da Francesco Mandarini | Mag 1, 2006
Riusciranno Bertinotti e Marini, neo Presidenti di Camera e
Senato, a ridare ruolo e significato al lavoro del Parlamento?
L’impresa non sarà facile. Sono ormai decenni che le sedi della
rappresentanza popolare hanno visto indebolita la loro immagine.
Non è che le attività parlamentari siano al centro dell’attenzione
di chicchessia. Il giudizio popolare, venato da un qualunquismo
purtroppo diffuso, può essere riassunto nella formula: “I
parlamentari? Dei privilegiati che hanno poco da fare e che
costano moltissimo”. Ribaltare questa immagine è compito arduo. Si
tratta di rivitalizzare una democrazia esangue dopo anni di
videocrazia. Qualche sommesso consiglio. Aprir bocca davanti ad
una telecamera per dare fiato, come spessissimo accade, piuttosto
che comunicare qualcosa di interessante va evitato.
Ogni tanto, piuttosto che un dibattito televisivo, si privilegi un
libro o una discussione nel territorio. Sgradevole l’uso
enfatizzato dell’auto blu con le sirene urlanti che attraversano
con il rosso. La sobrietà nei comportamenti dei rappresentanti del
popolo non dovrebbe essere l’eccezione, ma la regola. La politica
deve ritrovare un rapporto di rispetto con la gente comune e ciò
può essere ottenuto con il lavoro di molti cercando di capire
quanto in basso è arrivata la democrazia repubblicana. Bisogna che
anche nel centrosinistra maturi la questione del conflitto
d’interessi in tutti i suoi aspetti. E’ macroscopico per
Berlusconi, ma in Italia di conflitti d’interesse ve ne sono
moltissimi e riguardano molti. Ad esempio tutta la legislazione
sulle incompatibilità e sull’ineleggibilità alle cariche pubbliche
è una miniera di conflitti d’interesse. Le conseguenze sono
tragiche per il funzionamento della cosa pubblica. Pensate al
paradosso di due presidenti di regione, Formigoni e Galan, che
sono incompatibili con il ruolo di senatori, ma per intanto sono
stati eletti e a loro comodo sceglieranno se rimanere a Roma o
tornare a fare i presidenti. Un massacro istituzionale.
Si tratta di individuare le linee di una politica istituzionale
radicalmente diverse da quelle che hanno prevalso negli ultimi
quindici anni e che ha portato al mal funzionamento della cosa
pubblica.
E’ vero che nei cinque anni di governo la destra ha svilito
qualsiasi forma di autonomia ed il potere legislativo è stato
succube del volere del Capo dell’esecutivo. Decretazione e voti di
fiducia hanno impedito qualsiasi vera dialettica parlamentare. Di
fatto la divisione dei poteri tra esecutivi e legislativi è stata
in pratica annullata ad ogni livello istituzionale. Il problema
non è soltanto riconducibile al “cesarismo” di Berlusconi.
Decisive sono state anche le scelte istituzionali del
centrosinistra. Il presidenzialismo regionale è stato un aiutino
non da poco allo svuotamento delle competenze delle assemblee.
Ad esempio, un esame attento del movimento legislativo della
Regione dell’Umbria dimostrerebbe l’assoluta marginalità del
lavoro dell’assemblea regionale. Le competenze in capo ad un
consiglio comunale sono insignificanti per la vita dei cittadini.
Le cose sono complicate anche perchè nel senso comune di molta
della classe politica prevale una visione leaderistica della
democrazia. L’elezione diretta di sindaci e presidenti ha prodotto
una vera e propria feudalizzazione della rappresentanza con
conseguenze funeste nel rapporto tra politica e cittadini. La
scelta degli elettori sempre più piegata alle esigenze delle
carriere personali dei politici, siano essi grandi feudatari o
signorotti locali. Il voto di scambio si conferma un micidiale
veleno per la democrazia.
Che fare? Le cose sono molto complicate e il dato che segna questa
fase è quello di un’incertezza e di una precarietà istituzionale.
Berlusconi giovedì aveva assicurato che sabato sarebbe salito al
Colle per rassegnare le dimissioni. Ci ha ripensato. Lo farà
martedì. Per intanto, dopo la “guerriglia” al Senato ha
preannunciato lotta dura senza paura in Parlamento e nelle piazze
se il nuovo Presidente della Repubblica non sarà uno della rosa
che Forza Italia si appresta a presentare. Per dimostrare la Sua
benevolenza il primo nome della lista sarà quello di Gianni Letta,
persona degnissima che poi ha il pregio di essere il
Sottosegretario alla Presidenza del governo Berlusconi. Una vera
figura super partes. Contemporaneamente il cavaliere sconfitto
preannuncia altri ricorsi contro le elezioni truffa e continua a
non riconoscere la legittimità di un governo Prodi.
In democrazia i vuoti di potere sono pericolosi. Bisogna che chi
può e deve, acceleri per concludere la transizione tra Berlusconi
e Prodi. Fino al diciotto maggio Ciampi sarà Presidente della
Repubblica con pieni poteri. Insediati i presidenti di Camera e
Senato la quindicesima legislatura è iniziata. La legge elettorale
voluta da Berlusconi non prevede consultazioni di alcun tipo. Il
Presidente della Repubblica deve dare l’incarico al leader della
coalizione che ha vinto le elezioni, questo dice la legge. Meglio
applicarla nell’interesse del Paese.
Corriere dell’Umbria 1° Maggio 2006
da Francesco Mandarini | Mag 1, 2006
Riusciranno Bertinotti e Marini, neo Presidenti di Camera e
Senato, a ridare ruolo e significato al lavoro del Parlamento?
L’impresa non sarà facile. Sono ormai decenni che le sedi della
rappresentanza popolare hanno visto indebolita la loro immagine.
Non è che le attività parlamentari siano al centro dell’attenzione
di chicchessia. Il giudizio popolare, venato da un qualunquismo
purtroppo diffuso, può essere riassunto nella formula: “I
parlamentari? Dei privilegiati che hanno poco da fare e che
costano moltissimoâ€. Ribaltare questa immagine è compito arduo. Si
tratta di rivitalizzare una democrazia esangue dopo anni di
videocrazia. Qualche sommesso consiglio. Aprir bocca davanti ad
una telecamera per dare fiato, come spessissimo accade, piuttosto
che comunicare qualcosa di interessante va evitato.
Ogni tanto, piuttosto che un dibattito televisivo, si privilegi un
libro o una discussione nel territorio. Sgradevole l’uso
enfatizzato dell’auto blu con le sirene urlanti che attraversano
con il rosso. La sobrietà nei comportamenti dei rappresentanti del
popolo non dovrebbe essere l’eccezione, ma la regola. La politica
deve ritrovare un rapporto di rispetto con la gente comune e ciò
può essere ottenuto con il lavoro di molti cercando di capire
quanto in basso è arrivata la democrazia repubblicana. Bisogna che
anche nel centrosinistra maturi la questione del conflitto
d’interessi in tutti i suoi aspetti. E’ macroscopico per
Berlusconi, ma in Italia di conflitti d’interesse ve ne sono
moltissimi e riguardano molti. Ad esempio tutta la legislazione
sulle incompatibilità e sull’ineleggibilità alle cariche pubbliche
è una miniera di conflitti d’interesse. Le conseguenze sono
tragiche per il funzionamento della cosa pubblica. Pensate al
paradosso di due presidenti di regione, Formigoni e Galan, che
sono incompatibili con il ruolo di senatori, ma per intanto sono
stati eletti e a loro comodo sceglieranno se rimanere a Roma o
tornare a fare i presidenti. Un massacro istituzionale.
Si tratta di individuare le linee di una politica istituzionale
radicalmente diverse da quelle che hanno prevalso negli ultimi
quindici anni e che ha portato al mal funzionamento della cosa
pubblica.
E’ vero che nei cinque anni di governo la destra ha svilito
qualsiasi forma di autonomia ed il potere legislativo è stato
succube del volere del Capo dell’esecutivo. Decretazione e voti di
fiducia hanno impedito qualsiasi vera dialettica parlamentare. Di
fatto la divisione dei poteri tra esecutivi e legislativi è stata
in pratica annullata ad ogni livello istituzionale. Il problema
non è soltanto riconducibile al “cesarismo†di Berlusconi.
Decisive sono state anche le scelte istituzionali del
centrosinistra. Il presidenzialismo regionale è stato un aiutino
non da poco allo svuotamento delle competenze delle assemblee.
Ad esempio, un esame attento del movimento legislativo della
Regione dell’Umbria dimostrerebbe l’assoluta marginalità del
lavoro dell’assemblea regionale. Le competenze in capo ad un
consiglio comunale sono insignificanti per la vita dei cittadini.
Le cose sono complicate anche perché nel senso comune di molta
della classe politica prevale una visione leaderistica della
democrazia. L’elezione diretta di sindaci e presidenti ha prodotto
una vera e propria feudalizzazione della rappresentanza con
conseguenze funeste nel rapporto tra politica e cittadini. La
scelta degli elettori sempre più piegata alle esigenze delle
carriere personali dei politici, siano essi grandi feudatari o
signorotti locali. Il voto di scambio si conferma un micidiale
veleno per la democrazia.
Che fare? Le cose sono molto complicate e il dato che segna questa
fase è quello di un’incertezza e di una precarietà istituzionale.
Berlusconi giovedì aveva assicurato che sabato sarebbe salito al
Colle per rassegnare le dimissioni. Ci ha ripensato. Lo farÃ
martedì. Per intanto, dopo la “guerriglia†al Senato ha
preannunciato lotta dura senza paura in Parlamento e nelle piazze
se il nuovo Presidente della Repubblica non sarà uno della rosa
che Forza Italia si appresta a presentare. Per dimostrare la Sua
benevolenza il primo nome della lista sarà quello di Gianni Letta,
persona degnissima che poi ha il pregio di essere il
Sottosegretario alla Presidenza del governo Berlusconi. Una vera
figura super partes. Contemporaneamente il cavaliere sconfitto
preannuncia altri ricorsi contro le elezioni truffa e continua a
non riconoscere la legittimità di un governo Prodi.
In democrazia i vuoti di potere sono pericolosi. Bisogna che chi
può e deve, acceleri per concludere la transizione tra Berlusconi
e Prodi. Fino al diciotto maggio Ciampi sarà Presidente della
Repubblica con pieni poteri. Insediati i presidenti di Camera e
Senato la quindicesima legislatura è iniziata. La legge elettorale
voluta da Berlusconi non prevede consultazioni di alcun tipo. Il
Presidente della Repubblica deve dare l’incarico al leader della
coalizione che ha vinto le elezioni, questo dice la legge. Meglio
applicarla nell’interesse del Paese.
Corriere dell’Umbria 1° Maggio 2006
da Francesco Mandarini | Apr 23, 2006
Tutto è bene quel che finisce bene. Magari fosse così semplice. In
realtà la rinuncia di D’Alema alla candidatura alla presidenza
della Camera lascia tante amarezze e tanti feriti. Sull’orlo della
disperazione è Bruno Vespa. Il suo boudoir, “Porta a porta”,
perderà uno degli attori più prestigiosi. Con il nuovo incarico,
Bertinotti, non potrà più partecipare così assiduamente. Ne
risentirà lo spettacolo che la videocrazia imperante ci ha
garantito per molti anni. Pazienza ci resta sempre il Grande
Fratello e l’Isola dei Famosi.
Al di là degli aspetti personali, ha stupito l’assoluta
superficialità di chi ha gestito la faccenda delle cariche
istituzionali. I diesse, già in non buonissima salute dopo il
risultato elettorale, si prendono un’altra sberla. Meritata? No,
ma cercata sì. Com’è possibile lanciare, senza averne verificato
prima la praticabilità , la candidatura di D’Alema dopo che per
mesi si è parlato di una presidenza Bertinotti? E scusate tanto
dirigenti diessini, ma aver affidato a Prodi la scelta del
candidato dell’Unione per i seggi di presidente della Camera e del
Senato non è una distorsione nel funzionamento delle istituzioni?
Avevamo capito che, nella ripartizione dei poteri, il legislativo
non è subordinato al potere dell’esecutivo: ha una sua autonomia.
E’ ben vero che il governo delle destre ha in questi cinque anni
lavorato per limitare e condizionare l’autonomia prevista dalla
Costituzione ed è vero che Berlusconi si è sentito non un capo di
un governo, ma il Capo di tutto senza riconoscere alcuna divisione
dei poteri. La polemica con la Magistratura è stata, da questo
punto di vista, esemplare. Un eletto dal popolo non può essere
giudicato da nessuno sostiene il leader di Forza Italia.
Rispetto al funzionamento delle istituzioni, gli illusi pensavano
che con la vittoria del centrosinistra le cose sarebbero cambiate.
Sembrerebbe di No. Non esiste al mondo una democrazia parlamentare
in cui il leader dell’esecutivo sia incaricato di indicare il
presidente di una assemblea legislativa. Il fatto che i partiti
avevano delegato a Prodi la scelta di chi votare per la presidenza
di Camera e Senato è la lampante dimostrazione della loro
inconsistenza politica. Forse il berlusconismo è uno stato
dell’anima difficile da rimuovere perchè trasversale e molto
diffuso nella politica italiana. Nel merito della scelta ormai
facile, visto la rinuncia di D’Alema, qualche perplessità è
legittima. La pretesa del diritto al “posto” ha la sua
sgradevolezza. Non è piaciuta a molti la minaccia dell’appoggio
esterno in caso di non soddisfazione della richiesta del leader di
Rifondazione. Semplicemente inaccettabile in una situazione come
questa. Le elezioni non sono stati per nessuno una marcia
trionfale.
L’unità della coalizione è un bene prezioso, sostiene il
presidente dei DS. Ed ha ragione quando sostiene che sacrifici di
partito e personali aiutano in un momento difficile. Ciò che non
aiuta è il pressappochismo di alcuni leader. Qualità questa già
dimostrata in una campagna elettorale sgangherata in cui il
cavaliere ha imposto con determinazione la sua ideologia da bar
dello sport. L’Italia è piena di bar dello sport e il
centrosinistra non lo ha ancora capito. Ed è per questo la destra
ha recuperato voti. Sarebbe stato possibile mettere in crisi i
“tifosi” con una campagna elettorale diversa? Si, sostengono in
molti. L’antipolitica si sconfigge con un profilo alto della
proposta politica ed è questo che è mancato nella campagna
elettorale dell’Ulivo. A partire dal metodo con cui formare le
liste dei candidati si doveva costruire un terreno diverso di
confronto con i valori portati avanti dalla destra berlusconiana.
Ad esempio il farfugliare sulle tasse invece di sostenere l’ovvia
verità che le tasse servono per garantire servizi, è stata una
fesseria. Domanda: è meglio una tassazione equilibrata e
progressiva o il degrado dei servizi al cittadino? Le tasse sono
necessarie a pagare i servizi essenziali per la gente ed anche il
ceto medio benestante ha bisogno di una sanità pubblica che
funziona e di una scuola pubblica capace di formare le nuove
generazioni. Certo un ristretto strato di popolazione può pagarsi
cliniche private ed università all’estero, ma un sistema di sanità
privata non solo è molto costoso per il singolo, ma produce costi
insopportabili per l’intera società . E’ su questo terreno che il
centrosinistra doveva sfidare Berlusconi e i suoi alleati. E’
stato fatto in maniera insufficiente, timorosa e con qualche
fesseria.
Invece di occuparsi soltanto di organigrammi, gli stagionati
leader dell’Unione dovrebbero cominciare a dirci le linee
essenziali del programma per ricostruire un Paese messo male, con
quali forze e nell’interesse di chi. Che Fassino e Rutelli
vogliano entrare nel governo come vice-presidenti di Prodi e
mantenere la guida dei rispettivi partiti non sembra una gran
trovata. E’ semplicemente un’altra conferma degli appetiti e della
qualità di una parte del ceto politico.
Berlusconi si aspettava l’arrivo del settimo cavalleggeri e invece
l’amico americano G.W.Bush ha telefonato a Prodi per congratularsi
per la vittoria. La smetta, Prodi, con il suo mi telefona o no?
Berlusconi non intende dimettersi e ci vorrà l’esercito per
liberare Palazzo Chigi. Occorre calma e serenità anche se,
ascoltando i comizi del Berlusconi sconfitto, sembra di vivere il
finale del film di Moretti con la gente che brucia i palazzi.
Corriere dell’Umbria 23 aprile 2006
da Francesco Mandarini | Apr 16, 2006
Molto rumore per nulla? Questa volta il rumore rende evidente una
grave emergenza democratica. Si sono svolte elezioni che hanno
visto la partecipazione di una percentuale altissima di elettori.
Una pessima legge elettorale, voluta dalla destra, ha prodotto
comunque una maggioranza parlamentare che pur risicata al Senato,
consente comunque la formazione di un governo. Soltanto dopo
cinque giorni il Ministro degli Interni riconosce che le schede da
ricontrollare per le elezioni della Camera dei Deputati sono
duemilacentotrentuno. Errore materiale, dice il Ministro e i
brogli della sinistra, denunciati dalla Casa della Libertà , si
rivelano per quello che erano. L’ultima raffica di Salò si
potrebbe dire esagerando. L’ultima gag del cavaliere sconfitto se
si vuol essere buoni. Il Capo non riconosce di aver perso e il
mondo si stupisce. L’ira berlusconiana è comprensibile. Sconfitto
in piena “zona Cesarini” da un goal segnato da un oriundo. Una
beffa. Ma sconfitta è stata.
In sessanta anni di democrazia repubblicana è la prima volta che
un presidente del consiglio sconfitto non vuole farsi da parte.
Berlusconi non è mai stato un capo di governo capace di intendere
il funzionamento della democrazia. Nessuno ha vinto, dice il
Nostro. Eppure i numeri dicono il contrario: il centrodestra ha
perso, la coalizione diretta da Prodi ha vinto. Che fare? Allo
sbigottimento non può che seguire l’assunzione di responsabilità
di chi ha la maggioranza nei due rami del Parlamento senza altra
intenzione che fare bene il suo mestiere avendo come unico vincolo
l’interesse nazionale.
Che il Paese sia spaccato a metà è una banalità dei commentatori
politici che non hanno altro da scrivere. Non è la stessa cosa in
Inghilterra o in Usa o in Svezia e non lo è stato in Italia a
partire dal 1994?
Il voto comporta sempre una lacerazione tra schieramenti
contrapposti. La democrazia prevede una maggioranza e una
minoranza che hanno responsabilità diverse.
Prospettare un governo di larghe intese che metta assieme
Bertinotti, Prodi e Berlusconi è una bufala. Dopo cinque anni di
prepotenze della destra e dopo una campagna elettorale piena di
livore come è pensabile un tutti insieme appassionatamente? Un
governo con Previti alla Giustizia, Storace agli Interni e Bondi
alla Cultura? Volete consociarvi con i bollitori di bambini
signori e signore della destra? Tra Aldo Moro e Fabrizio Cicchitto
qualche differenza la nota anche Fassino.
L’Unione faccia il suo mestiere e cerchi di governare con le sue
forze. Ricostruire un terreno di rispetto reciproco richiede anni
di lavoro, mentre è urgente una svolta per risolvere i gravissimi
problemi lasciati dal governo delle destre.
Il centrosinistra dovrà analizzare con rigore un risultato
elettorale non esaltante. Perdere regioni conquistate soltanto un
anno fa non è cosa da poco. Qualche quesito rispetto alla qualità
dei governi regionali e locali è d’obbligo. La tracotanza di
qualche sindaco o presidente di regione del nord forse non ha
affascinato l’elettorato.
Anche il risultato umbro segna una qualche svolta rispetto a trend
elettorali consolidati. Non sarà l’inizio della fine come spera
qualche dirigente della destra umbra, ma è indubbio che si tratta,
per il centrosinistra, di un voto che mette in discussione la
qualità dell’offerta politica di molti partiti.
Il successo di Rifondazione e dello stesso PCDI può essere letto
attraverso la crisi di identità dei diessini. E’ un dato nazionale
che in Umbria si aggrava e sembra rendere obbligatoria la scelta
di andare alla costruzione del partito democratico. E’ una
scorciatoia o è la logica conclusione di un processo iniziato con
lo scioglimento del PCI? Per molti il partito democratico è un
elemento di chiarificazione e per altri di liberazione.
Terminerebbe una storia e forse ciò stimolerà la sinistra radicale
(?) a fare scelte di aggregazione. Mettere in un unico contenitore
Rutelli, Fabio Mussi, Cacciari e Renato Locchi, potrà sembrare una
forzatura, ma la strada sembra tracciata.
L’Ulivo ha confermato il dato delle elezioni europee e DS e
Margherita hanno subito un ridimensionamento significativo. Forza
Italia è rimasto il primo partito e Fassino ha mancato
l’obbiettivo di essere il Capo del più forte partito italiano. In
Umbria segretari, amministratori e varia umanità giustificano il
voto umbro prescindendo troppo dal loro lavoro. Forse sarebbe
tempo di riflettere meglio su come è percepito l’esercizio del
potere del ceto politico nella nostra comunità . Importante capire
perchè la discussione politica si concentra sempre di più sui
destini dei singoli e mai sulle scelte da fare per innovare la
società umbra. Per quanto potrà durare tutto ciò?
Utile sarebbe un’indagine rigorosa sulla rappresentazione sociale
della classe dirigente amministrativa. A naso si può parlare di un
ceto politico che proviene prevalentemente dal settore pubblico.
Le conseguenze sono molto importanti. La carenza di rappresentanza
dei settori più dinamici della società e della cultura
impoveriscono il rapporto con i cittadini. Prevale l’autoconservazione
sul rinnovamento delle classi dirigenti facendo
emergere conservatorismo e debolezza progettuale.
La carriera, anche nei migliori, prevale sul progetto collettivo.
Che la politica sia un mondo a parte che coinvolge soltanto gli
addetti ai lavori e loro famigli è cosa nota. Che le spese per
l’autoriproduzione del ceto siano in espansione non aiuta a
conquistare voti. Come soddisfare l’esigenza di mantenere la
tenuta sociale dell’Umbria con la spesa pubblica da ridimensionare
per carenza di risorse? Certo i qualunquisti di sempre avranno
vita facile se non arriveranno, dal Centro e dalle periferie,
forti segnali di rinnovato rigore e di un’etica politica che
guardi all’interesse generale piuttosto che a quello del singolo.
Corriere dell’Umbria 16 aprile 2006
da Francesco Mandarini | Apr 16, 2006
Molto rumore per nulla? Questa volta il rumore rende evidente una
grave emergenza democratica. Si sono svolte elezioni che hanno
visto la partecipazione di una percentuale altissima di elettori.
Una pessima legge elettorale, voluta dalla destra, ha prodotto
comunque una maggioranza parlamentare che pur risicata al Senato,
consente comunque la formazione di un governo. Soltanto dopo
cinque giorni il Ministro degli Interni riconosce che le schede da
ricontrollare per le elezioni della Camera dei Deputati sono
duemilacentotrentuno. Errore materiale, dice il Ministro e i
brogli della sinistra, denunciati dalla Casa della Libertà , si
rivelano per quello che erano. L’ultima raffica di Salò si
potrebbe dire esagerando. L’ultima gag del cavaliere sconfitto se
si vuol essere buoni. Il Capo non riconosce di aver perso e il
mondo si stupisce. L’ira berlusconiana è comprensibile. Sconfitto
in piena “zona Cesarini†da un goal segnato da un oriundo. Una
beffa. Ma sconfitta è stata.
In sessanta anni di democrazia repubblicana è la prima volta che
un presidente del consiglio sconfitto non vuole farsi da parte.
Berlusconi non è mai stato un capo di governo capace di intendere
il funzionamento della democrazia. Nessuno ha vinto, dice il
Nostro. Eppure i numeri dicono il contrario: il centrodestra ha
perso, la coalizione diretta da Prodi ha vinto. Che fare? Allo
sbigottimento non può che seguire l’assunzione di responsabilitÃ
di chi ha la maggioranza nei due rami del Parlamento senza altra
intenzione che fare bene il suo mestiere avendo come unico vincolo
l’interesse nazionale.
Che il Paese sia spaccato a metà è una banalità dei commentatori
politici che non hanno altro da scrivere. Non è la stessa cosa in
Inghilterra o in Usa o in Svezia e non lo è stato in Italia a
partire dal 1994?
Il voto comporta sempre una lacerazione tra schieramenti
contrapposti. La democrazia prevede una maggioranza e una
minoranza che hanno responsabilità diverse.
Prospettare un governo di larghe intese che metta assieme
Bertinotti, Prodi e Berlusconi è una bufala. Dopo cinque anni di
prepotenze della destra e dopo una campagna elettorale piena di
livore come è pensabile un tutti insieme appassionatamente? Un
governo con Previti alla Giustizia, Storace agli Interni e Bondi
alla Cultura? Volete consociarvi con i bollitori di bambini
signori e signore della destra? Tra Aldo Moro e Fabrizio Cicchitto
qualche differenza la nota anche Fassino.
L’Unione faccia il suo mestiere e cerchi di governare con le sue
forze. Ricostruire un terreno di rispetto reciproco richiede anni
di lavoro, mentre è urgente una svolta per risolvere i gravissimi
problemi lasciati dal governo delle destre.
Il centrosinistra dovrà analizzare con rigore un risultato
elettorale non esaltante. Perdere regioni conquistate soltanto un
anno fa non è cosa da poco. Qualche quesito rispetto alla qualitÃ
dei governi regionali e locali è d’obbligo. La tracotanza di
qualche sindaco o presidente di regione del nord forse non ha
affascinato l’elettorato.
Anche il risultato umbro segna una qualche svolta rispetto a trend
elettorali consolidati. Non sarà l’inizio della fine come spera
qualche dirigente della destra umbra, ma è indubbio che si tratta,
per il centrosinistra, di un voto che mette in discussione la
qualità dell’offerta politica di molti partiti.
Il successo di Rifondazione e dello stesso PCDI può essere letto
attraverso la crisi di identità dei diessini. E’ un dato nazionale
che in Umbria si aggrava e sembra rendere obbligatoria la scelta
di andare alla costruzione del partito democratico. E’ una
scorciatoia o è la logica conclusione di un processo iniziato con
lo scioglimento del PCI? Per molti il partito democratico è un
elemento di chiarificazione e per altri di liberazione.
Terminerebbe una storia e forse ciò stimolerà la sinistra radicale
(?) a fare scelte di aggregazione. Mettere in un unico contenitore
Rutelli, Fabio Mussi, Cacciari e Renato Locchi, potrà sembrare una
forzatura, ma la strada sembra tracciata.
L’Ulivo ha confermato il dato delle elezioni europee e DS e
Margherita hanno subito un ridimensionamento significativo. Forza
Italia è rimasto il primo partito e Fassino ha mancato
l’obbiettivo di essere il Capo del più forte partito italiano. In
Umbria segretari, amministratori e varia umanità giustificano il
voto umbro prescindendo troppo dal loro lavoro. Forse sarebbe
tempo di riflettere meglio su come è percepito l’esercizio del
potere del ceto politico nella nostra comunità . Importante capire
perché la discussione politica si concentra sempre di più sui
destini dei singoli e mai sulle scelte da fare per innovare la
società umbra. Per quanto potrà durare tutto ciò?
Utile sarebbe un’indagine rigorosa sulla rappresentazione sociale
della classe dirigente amministrativa. A naso si può parlare di un
ceto politico che proviene prevalentemente dal settore pubblico.
Le conseguenze sono molto importanti. La carenza di rappresentanza
dei settori più dinamici della società e della cultura
impoveriscono il rapporto con i cittadini. Prevale l’autoconservazione
sul rinnovamento delle classi dirigenti facendo
emergere conservatorismo e debolezza progettuale.
La carriera, anche nei migliori, prevale sul progetto collettivo.
Che la politica sia un mondo a parte che coinvolge soltanto gli
addetti ai lavori e loro famigli è cosa nota. Che le spese per
l’autoriproduzione del ceto siano in espansione non aiuta a
conquistare voti. Come soddisfare l’esigenza di mantenere la
tenuta sociale dell’Umbria con la spesa pubblica da ridimensionare
per carenza di risorse? Certo i qualunquisti di sempre avranno
vita facile se non arriveranno, dal Centro e dalle periferie,
forti segnali di rinnovato rigore e di un’etica politica che
guardi all’interesse generale piuttosto che a quello del singolo.
Corriere dell’Umbria 16 aprile 2006