da Francesco Mandarini | Feb 12, 2006
Il decreto di scioglimento lo ha firmato il presidente Ciampi. La
XIV legislatura del Parlamento giunge a conclusione.
Che Paese lascia il quinquennio dell’era berlusconiana? Ognuno di
noi può fare i suoi conti. Materiali innanzitutto. Ed è fuori
discussione che la maggioranza degli italiani ha subito un
ridimensionamento economico pesante. Il dato che prevale è quello
dell’incertezza per il futuro proprio e per quello dei più
giovani. Si sostiene, come se fosse un fatto naturale, che le
nuove generazioni non avranno alcuna protezione pensionistica. Le
pensioni attuali nel tempo si ridimensioneranno, ci assicurano gli
esperti. Già oggi le pensioni in essere hanno perso potere
d’acquisto e una parte consistente del lavoro giovanile non ha
alcuna decente copertura assicurativa. In genere è continuato, in
questi anni di governo della destra, il processo di spostamento
della ricchezza nazionale dal mondo del lavoro a quello della
rendita finanziaria. I poveri sono diventati più poveri e i ricchi
più ricchi ed anche le fasce medie hanno subito un duro colpo nei
redditi e nelle prospettive personali e della propria famiglia. Lo
stesso mondo delle imprese economiche ha sofferto della crisi. Il
centrodestra ha rappresentato bene gli interessi del propri
elettori? Sarebbe troppo semplice. Molti elettori di Fini o di
Casini appartengono al ceto medio e al mondo del lavoro, purtroppo
le scellerate politiche economiche hanno premiato altri settori
della società italiana. Se un governo deve essere giudicato per
quello che ha fatto, non ci sarebbe partita. E’ per questo che
Berlusconi ha spostato l’asse della discussione enfatizzando la
battaglia ideologica contro il comunismo. Non è un’idea balzana.
Anche se rimane complesso dimostrare che Bertinotti si accinge a
conquistare “il palazzo d’Inverno”, Berlusconi punta a mobilitare
il ventre molle del paese a partire dal disprezzo per la sinistra.
Tutto e tutti coloro che non alzano la bandiera del berlusconismo
non possono che essere strumenti del comunismo rampante.
Sottovalutare il cavaliere sarebbe sbagliato. In realtà Lui
l’Italia è riuscito a cambiarla davvero. Ognuno può stabilire se
in meglio o in peggio, ma il mutamento è stato radicale in
moltissimi settori a cominciare dal ruolo della politica in una
società complessa come quella italiana. Berlusconi ha
rappresentato al meglio l’antipolitica come strumento di governo
aiutato in questo da commentatori interessati, da cerchiobottisti
e da gravi errori del centrosinistra. La telenovela degli scontri
televisivi ha portato acqua all’impostazione politica del
cavaliere non certo alla credibilità del centrosinistra.
Un altro bilancio bisogna saper fare. Che comunità è oggi
l’Italia? Le istituzioni squassate da una tempesta di polemiche e
da leggi improvvisate e distruttive di regole. Una società meno
solidale in cui il rapporto tra cittadino e interesse pubblico è
peggiorato ulteriormente senza che una politica diversa sia stata
percepibile dal senso comune delle grandi masse. Il centrosinistra
è stato negli anni diviso nei programmi e la sua classe dirigente
non ha saputo avere una immagine forte e credibile. La leaderite è
stata la componente essenziale di gran parte dei gruppi dirigenti
a discapito dell’interesse a costruire un’alternativa possibile al
berlusconismo. La “videocrazia” non è stato strumento del solo
cavaliere do Arcore. Ci si affida allo scontro TV, sperando nella
correttezza dei conduttori. La democrazia è stata spesso un
optional anche per tanti unionisti. I partiti anche del
centrosinistra, rimangono fragili agglomerati di apparati dove
iscritti e militanti hanno ruoli e compiti che non incidono mai
sulle decisioni essenziali. Una risposta, per quanto ambigua,
poteva essere il meccanismo delle primarie. Strumento che è stato
utilizzato con parsimonia. Subito più che voluto non è stato il
procedimento di mobilitazione per la campagna elettorale. Intanto
gli eletti sono stati decisi anche dall’Unione a Roma senza che
ciò suonasse scandalo per nessuno. All’elettore spetta soltanto
scegliere il simbolo del partito, l’eletto è già stabilito. Unica
consolazione è che presumibilmente in questa campagna elettorale i
“santini” con le foto e biografie dei candidati non ci saranno. Si
risparmierà in quattrini e buon gusto e la cosa non è da poco.
Se vince le elezioni, il centrosinistra come farà ad affrontare i
problemi se non scommette anche sulla partecipazione della gente?
Riformare ciò che la destra ha imposto in questi anni, sarà
possibile senza una grande ondata democratica che solleciti
intelligenze e passioni?
Ieri Prodi ha presentato il suo programma di governo. Bene era
ora. Gli incontentabili sostengono che al di là delle singole
scelte ciò che manca è un’anima riformatrice. E’ assente la
semplicità dello slogan comprensibile alla gente. Insomma non è
contemplata la sloganistica tipo: “pace e lavoro”. Non sarebbe
grave se la sostanza delle proposte si muove in direzioni
completamente diverse da quelle del governo Berlusconi e anche da
quelle del primo governo Prodi. Governi assolutamente diversi che
però hanno avuto un tratto in comune. Non certo l’arroganza delle
leggi personali o la volgarità leghista, piuttosto l’accettazione
dell’ideologia liberista imperante nonostante i suoi fallimenti.
Che il mercato sia un riferimento decisivo nel mondo globalizzato
è un’ovvietà accettata da tutti. Ciò che non è più accettabile è
un mercato senza regole o che ha regole che riguardino soltanto la
libertà della precarizzazione del lavoro a vantaggio della
speculazione finanziaria. Prodi ha detto che il suo sarà un
governo che lotterà contro la precarietà dei giovani lavoratori.
Sembra essere una scelta saggia. L’Unione ha un senso soltanto se
riscopre le sue radici sociali e su questo costruisce il programma
di governo. L’antiberlusconismo non basterà per risolvere i drammi
del Paese.
Corriere dell’Umbria 12 febbraio 2006
da Francesco Mandarini | Feb 12, 2006
Il decreto di scioglimento lo ha firmato il presidente Ciampi. La
XIV legislatura del Parlamento giunge a conclusione.
Che Paese lascia il quinquennio dell’era berlusconiana? Ognuno di
noi può fare i suoi conti. Materiali innanzitutto. Ed è fuori
discussione che la maggioranza degli italiani ha subito un
ridimensionamento economico pesante. Il dato che prevale è quello
dell’incertezza per il futuro proprio e per quello dei più
giovani. Si sostiene, come se fosse un fatto naturale, che le
nuove generazioni non avranno alcuna protezione pensionistica. Le
pensioni attuali nel tempo si ridimensioneranno, ci assicurano gli
esperti. Già oggi le pensioni in essere hanno perso potere
d’acquisto e una parte consistente del lavoro giovanile non ha
alcuna decente copertura assicurativa. In genere è continuato, in
questi anni di governo della destra, il processo di spostamento
della ricchezza nazionale dal mondo del lavoro a quello della
rendita finanziaria. I poveri sono diventati più poveri e i ricchi
più ricchi ed anche le fasce medie hanno subito un duro colpo nei
redditi e nelle prospettive personali e della propria famiglia. Lo
stesso mondo delle imprese economiche ha sofferto della crisi. Il
centrodestra ha rappresentato bene gli interessi del propri
elettori? Sarebbe troppo semplice. Molti elettori di Fini o di
Casini appartengono al ceto medio e al mondo del lavoro, purtroppo
le scellerate politiche economiche hanno premiato altri settori
della società italiana. Se un governo deve essere giudicato per
quello che ha fatto, non ci sarebbe partita. E’ per questo che
Berlusconi ha spostato l’asse della discussione enfatizzando la
battaglia ideologica contro il comunismo. Non è un’idea balzana.
Anche se rimane complesso dimostrare che Bertinotti si accinge a
conquistare “il palazzo d’Invernoâ€, Berlusconi punta a mobilitare
il ventre molle del paese a partire dal disprezzo per la sinistra.
Tutto e tutti coloro che non alzano la bandiera del berlusconismo
non possono che essere strumenti del comunismo rampante.
Sottovalutare il cavaliere sarebbe sbagliato. In realtà Lui
l’Italia è riuscito a cambiarla davvero. Ognuno può stabilire se
in meglio o in peggio, ma il mutamento è stato radicale in
moltissimi settori a cominciare dal ruolo della politica in una
società complessa come quella italiana. Berlusconi ha
rappresentato al meglio l’antipolitica come strumento di governo
aiutato in questo da commentatori interessati, da cerchiobottisti
e da gravi errori del centrosinistra. La telenovela degli scontri
televisivi ha portato acqua all’impostazione politica del
cavaliere non certo alla credibilità del centrosinistra.
Un altro bilancio bisogna saper fare. Che comunità è oggi
l’Italia? Le istituzioni squassate da una tempesta di polemiche e
da leggi improvvisate e distruttive di regole. Una società meno
solidale in cui il rapporto tra cittadino e interesse pubblico è
peggiorato ulteriormente senza che una politica diversa sia stata
percepibile dal senso comune delle grandi masse. Il centrosinistra
è stato negli anni diviso nei programmi e la sua classe dirigente
non ha saputo avere una immagine forte e credibile. La leaderite è
stata la componente essenziale di gran parte dei gruppi dirigenti
a discapito dell’interesse a costruire un’alternativa possibile al
berlusconismo. La “videocrazia†non è stato strumento del solo
cavaliere do Arcore. Ci si affida allo scontro TV, sperando nella
correttezza dei conduttori. La democrazia è stata spesso un
optional anche per tanti unionisti. I partiti anche del
centrosinistra, rimangono fragili agglomerati di apparati dove
iscritti e militanti hanno ruoli e compiti che non incidono mai
sulle decisioni essenziali. Una risposta, per quanto ambigua,
poteva essere il meccanismo delle primarie. Strumento che è stato
utilizzato con parsimonia. Subito più che voluto non è stato il
procedimento di mobilitazione per la campagna elettorale. Intanto
gli eletti sono stati decisi anche dall’Unione a Roma senza che
ciò suonasse scandalo per nessuno. All’elettore spetta soltanto
scegliere il simbolo del partito, l’eletto è già stabilito. Unica
consolazione è che presumibilmente in questa campagna elettorale i
“santini†con le foto e biografie dei candidati non ci saranno. Si
risparmierà in quattrini e buon gusto e la cosa non è da poco.
Se vince le elezioni, il centrosinistra come farà ad affrontare i
problemi se non scommette anche sulla partecipazione della gente?
Riformare ciò che la destra ha imposto in questi anni, sarÃ
possibile senza una grande ondata democratica che solleciti
intelligenze e passioni?
Ieri Prodi ha presentato il suo programma di governo. Bene era
ora. Gli incontentabili sostengono che al di là delle singole
scelte ciò che manca è un’anima riformatrice. E’ assente la
semplicità dello slogan comprensibile alla gente. Insomma non è
contemplata la sloganistica tipo: “pace e lavoroâ€. Non sarebbe
grave se la sostanza delle proposte si muove in direzioni
completamente diverse da quelle del governo Berlusconi e anche da
quelle del primo governo Prodi. Governi assolutamente diversi che
però hanno avuto un tratto in comune. Non certo l’arroganza delle
leggi personali o la volgarità leghista, piuttosto l’accettazione
dell’ideologia liberista imperante nonostante i suoi fallimenti.
Che il mercato sia un riferimento decisivo nel mondo globalizzato
è un’ovvietà accettata da tutti. Ciò che non è più accettabile è
un mercato senza regole o che ha regole che riguardino soltanto la
libertà della precarizzazione del lavoro a vantaggio della
speculazione finanziaria. Prodi ha detto che il suo sarà un
governo che lotterà contro la precarietà dei giovani lavoratori.
Sembra essere una scelta saggia. L’Unione ha un senso soltanto se
riscopre le sue radici sociali e su questo costruisce il programma
di governo. L’antiberlusconismo non basterà per risolvere i drammi
del Paese.
Corriere dell’Umbria 12 febbraio 2006
da Francesco Mandarini | Feb 5, 2006
Che ha da guadagnare il Paese da una serata televisiva d’insulti
tra Prodi e Berlusconi? Niente. Soltanto un’altra dimostrazione
del degrado della politica italiana. Eppure i giornali sono pieni
di dubbi atroci. Ci sarà o no lo scontro? Vincerà la logorrea del
Cavaliere o la finta pacatezza del professore? Nell’incertezza c’è
chi gia pensa che questa campagna elettorale infinita sarà
soltanto una delle tante occasioni in cui l’ultimo dei pensieri
dei candidati sarà con quali idee e come si risolvono i problemi
di un Paese in frantumi. Meglio andare al cinema che perdere tempo
davanti alla rissa dei salotti TV? La scelta sembrerebbe facile.
Ma bisogna pur votare con qualche dato di conoscenza e allora
seguiamo questi nostri eroi.
La campagna d’inverno del cavaliere d’Arcore contro i comunisti
risponde ad una tesi precisa: la democrazia è come il mercato. Nel
mercato chi ha più risorse vince e i mezzi a disposizione deve
poterli mettere in campo. Nessuna regola, nessun vincolo. Le
regole si fanno su misura a colpi di maggioranza e avanti con
l’insulto. Le bugie e la creatività degli slogan possono fare la
differenza. Fino all’ultimo spot contro la concorrenza, senza
timore della menzogna. La politica è un prodotto come un altro e
va venduto utilizzando tutti gli strumenti adatti per ottenere il
consenso, pensa il cavaliere. Essendo un venditore di sogni
Berlusconi ha bisogno di poter trasmettere i suoi miraggi.
Studi e analisi dimostrano che la televisione è il mezzo migliore
per implementare le vendite dei detersivi? La scelta è allora
obbligata: occupare la televisione può valere anche per vincere le
elezioni.
E’ vero che la politica, nonostante tutto, non è una merendina. Ma
lo stato comatoso della vita dei palazzi della politica è tale da
rendere possibile qualsiasi avventura. E l’Italia è una nazione
strana. Come è noto nella sua lunga storia di personaggi della
politica strani ne ha prodotti diversi, con conseguenze spesso
disastrose.
Bisognerebbe ricostruire un nuovo rapporto tra cittadini e
politica, ma la cosa non è facile. Tutto il personale politico si
è da tempo adagiato negli studi televisivi. Tra l’essere e
l’apparire molti hanno scelto l’apparire. Le presenze di alcuni
dirigenti, anche della sinistra, nei diversi programmi televisivi
è da Guinness dei primati. Non si capisce quando hanno tempo di
studiare una legge, parlare con gli elettori, andare ad una cena
con amici. O magari nella toilet, leggere un libro.
Il rapporto con i militanti e la gente comune è diventato un
optional mediato dal tubo catodico.
Al di là di tutto ciò la vita continua con i problemi materiali
che bisogna affrontare.
Sono problemi difficili anche per la nostra regione se una delle
aree a più consolidato sviluppo, l’Alta Valle del Tevere, è dovuta
scendere in sciopero per rappresentare le proprie difficoltà .
Stiamo parlando dell’area dell’Umbria che nei decenni ha avuto
tassi di crescita elevatissimi rispetto a molte altre realtà
regionali. Eppure i sindacati hanno chiamato cittadini ed
istituzioni ad una mobilitazione per un rilancio dello sviluppo.
E’ noto che il sindacato umbro non è guidato da estremisti. E’
piuttosto il dinamico patto per lo sviluppo l’orizzonte per cui
sognano e lavorano gran parte dei leader sindacali. E allora
perchè lo sciopero?
Singole aziende in crisi, incertezze strategiche per il comparto
del tabacco si accompagnano ad una difficoltà del settore pubblico
a causa dei tagli della finanziaria 2006. Situazione complessa
insomma.
E che succede in consiglio regionale? Nella discussione per
l’approvazione del Bilancio, la maggioranza si divide sui
finanziamenti agli oratori!
Confesso che non conosco l’argomento. Posso immaginare che
l’occasione sia stata il pretesto per un’altra tornata della
guerra tra guelfi e ghibellini. Stupisce però che nella
discussione, leader del centrosinistra, considerino la laicità
dello stato come un’arcaica rigidità . E’ la Costituzione vigente
che prevede ciò e se è più che legittimo dichiararsi religiosi lo
è altrettanto dichiararsi laici o non religiosi. Poi se le leggi
lo prevedono, è giusto che oratori o associazioni culturali laiche
ottengano finanziamenti pubblici. Libera Chiesa in libero Stato.
De Gasperi insegna. O no?
Le liste dell’Unione, dicono i bene informati, sono cosa fatta.
Discussione difficile anche per la creativa scelta di unificare le
liste dei DS e della Margherita per la Camera dei Deputati. Alcuni
volti nuovi, molte facce note, poco che meriti l’entusiasmo delle
masse.
Una sola considerazione. Mi viene spontanea dalla lettura di un
libro di Rossana Rossanda. Nel bellissimo scritto, Rossanda
ricorda: “Non faceva nessuna impressione non venire eletti, non ci
si sentiva come si dice adesso “trombato”, rischio che oggi
nessuno vuol correre come eminentemente indegno. Se qualcuno si
azzardava a organizzarsi da se le preferenze veniva duramente
ripreso. Resto convinta che era un sistema più pulito correre per
la propria causa che per se.”.
Che dire? Il rapporto dei singoli con la politica è diventata
altra cosa e la propria causa, per molti è letterale. Si tratta
della propria carriera.
E poi Rossana Rossanda è una ragazza del secolo scorso.
Corriere dell’Umbria 5 febbraio 2006
da Francesco Mandarini | Gen 29, 2006
Un angosciante quesito scuote il centrosinistra: la bulimia
televisiva di Berlusconi è cosa buona per l’Unione considerando
che la plateale prepotenza del Capo potrebbe indurre al rifiuto? O
c’è il rischio che il centrodestra recuperi voti proprio grazie
all’uragano televisivo del cavaliere?
I sondaggisti non risolvono il problema, ma in un Paese tramortito
come il nostro anche una campagna elettorale fatta d’insulti,
ilarità da avanspettacolo e grida invereconde può riservare
pessime sorprese per il centrosinistra.
Il teatrino della politica non è prerogativa della destra. Attori
di primo livello dell’Unione, hanno in questi anni popolato
salotti e boudoir televisivi non sempre esprimendo una qualità
politica entusiasmante, anzi. Al di là dell’appeal televisivo dei
dirigenti politici dell’Unione, ciò che è stato micidiale è l’aver
partecipato attivamente alla costruzione di una politica autonoma
dal sentire della gente. Una politica che si chiude alle
problematiche del vissuto quotidiano dei cittadini a cui non si sa
più rispondere se non assestato in un salotto tv più o meno
civile.
L’aver marginalizzato il rapporto diretto con i militanti e con
l’elettorato è stato per il centrosinistra un micidiale errore.
Sostituire i partiti di massa con le convention e con apparati
funzionanti soltanto in occasione delle campagne elettorali non è
stata una gran trovata. Il centrosinistra poteva utilizzare la
spinta delle primarie di ottobre ed invece tutta la partita
candidati è giocata a Roma con tutte le sgradevolezze della
ripartizione dei posti. Senza falso moralismo è chiaro che se
tutto deve essere deciso tra i segretari nazionali dei partiti è
scontato che la mobilitazione necessaria non ci sarà . Nel merito
le prime notizie sui possibili candidati umbri del centrosinistra
sono confortanti. Sembrerebbe che questa volta molti parlamentari
saranno espressione della classe politica regionale senza troppi
leader e leaderini nazionali. Certo anche in Umbria tutte le liste
saranno aperte dai Capi, ma il meccanismo prevede che il Capo
eletto poi si dimette a vantaggio del secondo della lista.
Procedimento strano, ma la berlusconite va assieme alla leaderite,
malattia senile anche dell’Unione.
Saggezza politica vorrebbe che Prodi sfuggisse al meccanismo
rissaiolo messo in piedi dal cavaliere. Purtroppo ciò non succede.
Una scuola di pensiero sostiene che i leader del centrosinistra
meno parlano e meglio sarebbe. Ma forse è una esagerazione.
Pensare prima di aprir bocca di fronte ad un microfono è esercizio
obbligatorio, mentre rincorrere Berlusconi nel suo stesso terreno
non è consigliabile. La disparità dei mezzi a disposizione è tale
da suggerire altre strade. Berlusconi ha dalla sua quattrini,
televisioni, squadre di calcio, case editoriali e una pletora di
yes man in ogni ambiente. E non teme confronti quando si tratta di
inventarsi sogni. Ed ha ragione, il cavaliere, quando dice che Lui
l’Italia è riuscito a cambiarla. E’ vero. Che l’abbia cambiata in
peggio è questione secondaria. Importante è cambiare.
La risorsa fondamentale dell’Unione è il popolo quello di carne ed
ossa, non solo quello della televisione. Quando si tratta di
scegliere valori e progetti su cui chiedere il consenso politico
ed elettorale, ricordarselo non sarebbe male.
Comunque è certo che per adesso un risultato Berlusconi lo va
ottenendo. Non si parla di bilanci del lavoro fatto dal governo di
centrodestra e i programmi della coalizione dell’Unione restano
sullo sfondo. Siamo ancora alle duecentosettanta pagine prodotte
dal lavoro degli esperti di centrosinistra. Non è tempo di
chiarire quali sono le priorità da portare al governo del Paese?
Sarebbe utile capire cosa intende fare Prodi rispetto alla
gravissima crisi economica del Paese e quali scelte saranno fatte
per riattivare un processo virtuoso di sviluppo.
Negli anni trascorsi al governo Berlusconi ha spostato risorse da
una parte all’altra della società e la forbice tra ricchi e poveri
si è ulteriormente allargata. Il lavoro ha perso peso ed è
diventato ancor più precario. Non la flessibilità è stata
introdotta, ma una sorta d’angoscia permanente per giovani e meno
giovani quando si tratta di trovare e mantenere un lavoro decente.
L’abbassamento dei tassi di disoccupazione sono una balla che
nasconde stipendi da fame e instabilità occupazionale.
In Italia è stata fatta una politica di classe esattamente come
negli USA. Capisco che usare il termine classe può apparire
arcaico in tempi in cui si giudica la gente per ciò che riesce a
consumare e non per come partecipa al processo di formazione della
ricchezza nazionale. Rimane il fatto che molti dei provvedimenti
presi dal centrodestra hanno privilegiato alcuni(non solo
Berlusconi) e penalizzato gli altri, la parte dei lavoratori, del
ceto medio e dei pensionati. Dal centrosinistra molti si aspettano
un’inversione di tendenza che sia capace di riattivare un
meccanismo di sviluppo che abbia come faro non tanto il dio
mercato, ma uno spostamento di risorse verso la parte della
società che più ha sofferto l’impoverimento dell’Italia.
In Umbria si è conclusa la discussione sul documento di
programmazione annuale. E’ stata una discussione utile? Novità
poche, ma almeno si è tentato di riattivare un processo di
partecipazione dal basso. Non è andata benissimo, ma l’importante
è provarci. Il centrodestra ha molto contrastato le tesi di fondo
del DAP, ma principalmente ha difeso l’azione del governo
Berlusconi e si capisce perchè.
Si capisce meno il permanere di un tranquillo ottimismo da parte
del centrosinistra umbro. Evitare ogni visione catastrofica è cosa
saggia. Lo è meno non dar segno di avvertire gli scricchiolii di
un sistema, quello umbro, che vede venir meno risorse
significative in tutti i settori.
Corriere dell’Umbria 29 gennaio 2006
da Francesco Mandarini | Gen 27, 2006
Il recente lavoro di Renato Covino, il saggio titolato
“Equilibristi sulla palude”, ha il grande merito di ricordare a
tutti noi il percorso economico, politico e sociale di una
comunità . Posso immaginare che all’autore il concetto di comunità
non piaccia. E’ poco scientifico ed è diverso da una visione
delle cose costruita dal conflitto tra classi sociali. Eppure
bisognerà pur chiedersi perchè ad una certa fase degli anni
ricordati da Covino, una comunità degli umbri ha avuto il
sopravvento non tanto su una visione di classe, ma certamente in
quello delle municipalità e l’interesse generale è riuscito a
contenere il localismo notoriamente brodo di cultura della “nuova
classe” dirigente al potere. Gli anni ottanta e novanta sono
frutto esclusivo dei limiti del lavoro delle classi dirigenti
umbre o sono piuttosto il risultato di processi che gli umbri
potevano soltanto parzialmente contrastare? E’ dimostrabile con
dati e fatti che l’idea di costruire una regione aperta al
contributo delle forze più dinamiche della società ebbe successo.
Un successo forse effimero, ma il cambiamento fu avviato e per una
fase non fummo più considerati come un quartiere di Roma, ma
appunto una forte comunità .
Nei primi anni settanta il regionalismo italiano ebbe come
protagonisti essenziali gli esecutivi di Toscana, Lombardia,
Umbria ed Emilia-Romagna. La classe dirigente politico
amministrativa consolidata in quei tempi ha svolto per molti anni
un ruolo nazionale di tutto rispetto in molti partiti.
Nonostante competenze marginali e risorse finanziarie risibili in
gran parte dei settori economici, l’impegno amministrativo e
legislativo della giunta diretta da Conti riuscì a sollecitare
l’innovazione di molto del sistema economico e sociale anche
grazie al rapporto con un ceto imprenditoriale fortemente
impegnato nell’internazionalizzazione dei propri marchi. Decisiva
fu una diffusa spinta partecipativa di forze culturali e della
società civile.
Lo stesso welfare in costruzione non riproduceva il conosciuto.
Nella sanità , con le pratiche innovative nella psichiatria o sulla
salute in fabbrica, non si costruiva assistenzialismo ma invece
delle novità assolute per l’Italia.
Covino ricorda come il movimento di massa si articolò in
associazioni economiche e culturali molto diffuse nel territorio
grazie al sostegno anche materiale della Regione. Democrazia e
partecipazione si rafforzarono in modo significativo.
Si trattò di una rete assistita dal pubblico o di qualcosa di
diverso? Le opinioni sono al riguardo differenti. A mio parere ciò
che è stato decisivo in quegli anni, è stata la capacità del ceto
politico di andare oltre i confini della normale amministrazione
rendendo evidente l’utilità dello sviluppo dello stato sociale
locale. Forzature ed errori vi furono e sarebbe utile una
discussione non solo storica al riguardo. Lo “sviluppismo” di
quella stagione qualche danno di cultura politica lo ha prodotto.
Ciò che non corrisponde al vero è che la modernizzazione
dell’Umbria sia avvenuta grazie a quella sorta di scambio
sviluppo- bassi salari che emerge dallo scritto di Covino.
Lo scambio non era possibile anche perchè mancavano i presupposti
formali, oltre che volontà politica. Non esisteva allora alcuna
procedura di “concertazione” tra parti sociali e istituzioni. Le
competenze regionali sulle materie industriali non avevano alcuna
rilevanza e le risorse erano inesistenti.
I bassi salari umbri derivavano (e derivano) da una struttura
produttiva a basi ristrette ed a bassa capitalizzazione.
I rapporti di forza erano quelli che erano. Le imprese industriali
erano diffuse a macchia di leopardo e in intere zone prevaleva il
sottosviluppo. L’alto tasso di disoccupazione non aiutava certo
il movimento sindacale a sviluppare lotte per più alti salari. La
volontà politica degli amministratori c’entra poco. Comunque anche
i bassi salari non riguardavano tutti i lavoratori. Ad esempio che
ricordi, i trattamenti economici e normativi vigenti nel gruppo
Buitoni-Perugina sono stati per anni tra i più avanzati del Paese.
Nel comparto industriale di Terni i salari e stipendi non erano
dissimili da quelli del Nord. Le operaie della ElleEsse non erano
affatto sottopagate come non lo erano i metalmeccanici di molte
fabbriche del perugino.
Covino descrive con alcuni ragionamenti l’impatto della seconda
crisi petrolifera nell’economia regionale. Sono stati anni
drammatici quelli sulla fine degli anni settanta ed inizio anni
ottanta. Ad uno ad uno scompaiono interi gruppi industriali e
un’intera classe imprenditoriale si dissolve come neve al sole.
Si riprodusse quella “palude” da cui eravamo usciti soltanto da
pochi decenni? Non sono convinto. Forse sarebbe utile approfondire
le ragioni politiche che hanno reso più difficile organizzare la
risposta alla crisi dell’economia consolidata negli anni sessanta
e settanta. Una risposta fu tentata e con qualche risultato. La
scelta della Giunta diretta da Marri di stabilire un rapporto con
i programmi inerenti i Fondi strutturali europei unita a tutta la
progettazione per accedere al Fondi Investimenti Occupazione,
spostò l’asse amministrativo della regione e di molte
amministrazioni comunali. Per anni la regione dell’Umbria è stata
tra gli enti pubblici italiani che ha utilizzato meglio le risorse
di Bruxelles grazie ad una progettazione ad alto impatto
innovativo. Responsabilità gravi nel ritardo nell’innovazione del
settore industriale vanno ricondotte tutte al conservatorismo
della Confindustria Umbra e non alla mancanza d’idee della
pubblica amministrazione locale e regionale.
L’impegno di allora non è stato sufficiente troppi i vincoli
esterni negativi. Le linee dei partiti nazionali andarono in altra
direzione. Analizzandole scopriremmo che le scelte di Roma hanno
tramortito l’esperienza regionale. Il regionalismo ha ballato una
sola estate. La prima legislatura. Poi ha stravinto un centralismo
“consociativo”. Tutti i gruppi dirigenti dei partiti nazionali
scelsero la strada del “ridimensionamento” del ruolo delle regioni.
Esemplare fu la scelta dei decreti delegati del 1977. Covino
definisce il decreto 616 come insufficiente. In realtà si tratta
della certificazione di una riforma fatta a metà in cui ciò che
sembra morto, il centralismo, torna e mangia il vivo, l’autonomia
regionale. Ricordate la stagione dei grandi sindaci? Nelle scelte
della sinistra scompaiono le regioni come motore della riforma
istituzionale. Si considerano in sostanza enti inutili. Si
preferisce l’autonomia comunale con le Province a sopravvivere
fino a nuovo ordine. Ed il potere si riconcentra nei palazzi della
politica romana. Cossutta era in quegli anni responsabile del
decisivo settore delle autonomie locali del PCI. No comment.
Non si tratta di un processo ininfluente rispetto alle difficoltà
degli anni ottanta e novanta. Limite dell’attuale classe dirigente
è proprio il non aver studiato a dovere il fallimento della prima
esperienza regionalista. E’ noto il mio parere rispetto alle
improvvisazioni istituzionale dei nostri eroi al potere. Covino
non è nel giusto quando sottovaluta la cesura formidabile
introdotta dall’occhettismo anche in materia istituzionale.
Il disastro politico della cosiddetta seconda repubblica è sotto
gli occhi di tutti. Pochi avvertono che il consolidarsi di una
specie di notabilato castale al potere è figlio legittimo
dell’ideologia nuovista che ha precisi responsabili e
riscontrabili cadenze temporali. Non so bene chi fossero gli
innovatori e chi i pragmatici nella sinistra della fine degli anni
ottanta.
Ricordo con esattezza il disagio di dover spiegare a persone
acculturate e intelligenti che la politica, per la sinistra, serve
a modificare lo stato di cose esistenti utilizzando tutte le
risorse possibili, anche la spesa pubblica.
Magari avendo qualche idea che travalica il quotidiano. Le
risibili polemiche attorno al partito dei lavori pubblici ed al
ruolo dell’Ufficio del Piano furono la conferma del cambiamento di
scenario: anche in Umbria arrivava l’onda lunga del liberalismo e
del ridimensionamento del ruolo del pubblico nella vita della
comunità . Adesso anche noi siamo trendy e grazie al berlusconismo
rimarremo al potere per altre numerose legislature. Gli
equilibristi ci guideranno verso traguardi luminosi.
Micropolis gennaio 2006