da Francesco Mandarini | Apr 15, 2010
Si ricomincia. Sembra ieri, ma ormai sono almeno trenta anni che le forze politiche, ripetitive come l’influenza stagionale, si ingegnano per cambiare la Carta costituzionale. Tra bicamerali, grandi riforme preannunciate con enfasi da Bettino Craxi e mai chiarite nella loro filosofia istituzionale, sono passati da un fallimento ad un altro. I protagonisti sono praticamente gli stessi come in una telenovela brasiliana. Un lungo psicodramma di una classe politica sulle cui capacità pochi scommettono. In stagioni diverse hanno prevalso forzature in Parlamento fatte dal centrosinistra e dal centrodestra senza che nessuno riuscisse a spiegare quale fosse l’interesse del Paese a cambiare il modello istituzionale frutto di una stagione politica straordinaria come quella seguita alla fine della guerra nazi-fascista. Tutti sembrano aver rimosso il fatto che il popolo, soltanto quattro anni fa, il 25 e 26 giugno del 2006, ha votato massicciamente in un referendum contro sostanziali modifiche della Carta. Che se ne dimentichi il centrodestra, si capisce considerando che quelle erano proposte volute da Berlusconi, ma inquieta che il centrosinistra non utilizzi quel voto di popolo per respingere le ipotesi presidenzialiste del leader di Arcore. L’imbarazzo dei riformisti appare una stranezza.
Che sia la volta buona per andare verso un sistema politico più moderno ed innovativo come auspicano in molti? Coerenti con la loro antica tesi del Sindaco d’Italia, pezzi importanti del PD sembrano attratti dal semipresidenzialismo alla francese proposto dalla Lega e da Berlusconi. Le prospettive sono ancora incerte, ma la discussione e’ aperta. Immaginare un presidente eletto direttamente dal popolo non e’ di per sè angosciante. Esistono democrazie che funzionano bene anche con il presidenzialismo. L’incubo scatta quando si immagina un plebiscito per il Capo che non solo si fa eleggere direttamente, ma che nomina anche, ad uno ad uno i parlamentari. Attualmente, è noto, la Camera e il Senato sono formati non da eletti dal popolo, ma nominati dalle oligarchie di partito. Berlusconi non vuol cambiare la legge elettorale, vuole soltanto l’elezione diretta del Capo. Arriveremmo al paradosso che il popolo vota per il presidente che, a sua volta, nomina i suoi parlamentari? Il famoso ingegno italico tornerebbe in campo alla grande. Al confronto, le democrazie popolari, dell’impero ex sovietico, sembrerebbero essere state delle situazioni di democrazia partecipata. La Romania di Ceausescu o la Cecoslovacchia del dopo Dubcek, regni della libertà . La stessa URSS di Breznev un paradiso degli eredi di Pericle. Non esiste nessuna democrazia in cui il presidente o primo ministro abbia poteri assoluti sul parlamento. Il Presidente Obama ha impiegato oltre un anno per far approvare la riforma sanitaria dovendo contrattare anche le virgole del provvedimento con i senatori e con i membri della camera. In Italia Berlusconi vara un decreto legge, mette la fiducia ed in quindici giorni fa approvare ciò che vuole. Non basta? Il Presidente Napolitano ha ragione quando dichiara: “Basta approssimazioni. Una serie di riforme non più procrastinabili: fisco,sicurezza sociale, ricerca e giustizia”. (altro…)
da Francesco Mandarini | Apr 8, 2010
Ricordo che, a metà degli anni sessanta, si sviluppò un’intensa discussione tra filosofi, dirigenti politici e giovani intellettuali incentrata su due visioni dei valori e delle idealità da introdurre nell’agire politico.
Una tesi sosteneva che un movimento politico doveva assumere ed operare come se la verità fosse sempre rivoluzionaria, l’altra che essendo la rivoluzione la verità , è legittimo che per la rivoluzione si possa anche falsificare la realtà . Non c’era da spartirsi incarichi ma solo rendere evidente il modo di essere di un partito che voleva cambiare il Paese, forse per questo fu una discussine avvincente. Non ricordo tutti i protagonisti del confronto, ricordo che alla fine prevalse la prima tesi: la verità è sempre rivoluzionaria. Formalmente fu così, nella sostanza le mezze verità o la distorsione di questa, non scomparvero affatto nell’agire politico. Ma almeno si discusse di valori e non di posti e prebende.
Non ricordo come la pensavo in quei tempi, adesso sono assolutamente certo che la verità è sempre la cosa giusta da dire. Convinto di questo, non nascondo il mio sbigottimento rispetto al commento del leader del PD sul risultato elettorale delle elezioni regionali. Perdere due milioni di voti e quattro regioni fondamentali è semplicemente una sconfitta grave per una forza politica. Che non bisogna arrendersi alla catastrofe è altra cosa. (altro…)
da Francesco Mandarini | Mar 28, 2010
Quando un capo di governo chiama il suo popolo in piazza rende evidente lo stato comatoso della democrazia rappresentativa. Una maggioranza parlamentare schiacciante non sembra sufficiente al berlusconismo per realizzare il suo programma. La destra populista ha bisogno della chiamata alle armi, alla guerra santa contro il comunismo. Si può parlare di crisi di regime? Sarebbe sbagliato non farlo. Sostenere che la democrazia italiana è salda e vigorosa è una mistificazione anche quando nasce da buone intenzioni.
La classe dirigente del Paese non sembra in grado di fermare la deriva politica e sociale dell’Italia che, giorno dopo giorno, si aggrava ed emargina masse sempre più consistenti di popolo, imbarbarendo ogni convivenza civile. Indifferenti a scandali e ruberie gli uomini e le donne del PDL rivendicano con ferocia un’impunità a prescindere da leggi e morale pubblica. Le forze sociali, con l’eccezione della CGIL, assistono allo scontro politico con una sorta di indifferenza. Chiuse ognuno nel loro particolare non sembrano in grado di affrontare una crisi economica che sta producendo nuove povertà e nuova emarginazione.
Le forze di opposizione non riescono ad organizzare una piattaforma di resistenza nè in parlamento nè nel Paese. Le molte iniziative di contrasto alla deriva voluta dalla destra si svolgono salvaguardando l’autonomia dei movimenti, ma risultano frantumate e prive di quel collante unitario senza il quale l’apatia tende a prevalere rispetto alla voglia di lottare e le stesse manifestazioni di massa rimangono fatti isolati, non ancora influenti rispetto all’agire politico.
Si è svolta una campagna elettore come in un perpetuo happy hours a base di tartine, porchette birra e vino spesso scadente. Anche quando i programmi elettorali contengono cose interessanti (ad esempio la riscoperta nel centrosinistra dei “beni comuni”) la partecipazione al dibattito politico è risultata marginale rispetto alla lotta per acquisire la preferenza personale. Sommersi da manifesti, santini e depliant gli elettori non possono che essere confusi e disorientati. Anche noi lo siamo. Ripetutamente abbiamo espresso la nostra radicale contrarietà rispetto alla legge elettorale votata in Umbria a gennaio. Pur convinti regionalisti siamo giunti, non da oggi, alla conclusione che l’autonomia regionale non possa contenere anche la scelta del sistema elettorale da adottare. Non esiste al mondo una situazione come quella italiana. I sistemi elettorali in vigore sono così numerosi e diversificati da rendere la libera scelta dell’elettore difficile come vincere all’enalotto. Senza alcuna ragione, se non la stupidità istituzionalizzata di questi anni, si sono votati sistemi di elezione delle assemblee che contrastano con il principio ogni testa un voto e con l’esigenza della rappresentatività . L’ideologia della governabilità , di craxiana memoria, ha creato dei mostruosi meccanismi elettorali che escludono fette sempre più consistenti dell’elettorato e annullato le competenze delle assemblee elettive. La strada del presidenzialismo e del populismo non è stata costruita da Berlusconi. Lui la sta percorrendo fino in fondo cercando l’incoronazione a Re d’Italia, ma gli scienziati che l’hanno progettata sono quasi tutti riconducibili ai riformisti nostrani. (altro…)
da Francesco Mandarini | Mar 4, 2010
Ancora dobbiamo smaltire la mazzata d’immagine presa dal PD umbro nella corsa alla candidatura presidenziale vinta da Catiuscia Marini su Giampiero Bocci. Dopo mesi e mesi di contrasti violenti nel gruppo dirigente del maggior partito del centrosinistra pensavamo che, svolte le primarie, si cominciasse a pensare a come vincere le elezioni. Non sta andando così. Nuovamente abbiamo dovuto registrare violente divisioni, per la formazione delle liste, nella coalizione di centrosinistra. Non si tratta di divisioni politiche e su come rispondere alla crisi economico-sociale dell’Umbria. Il terreno di lotta è incentrato sul come salvaguardare carriere amministrative da protrarre anche per decenni, senza misura. Senza alcun comprensibile criterio di valutazione delle candidature, chi far entrare nel gioco dell’oca di questi decenni? Difficile far tornare i conti, la ressa è grande, tanti intendono sacrificarsi in consiglio regionale. Scegliere è difficile. Così nuove lacerazioni, nuove divisioni, nuove dimissioni di pezzi del gruppo dirigente del PD. Domande. (altro…)
da Francesco Mandarini | Feb 25, 2010
A quaranta giorni dalle elezioni i partiti e le coalizioni sono impegnati nella formazione delle liste e nella predisposizione dei programmi. La sceneggiatura è simile per il centrodestra e per il centrosinistra. Per adesso l’unica cosa certa è che i candidati a presidente sono, per adesso, cinque. Tra questi spiccano quattro donne. Tra queste ha fatto notizia la candidatura dell’onorevole Binetti per l’UDC di Casini. Appena uscita dal Partito Democratico, l’onorevole teodem sceglie di candidarsi nella nostra regione quale presidente. Qualche osservazione.
In Umbria siamo da tempo abituati ad eleggere in parlamento personale politico transumante che sceglie il collegio sicuro dell’Umbria ex rossa. Visto che la terra d’origine non garantisce l’elezione, si concorda con gli oligarchi romani e si transuma nelle liste umbre. In genere il transumante una volta eletto scompare come la neve al sole e l’Umbria torna ad essere, per l’eletto, soltanto una metà gastronomica e/o turistica.
Specialmente il centrosinistra ci ha abituati a opzioni innovative nella scelta dei candidati. A volte hanno anche esagerato, come quando hanno imposto ai bolognesi la candidatura di Cofferati a Sindaco della città rossa per eccellenza. L’esperienza non andò benissimo e una sola legislatura fu sufficiente per i bolognesi per cambiare. Ed anche se il successivo sindaco ha fatto la fine che ha fatto, a Bologna nessuno rimpiange la sindacatura dell’ex leader della CGIL. Felicemente approdato a Strasburgo come parlamentare europeo, si sta occupando dei nostri destini.
Pur senza metter limiti alla divina provvidenza, difficile ipotizzare l’onorevole Binetti vincitrice nella gara per la presidenza della regione umbra. E’ ipotizzabile una sua elezione in consiglio regionale. Se non ricordo male, esiste un’incompatibilità tra seggio parlamentare e quello regionale. Non si può essere in contemporanea parlamentare e consigliere regionale, le norme lo proibiscono. Delle due, una: la candidatura a presidente della Binetti va intesa come richiamo elettorale che, poi, opterà per rimanere a Roma in parlamento o la Binetti intende rinunciare allo scranno parlamentare per entrare a Palazzo Cesaroni? Sarebbe carino se gli elettori fossero messi in condizione di capire gli intendimenti della teodem. Non dire la verità sarebbe un peccato non so se veniale o mortale. (altro…)