Ancora dobbiamo smaltire la mazzata d’immagine presa dal PD umbro nella corsa alla candidatura presidenziale vinta da Catiuscia Marini su Giampiero Bocci. Dopo mesi e mesi di contrasti violenti nel gruppo dirigente del maggior partito del centrosinistra pensavamo che, svolte le primarie, si cominciasse a pensare a come vincere le elezioni. Non sta andando così. Nuovamente abbiamo dovuto registrare violente divisioni, per la formazione delle liste, nella coalizione di centrosinistra. Non si tratta di divisioni politiche e su come rispondere alla crisi economico-sociale dell’Umbria. Il terreno di lotta è incentrato sul come salvaguardare carriere amministrative da protrarre anche per decenni, senza misura. Senza alcun comprensibile criterio di valutazione delle candidature, chi far entrare nel gioco dell’oca di questi decenni? Difficile far tornare i conti, la ressa è grande, tanti intendono sacrificarsi in consiglio regionale. Scegliere è difficile. Così nuove lacerazioni, nuove divisioni, nuove dimissioni di pezzi del gruppo dirigente del PD. Domande.
Cambierà  la vita politica degli umbri se nel listino regionale andrà  Vinti del PRC o Carpinelli del PDCI? Riuscirà  Bracco ad essere tra i benedetti dal signore e far parte del listino? Aumenterà  la qualità  della coalizione se nelle liste del PD ci sarà  un umbertidese al posto della rappresentante di Città  di Castello? E che significato ha la lotta di Brunini per rappresentare lui e non Cintioli la bella città  di Spoleto in consiglio regionale?
Interrogativi che forse angosciano l’inossidabile ceto politico umbro ma che probabilmente lasciano indifferenti gli elettori del centrosinistra. Siamo davvero dei poveracci destinati a votare il 28 di marzo ancora una volta per il meno peggio per paura che a palazzo Donini arrivi una berluscones? Crediamo che questo sarà  il nostro destino. D’altra parte era una pia illusione pensare che la gravità  della crisi sociale e democratica stimolasse i riformisti e la sinistra già  antagonista a cambiare le priorità  nella discussione e nell’impegno per segnare una svolta. Non è stato così nè forse poteva esserlo. In permanenza dello stesso ceto al potere da due decenni nella nostra regione, era banalmente evidente che nessuna sterzata si sarebbe prodotta nella scelta dei candidati e nelle procedure per farlo. Rimane roba loro.
L’attuale sviluppo della vita politica continua a rappresentare un mondo a parte. Un universo di uomini e donne cresciuti nel culto della carriera politica e anche per questo indifferente alle condizioni materiali del popolo, indifferente al degrado della democrazia prodotto dal berlusconismo di ogni colore. Scomparso ogni gruppo dirigente con un orizzonte regionale, le liste non possono che essere il fedele risultato della feudalizzazione della politica. Ogni dominio territoriale deve essere rappresentato. Non eleggeremo consiglieri che rappresentano tutta la regione, ma feudatari piccoli e grandi che porteranno nell’assemblea regionale esclusivamente gli interessi del feudo.
Mesi e mesi di violente lotte intestine per la conquista di una posizione di potere e di prebende, pochi incontri per definire il programma elettorale del centrosinistra? Sembrerebbe di sì. Apprendiamo che PD, PRC e Socialismo 2000 hanno trovato una sintesi programmatica in sette punti quale contributo all’intesa di programma della coalizione. Dei meriti il documento ne ha. E’ sintetico ed anche apprezzabile in diverse parti. Stupisce un poco che, pur nella brevità , non si sia trovato il modo di introdurre due questioni intimamente connesse che sommessamente riteniamo decisive. Il prodotto interno regionale è per il 68% frutto di risorse pubbliche. Cioè gran parte della ricchezza dell’Umbria è dovuta alla spesa della pubblica amministrazione centrale, regionale e locale. Problema. Come si fa ad innescare un processo di innovazione e modernizzazione dell’economia regionale senza riqualificare la parte più sostanziosa delle risorse disponibili, cioè quelle pubbliche? Dove si trovano gli investimenti per innovare se non si mettono in moto un processo di semplificazione istituzionale e fattori di sburocratizzazione che consentano la riqualificazione della spesa locale? Il terziario in Umbria è costituito in massima parte dal settore pubblico ma la domanda che esso esprime non favorisce quasi mai l’innovazione. Le procedure amministrative sono spesso arcaiche e non incentivano in nulla le poche realtà  produttive del settore informatico. Sostenere che l’ente regione è all’avanguardia nella comunicazione e nell’informatizzazione dei processi amministrativi sembrerebbe azzardato. Non è soltanto questione di buon funzionamento della macchina burocratica o di nuova economia.
La riqualificazione della spesa pubblica riguarda la qualità  della democrazia e il rapporto dei cittadini con lo Stato in tutte le sue espressioni. Rendere più semplice e trasparente questo rapporto anche attraverso l’innovazione, è questione concernente la democrazia. Parola questa, democrazia, che non appare nelle proposte programmatiche sopra ricordate. Si pensa forse che non ci sia anche in Umbria una questione democratica? Si sbaglierebbe. Quindici anni di berlusconismo hanno marcato anche la nostra regione e parte della sua classe dirigente. Un solo esempio. La nuova legge elettorale votata a gennaio. Più volte, da più parti, è stato espresso un giudizio negativo sul fatto che ci sia un sistema elettorale in cui gli eletti non siano scelti dagli elettori. Con voto bipartisan, si è deciso che il 20% dei consiglieri regionali siano scelti esclusivamente dagli oligarchi dei partiti. Tra l’altro di partiti inconsistenti come quelli esistenti a destra, al centro e alla sinistra. Garantire la casta? Questo è berlusconismo. Impedire ad altri di partecipare alla competizione elettorale regionale prevedendo vincoli stretti nella raccolta delle firme come si è voluto fare in Umbria, questo è berlusconismo. L’arroganza di alcuni amministratori di questi anni? Questo è berlusconismo.
Noi non siamo d’accordo con tutto questo. Non lo siamo anche perchè osserviamo che la deriva plebiscitaria e antidemocratica voluta dai berluscones sta andando avanti senza che i riformisti, e non solo, avvertano fino in fondo il rischio che corre la democrazia italiana. Non si tratta soltanto del sistema corruttivo che ha ruotato attorno alla Protezione Civile, si tratta principalmente dello prosciugamento di ogni potere delle assemblee rappresentative a partire dal parlamento della Repubblica. Contro questo svuotamento, esaltati dall’ideologia della governabilità , nè i riformisti nè la sinistra sminuzzata hanno reagito con intelligenza. Potevano fare altre scelte a partire dal modello di sistemi politici locali che restituissero poteri anche all’assemblea. In Umbria, come in Toscana o in Emilia si è imposto invece un rigido presidenzialismo. La governabilità , in conflitto con la democrazia rappresentativa, senza prevedere contrappesi credibili, non è cosa diversa dalla politica “del fare” di Berlusconi. Non aver ancora capito questo è la vera, grande, responsabilità  del centrosinistra.
E’ eccessivo chiedere al centrosinistra una riflessione collettiva sullo stato della democrazia nella terra di Aldo Capitini e dei sindaci rossi degli anni “˜50? La nostalgia non sarà  una categoria della politica ma può rappresentare anche una bella tentazione. Naturalmente ne rifuggiamo.

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