanziare la politica che personalmente detesto, ma almeno ha vincoli trasparenti. Il finanziamento della politica è stato storicamente una richiesta delle classi subalterne e dei partiti che le rappresentano. Ma anche la cultura liberale prevede che la democrazia per funzionare ha bisogno dell’intervento pubblico per garantire a tutti la possibilità  di avere un ruolo politico. Coloro che in Italia sostengono il contrario hanno dalla loro il risultato del referendum per l’abolizione della legge che prevedeva tale finanziamento, ma principalmente hanno buon gioco nella loro denuncia a causa dell’orrenda legge sui rimborsi elettorali che PD, PDl e UDC tentano di cambiare a seguito delle ruberie emerse in queste settimane. Confesso che, nonostante la pratica quotidiana di lettura di diversi quotidiani, ho scoperto soltanto recentemente le disposizioni e l’ammontare delle risorse trasferite ai partiti per i rimborsi elettorali. Con adeguati approfondimenti è stato facile scoprire che, anche in questo, abbiamo un record europeo: i nostri partiti sono quelli che hanno a disposizione più risorse. Nessun serio controllo a differenza di quello che avviene in tutta Europa. E come giudicare la “spiritosa” prassi dei partiti non più in vita da anni che continuano a percepire rimborsi? Non è scandaloso? Sì, ma è un miracolo. Pur certificati morti continuano a spendere soldi pubblici. La proposta dei partiti che sostengono il governo contiene norme che potrebbero soddisfare l’esigenza di trasparenza, ma non risolve la questione quantitativa. Bisogna invece tagliare e legiferare anche in coerenza con l’articolo quarantanove della Costituzione. Se i partiti rimangono delle private associazioni, devono essere innanzitutto gli iscritti e gli elettori dei partiti a finanziarne l’attività . Le risorse pubbliche devono essere sobrie e il loro uso essere certificato da strutture adeguate che non hanno alcun rapporto con il committente. Negli “aborriti” partiti di massa della prima repubblica vigeva la norma che chi svolgeva una funzione pubblica a seguito di un’elezione o d’incarico deciso dal partito, aveva l’obbligo di contribuire in solido alle spese di funzionamento degli apparati e dell’attività  politica. M’informano che questa prassi è molto in disuso. Una delle ragioni addotte è che ormai la politica è divenuta un fatto privato. Ognuno si deve pagare la propria campagna elettorale e la nostra epoca prevede costi crescenti per conquistare un seggio o uno strapuntino. Si torna al problema di questi anni tristi per la politica. Aver personalizzato e permesso la costituzione di feudi territoriali ha annichilito ogni possibilità  di dare all’agire politico un orizzonte che andasse oltre l’interesse del singolo. L’io ha sbaragliato il noi, così i partiti sono diventati agglomerati di comitati elettorali privi di qualsiasi altro compito che non sia la difesa delle singole carriere politiche. Non sarà  questo uno dei motivi fondamentali del distacco del popolo dalla politica e del disprezzo verso coloro che di politica vivono? La china è pericolosa. Non è venuto il tempo che le molte persone che correttamente svolgono un’attività  pubblica facciano sentire la loro voce con proposte che ridiano valore a una politica diversa da quella dell’ultimo ventennio? Il qualunquismo dilagante rischia di essere incrementato anche dal loro silenzio. Il rinnovamento dei partiti se ci sarà , non potrà  essere soltanto generazionale. E’ accertato che senza una modifica strutturale della selezione dei gruppi dirigenti, anche i pochi giovani in campo rischiano di assorbire comportamenti e modi di essere che sono ormai diventati inaccettabili per una parte consistente della gente comune.
Corriere dell’Umbria 15 aprile 2012