da Francesco Mandarini | Apr 6, 2007
Conclusi i congressi di sezione, i diessini si accingono ai congressi di livello superiore che termineranno a Firenze con il congresso nazionale. Congressi in cui di linea politica non si parlerà : la scelta è stata fatta dalla base e ha i caratteri dell’irreversibilità . Fassino ha vinto con il 75% dei voti e si accinge ad essere re-incoronato come segretario di un partito provvisorio. Infatti, il regno di Fassino non sarà di lunga durata. Tra meno di un anno i diesse si scioglieranno nel nuovo partito democratico e la lunga e perigliosa storia iniziata da Achille Occhetto a Bologna nel 1989 si concluderà . Muore il Pci e si forma il PDS, dopo pochi anni si perde la “P” e abbiamo i DS. Con questo congresso si perde la “S”, rimane la “D”.
I protagonisti di questo taglio di lettere sono sempre gli stessi da oltre venti anni. Forse è per questo che lo zoccolo duro delle regioni ex-rosse ha votato in massa per la mozione del segretario: è un meccanismo che ha funzionato in tutta la storia del vecchio PCI e delle “Cose” ad esso succedute. Chi non ricorda le ovazioni popolari per Pietro Ingrao? Poi al momento del voto era sempre il segretario che vinceva (chiunque egli fosse) e Ingrao perdeva al di là degli argomenti che portava per le sue tesi politiche.
Rimane il dato importante della partecipazione al voto sulle mozioni. Duecentocinquantamila militanti hanno votato nelle assemblee congressuali. Ed ha ragione D’Alema a richiedere rispetto per questa espressione di democrazia di massa. Con tutto il rispetto, per capire meglio, considererei sarebbe utile una analisi approfondita dell’attuale stratificazione sociale dei DS. Ad esempio in Umbria una parte decisiva dei gruppi dirigenti, ad ogni livello, è formata da dipendenti pubblici. Dirigenti espressione del mondo della produzione sono rari come i panda. I responsabili politici sono spesso impiegati pubblici tutti ottimi e in buona fede, ma che forse qualche condizionamento potrebbero averlo rispetto ai desiderata degli amministratori anche quando si tratta di scegliere tra una mozione ed un’altra. Ma forse sbaglio. Sarebbe utile sapere quali ceti raffigurano gli ottomila votanti ai congressi? Quali legittimi interessi sono rappresentati?
Siamo certi che qualche scienziato sociale sarà interessato alla ricerca di come un partito si possa trasformare attraverso l’esercizio del potere locale nonostante le sue radici.
L’ultimo congresso dei DS non è un fatto privato ed è per questo che qualche perplessità la provoca l’assoluto disinteresse dell’opinione pubblica rispetto a questo evento. Forse uno sforzo di allargamento della discussione andava fatto prima di decidere la confluenza in un nuovo partito di forze eredi della storia dei partiti del movimento operaio. Cosa fatta, capo ha.
Il risultato sarà che l’Italia diventa l’unico Paese che non ha un partito di massa che si definisce di sinistra all’interno dell’Internazionale Socialista. Difficile prevedere quanti militanti della mozione Mussi e di quella di Angius non entreranno nel partito democratico. L’impressione più netta è di forte difficoltà a non confluire, forte la spinta al tutti a casa.
E si capisce perchè. Un’altra lacerazione a sinistra è dolorosa e potrebbe non essere compresa dalla gente se non in un quadro che cerca di costruire un movimento di sinistra che superi la diaspora attuale. Questo quadro ancora non esiste e quindi vince Fassino con la sua idea di aggregare tutti i riformisti al di là delle sigle di partito e le affiliazioni internazionali. Che il sistema politico italiano sia vicino all’implosione lo dimostrano le cronache quotidiane. Il bipolarismo all’italiana non funziona ed è urgente innovare. La proposta di partito democratico è un cambiamento di passo che può piacere o no, ma cerca di mutare un sistema che non funziona più. Una scommessa certo, tenere assieme D’Alema e l’onorevole Binetti sarà impresa titanica, ma la speranza dei riformisti è cosa rispettabile anche se non supportata dalle polemiche quotidiane.
da Francesco Mandarini | Mar 20, 2007
I conti pubblici italiani non sono più a rischio. L’emergenza sembra alle spalle. Così ci ha assicurato il ministro dell’economia Padoa Schioppa nel presentare in parlamento la prima trimestrale di cassa per il 2007. Prodotto interno lordo che sale al 2%, mentre scende il rapporto deficit-Pil, ulteriori maggiori entrate fiscali per 10 miliardi di Euro. Bene.
Ciò che non migliora è il reddito delle famiglie con tutte le conseguenze in termini di consumi e di sicurezza per un futuro che rimane incerto per larghi strati di popolazione. Da un governo di centrosinistra ci si aspettano segnali che indicano un inversione di tendenza rispetto ai processi economici che da oltre venti anni hanno premiato la rendita finanziaria e immobiliare, contemporaneamente penalizzando i redditi da lavoro. Questi segnali, ad oggi, non ci sono stati nè sulla finanziaria nè su altri atti del governo Prodi. Rimaniamo in fiduciosa attesa.
Che il risanamento dei conti fosse una priorità può anche essere vero anche se l’aver concentrato in un solo esercizio la cura rimane discutibile per molti economisti, comunque rimane urgente attivare scelte per consentire un recupero del potere d’acquisto di chi vive di lavoro o di pensione. Al preannunciato tavolo di concertazione tra governo e parti sociali questo non può che essere centrale per raggiungere un accordo per rilanciare il nostro Paese.
Un Paese che rimane annichilito da un confronto politico che non fa un passo in avanti rispetto all’insulto sistematico e alle risse televisive su tutto e su tutti. Non esiste al mondo un sistema di mass media uguale a quello italiano. I palinsesti televisivi sono zeppi di programmi in cui si discute di politica. Ad ogni ora del giorno e della notte parlamentari e dirigenti politici si accapigliano su tutto, tramortendo l’attonito spettatore. La politica è diventata spettacolo a volte pregiato, raramente in verità , spesso, troppo spesso, avanspettacolo di dubbia qualità . Continua a prevalere la politica da bar dello sport in cui nani e ballerini cercano di “bucare” lo schermo confrontandosi con il politico di turno. Non è un bel vedere e anche se i pubblicitari hanno scoperto che la rissa politica può avere un auditel apprezzabile come il grande fratello, il dibattito politico rimane scadente.
Il richiamo ai ministri e sottosegretari di Prodi a parlare meno non sembra aver ottenuto grandi risultati e le preannunciate crisi di coscienza di questo o di quello pendono come una spada di Damocle sul destino del governo. La stessa stagione congressuale di molti partiti non riesce a chiarire i termini del confronto.
da Francesco Mandarini | Mar 16, 2007
Un dirigente diessino chiamato a concludere un’assemblea precongressuale, di fronte alle obbiezioni ed ai timori di alcuni iscritti per la prospettiva dello scioglimento dei DS nel partito democratico, ha affermato: “compagni, partito democratico o DS è soltanto un problema nominalistico. Al fondo rimaniamo sempre noi, quelli che siamo stati, con le nostre salde radici a sinistra”. Ha ragione Il dirigente o ha fatto il furbo? La questione è controversa. Uno dei problemi è se le radici sono ancora vitali o se invece sono soltanto un orpello da magnificare durante i congressi per ottenere voti. Propendo per la seconda tesi. Comunque dallo scioglimento del PCI alla Cosa uno, dal PDS alla Cosa due, dai DS al partito democratico il gruppo dirigente è sempre risultato maggioritario e soltanto all’inizio vi fu una scissione significativa, quella che si coagulò in Rifondazione.
La base ha sempre dato ragione ai segretari chiunque essi fossero. I cattivi sostengono che si tratta di un dato di conservatorismo innato in un partito-chiesa come era il PCI. “Chi è solo ha due occhi. Il partito ha mille occhi”, cantava Bertolt Brecht. E giù voti bulgari per il segratario. Il dissenso non era molto apprezzato dai segretari di ogni qualità e livello. Non era questione di coraggio ma di “fede” nelle virtù del Capo. La crisi esplose sotto le macerie del muro di Berlino e da allora si è cercato un approdo verso qualcosa di indefinito. E comunque non è mai stato detto con chiarezza al popolo della sinistra quale era l’obbiettivo da raggiungere. Nè si è avuta una discussione reale e di massa sui limiti e gli errori dell’esperienza dei comunisti italiani. Si è preferito rimuovere il tutto senza sciogliere i nodi di una storia straordinaria e irripetibile che ha certo contribuito alla crescita democratica di milioni di persone, ma che non ha saputo rinnovarsi e analizzare gli errori compiuti. Nei fatti si è trattato di un continuo spostamento degli excomunisti verso una formazione politica di tipo anglosassone. Non è un caso che i modelli di riferimento sono stati in questi anni Clinton e Tony Blair. Vi ricordate della Terza via dell’Ulivo mondiale? Siamo ancora a quel punto. Nonostante il disastro degli ultimi anni del governo del NewLabour molti riformisti italiani sognano di importare in Italia il blairismo. Complimenti. Consiglierei un viaggio a Londra.
da Francesco Mandarini | Mar 5, 2007
Non esiste Paese democratico al mondo in cui ci sono tanti sistemi elettorali come è nella situazione italiana. Conteggiando l’autonomia di scelta delle regioni in materia, sono ventisei i sistemi italiani con cui i cittadini sono chiamati a votare.
Una stravaganza che ha reso l’agire democratico faticoso e senza alcun appeal. Anche gli addetti ai lavori sono confusi quando ti spiegano un sistema di elezione, figuriamoci la gente comune.
Più che elettori consapevoli siamo tutti diventati “tifosi” nei match che l’amata televisione ci propina ogni sera. Al politico è richiesto di “sfondare” il video piuttosto che esprimere un pensiero decente. Con grande naturalezza i nostri parlamentari si cimentano in TV come cantanti, dicitori di poesie e spesso come cabarettisti di mediocre livello. Non tutti dimostrano l’intelligenza politica della Litizzetto. La politica come un “grande fratello” permanente sta annichilendo da anni la partecipazione democratica.
Lo sfibramento della democrazia ha moltissime ragioni e riguarda gran parte dei Paesi. E’ indubbio che la politica abbia perso ormai da anni il suo ruolo di guida della crescita delle nazioni. Conta più una banca centrale o un giudizio del Fondo Monetario Internazionale che mille discussioni in un qualsiasi parlamento. L’ampliarsi del processo di astensione dal voto dimostra il distacco tra il popolo e la classe politica senza che le leadership diano importanza a questo processo di impoverimento democratico. In Italia le cose sono ancor più complicate dalla lunga transizione dalla prima alla seconda repubblica. Il protagonista politico vero di questi ultimi tredici anni è stato indubbiamente Berlusconi. Nel bene e nel male il cavaliere è riuscito a modificare nel profondo il senso comune di una parte consistente dell’elettorato. Gli stessi comportamenti politici di quasi tutti gli addetti ai lavori delle istituzioni ad ogni livello risentono dell’imprinting del berlusconismo. La leaderite acuta è la costante di molti capi e capetti eternamente in campo a destra, al centro e a sinistra. Cogliendo la profondità della crisi della politica, il Capo della destra italiana ha saputo imporre il suo terreno di cultura: l’egoismo proprietario come filosofia di vita. E la proprietà riguarda tutto anche lo “strumento” partito. Forza Italia è l’unico partito nell’universo che non ha mai svolto un congresso. Molte le convention, inesistente qualsiasi confronto interno. Al partito personale di Berlusconi si sono aggiunti i partiti famigliari. Il marito importante che fa eleggere la moglie, il convivente che cerca la poltrona per l’altro o l’altra, è tutto un inno alla famiglia, tradizionale o Dico che sia. E la famiglia in Italia è sacra. La legge elettorale voluta dal centrodestra è l’apoteosi di questo stato di cose. Le oligarchie hanno per legge nominato deputati e senatori. Se ci è scappato qualche parente catapultato in parlamento non deve scandalizzare. Questa è la politica del dopo partiti di massa. Il presidente Napolitano ha giustamente posto, nell’incaricare Prodi, la questione della modifica della legge elettorale.
Tutti i leader (eccetto Berlusconi) si sono precipitati a fare proposte e comunque a riconoscere il problema. Sono iniziati i distinguo dei partiti (sono venticinque i partiti italiani) e ognuno sta cercando di salvaguardare le proprie rendite di posizione. Mastella, che ha un partito famigliare, ha subito messo paletti: non sia mai che una forza politica come la sua rischi di essere fagocitata da una legge elettorale civile. Ne va della tenuta del governo e naturalmente per il prode Mastella è un problema di coscienza come per i No ai Dico.
da Francesco Mandarini | Feb 25, 2007
La sinistra italiana ha responsabilità pesanti per la palude della situazione politica. La formazione del governo Prodi poteva essere l’occasione per tentare una riaggregazione delle forze sulla base di programmi condivisi. Tra sinistra diessina, PRC,PDCI e Verdi esiste una bacino elettorale attorno al 15% che potrebbe allargarsi con una politica di qualche intelligenza e prospettiva. Si è preferito rimanere chiusi nei propri cortiletti di partito e le “famiglie chiuse”, come ci insegna la psichiatria, producono spesso disastri.
Come scriveva Lenin nell’aprile del 1920: “l’estremismo è la malattia infantile del comunismo”. Ai giorni nostri si potrebbe aggiornare la definizione affermando che il personalismo è la malattia mortale della buona politica.
Come è noto noi non abbiamo votato per i nostri deputati. Abbiamo scelto il simbolo. Le segreterie dei partiti, per non farci affaticare molto, avevano provveduto all’elencazione dei candidati eletti. Si deve ribadire che i deputati e i senatori sono stati nominati dai partiti e non eletti dal popolo. Lasciamo perdere le procedure e domandiamoci perchè un pacifista integrale accetti di entrare in una coalizione di centrosinistra che, lo dice la parola stessa, non può essere pacifista integrale. Pensare negli anni 2000 che l’Italia possa uscire dalle alleanze internazionali o rompere i rapporti con gli Stati Uniti e con questi obbiettivi accettare di entrare in senato mi sembra utopistico. Se accetto di fare il deputato non posso non sapere che sarò obbligato a mediare tra i miei desideri e la realtà che concretamente devo contribuire a governare. Se si accetta la nomina scattano o no i vincoli di coalizione? I problemi di coscienza prevalgono comunque o deve prevalere la salvaguardia degli interessi generali? I senatori Rossi e Turigliatto non sembra si siano posti il problema e hanno messo nei guai la sinistra al governo.
La democrazia è fatta di maggioranze e di minoranze. Queste ultime devono essere garantite nel loro diritto di divenire maggioranza, ma è inaccettabile che i personalismi, anche quando nascondono nobili intenti, vogliono prevalere sulla volontà dei più.
Tanto di cappello a coloro che vogliono svolgere un ruolo di testimonianza senza obbligo diverso da quello della propria coscienza.
Gino Strada, uno degli “eroi” del nostro tempo, non ha mai accettato di scendere nel campo della politica istituzionalizzata. Emergency è una struttura che è cresciuta negli anni senza dover chiedere alcun che alle strutture politiche. Pensate a quante proposte di candidature avrà ricevuto, Gino Strada, in questi anni. Ha sempre rifiutato ed ha scelto di fare politica costruendo la pace non con la retorica, ma con un’agire concreto nell’aiuto ai popoli martoriati dalle guerre di questi anni.
L’intelligenza politica la si dimostra anche rinunciando a prestigiosi incarichi pur di salvaguardare la propria autonomia di pensiero e di azione. Invece di fare il senatore uno può scegliere di potare le rose. Così non rischia crisi di coscienza e si possono potare le rose che ci ha lasciato papa.