da Francesco Mandarini | Nov 20, 2013
Qualche pregiudizio, non lo nego, lo ho avuto sin dalla sua fondazione. Mettere assieme storie così diverse mi risultava problematico. La generica piattaforma blairiana me lo rendeva non attraente. Generico nei programmi come la fantasmagorica terza via Di Tony Blair e Bill Clinton. Mai però avrei immaginato un percorso travagliato come quello del Partito Democratico. Forse è un’esagerazione ma vedo un filo rosso tra la Bolognina di occhettiana memoria e la certificazione della fine della sinistra italiana che il “renzismo” trionfante sembra garantire. Ci sono voluti oltre venti anni ma alla fine ci sono riusciti: la sinistra organizzata in un partito si dissolve. Achille Occhetto, giustamente, voleva riformare la sinistra. Lo fece male con il suo “nuovo che avanza” e con personale politico scadente, ma l’ultimo segretario del PCI immaginava e voleva un partito di sinistra e non un generico partito esangue perché senza radici. Occhetto sbagliò alla grande il modo e il metodo non nell’obbiettivo di innovare. Il risultato non fu certo brillante. Scissioni e “il tutti a casa” per chi non voleva più i vincoli di una militanza comunista dura se esercitata con onesta e rigore. L’invenzione del PD si trascina da anni senza trovare un punto di consolidamento. Eppure agli ex comunisti era piaciuta l’idea di andare a sperimentare un’altro modo di essere di sinistra e gli ex democristiani apprezzavano l’idea di sfuggire alla fascinazione berlusconiana senza diventare socialdemocratici. Perché non ha funzionato il PD? Difficile individuare un solo motivo. Certo la scelta di teorizzare un partito “leggero” che funziona essenzialmente come un comitato elettorale permanente a tutti i livelli non è stata una grande scelta. Il New Labour è un partito di centrosinistra che contiene al suo interno sensibilità molto diverse tra loro ma il leader viene scelto in un congresso di partito sulla base di un programma dettagliato e non con le primarie. Le primarie. Le più famose sono quelle americane. Vengono utilizzate da repubblicani e democratici per scegliere i candidati per ogni carica pubblica. Chi partecipa al voto? Per votare bisogna essere iscritti alle liste dei repubblicani o dei democratici. I democratici scelgono il loro, i repubblicani l’antagonista. Ovvio e scontato. Da noi invece il segretario del PD sarà scelto attraverso il voto di chi vuol votare. Anche l’elettore leghista è legittimato a votare per Renzi o per Civati. Insomma è come se l’allenatore dell’Internazionale fosse scelto anche dagli Juventini. Sembrerebbe paradossale ma non sembra esserlo. Quelle del PD non sono primarie all’americana, ma alla amatriciana. Persone, le più diverse, si sentono protagoniste perché un giorno, in questo caso l’8 dicembre, andranno in un gazebo a votare per scegliere il segretario di un partito che non c’è. Senza astio e con molta preoccupazione, si può affermare che un partito che funziona soltanto in occasione di tenzoni da primarie, non è un partito ma l’agglomerato di comitati elettorali. Di questo ha bisogno un Paese allo stremo? Svecchiare certezze e comportamenti ormai inammissibili, darsi un programma d governo adeguato alla catastrofe provocata dalle scelte liberiste e dalla pochezza delle classi dirigenti italiane questo servirebbe al Paese. Invece abbiamo a che fare con un’altra ondata di personalizzazione della politica. Senza un’idea, senza un progetto che travalichi l’ambizione personale. Non è certo un bel vedere.
da Francesco Mandarini | Set 26, 2013
E’ vero è in atto un colpo di Stato. Soltanto in Paesi a democrazia debole, un pregiudicato può ambire di andare in tv a reti unificate e accusare la magistratura di ogni nefandezza. Il leader della destra italiana lo ha fatto senza che ad alcuno sia sorto il dubbio sulla gravità del fatto. Ci stiamo abituando a tutto e giustifichiamo ogni cosa i nome della stabilità. Finalmente Napolitano ha definito inquietante la decisione del PDL di far dimettere i propri deputati se si applicheranno le sentenze della magistratura e si rispetterà la legge che fa decadere il pregiudicato leader della destra italiana. Minaccia risibile che può soltanto bloccare per mesi o lavori parlamentari senza sortire a nessun risultato positivo. Era tempo che anche nel Colle più alto della politica si capisse che la stabilità di governo ha un senso soltanto se si possono decidere cose utili al Paese. Principalmente sottolineando che non si può violentare lo stato di diritto in nome della governabilità, il Capo dello Stato ha risposto picche alle pretese del pregiudicato. Il volenteroso Letta in giro per il mondo a cercare di convincere gli investitori sull’affidabilità e la stabilità del governo italiano e la destra al governo annuncia tragedie e crisi di governo se non si dà la grazia perpetua al condannato più ricco d’Italia. Povero Letta e poveri noi.
da Francesco Mandarini | Set 2, 2013
Puntuale come la nebbia in Val Padana arriva l’onda del “nuovo che avanza” . Dimentichi delle passate esperienze, gli opinion maker di ogni tendenza e qualità, con l’entusiasmo infantile di chi scopre un leader di qualità certe e indiscutibili, con dotti editoriali ci spiegano perché Renzi sarà la panacea per il disastrato PD e per il Paese. La corsa verso il renzismo somiglia a un fiume in piena descritto con entusiasmo dalla libera stampa italiana: un’apoteosi per il sindaco di Firenze che conquista il popolo democratico (ex bersaniano,ex veltroniano,ex occhettiano,ex, insomma) nella fu Emilia rossa, nella Genova dei portuali. Nei campi, in mare e nei cieli azzurri. E si capisce l’entusiasmo. Un popolo stressato da venti anni a osannare la stessa nomenclatura nonostante che essa fosse solo capace di fare il gioco dell’oca!! La stessa che ha gestito, tutti sempre in prima fila, la disfatta della sinistra italiana senza mai studiare e far capire al suo popolo perché PCI e PSI si fossero sciolti come neve al sole. E’ una nomenclatura che deve essere rimossa. Renzi rappresenta la speranza che ciò avvenga questa volta davvero. Sarebbe interessante capire quale sarà il nuovo PD a direzione Renzi e sarebbe utile capire quale idea di Paese ha in testa il sindaco di Firenze. Per il momento le sue idee e i suoi programmi rientrano nella categoria del quarto segreto di Fatima.
da Francesco Mandarini | Ago 28, 2013
Il Mazzarino del Re quirinalesco ha trovato la soluzione per consentire al “pregiudicato” di guadagnare tempo e forse la salvezza dall’ignominia della decadenza dal Senato e della non candidabilità. L’inossidabile Violante suggerisce al PD una furbata all’italiana: mandiamo alla corte costituzionale il quesito sulla legge Severino. Letta guadagna tempo e il tempo aiuterà lo “splendido” governo a continuare a galleggiare tra i problemi. L’ex magistrato è un garantista a prescindere. Ritiene che Berlusconi debba difendersi anche se ai più sembrerebbe che non abbisogni di ulteriori argomentazioni dopo la condanna della Cassazione per frode fiscale. Per Violante tre gradi di giudizio non sono sufficienti a far decadere per immoralità il principe di Arcore. Importa poco che se il PD accetterà la colta tesi di Violante, Renzi o non Renzi, perderà qualche milione di voti. Con Berlusconi in campo sarà sempre possibile rendere stabile l’alleanza PD/PDL e i seguaci del fantasma di Monti. Dopo aver rivalutato “i ragazzi di Salò” Violante salverà anche Berlusconi? Al peggio non c’è mai fine ma forse un barlume di intelligenza politica esiste anche nell’agglomerato chiamato PD. Si allenasse Violante per trovare una soluzione anche quando vi sarà il secondo grado di giudizio per il processo relativo agli eleganti balletti della villetta di Arcore.
da Francesco Mandarini | Ago 6, 2013
La generazione di Enzo Forini è stata una generazione che ha vinto molte battaglie ma che ha perso la guerra. Una generazione che, avendo vent’anni all’inizio degli anni ’60, ha contribuito in maniera decisiva alle lotte e alle trasformazioni del Paese. Molti sono i libri di “pentiti” di quello straordinario periodo, pochi quelli che ricostruiscono con rigore gli anni delle lotte operaie e studentesche che produssero mutamenti profondi nella società italiana. Quel fiume che sembrava incontenibile della sinistra italiana, quella comunista in particolare, si dissolse in mille rivoli segnati da bandierine e da leader chiassosi e intolleranti che facevano, certo inconsapevolmente, il gioco della parte più conservatrice del PCI. Enzo era un ragazzo con “la maglietta a strisce”, il simbolo dei giovani che nel luglio del 1960 occuparono le piazze di mille città per impedire che il governo Tambroni vivesse appoggiato dai fascisti. L’intensa attività politica di Enzo cominciò a Perugia prima di allora. In Porta Sant’Angelo si trovavano tre sezioni politiche: una del PCI, una del PSI e una di PCI e PSI insieme. Enzo frequentava, naturalmente, quella del PCI. Organizzati da lui e da altri compagni, si svolgevano in sezione degli incontri settimanali sotto l’etichetta “Studenti e Operai”. Erano incontri di studio della politica e dell’economia. Allora nacque l’amicizia tra noi, Enzo, Francesco, Enrico. Un’amicizia che è durata tutta la vita nonostante che i percorsi politici avrebbero potuto dividerci. Contribuimmo a rendere la federazione dei giovani comunisti un’organizzazione di massa (non c’è esagerazione, soltanto alla Perugina gli iscritti erano diverse centinaia) e la frequentazione della Federazione del PCI di Piazza della Repubblica divenne fatto quotidiano. La passione per la politica era tale in Enzo che accettò di divenire corrispondente de “l’Unità”. Strutturalmente contrario a ogni burocrazia, entrò nell’apparato. In Piazza della Repubblica era molto stimato e amato per la sua capacità di rendere la pratica politica anche occasione di scherzi. Leggendarie le sue telefonate fingendosi Togliatti. Il compagno al centralino ci cadeva sempre e a Gino Galli o a Pietro Conti, erano annunciate telefonate improbabili che comunque mettevano tutti in agitazione. Il lavoro che piaceva più a Enzo non era quello di corrispondente del giornale. Preferiva di molto la costruzione dei volantini e del nostro periodico che ogni mese era ciclostilato in Federazione. Come grafico Enzo aveva in Gino Galli, segretario delle Federazione, un grande maestro. Del giornaletto, ricordiamo solo la machette: Il comunismo è la giovinezza del mondo. La volle Enzo e a questa convinzione e grande utopia è rimasto fedele fino alla fine. Quando al XII congresso del PCI Gambuli lesse la lettera di Enzo che annunciava l’uscita dal partito sua e di altri compagni, alla Sala dei Notari ci fu una specie di scoramento collettivo. Nessuna asprezza dei delegati né di Gambuli. Dolore perché una parte decisiva dei dirigenti della generazione di Enzo stava scegliendo un’altra strada per costruire una società più giusta. Il PCI è scomparso, il “Manifesto” non brilla di salute e i movimenti politici di oggi sono altra cosa rispetto a quelli conosciuti nel passato. Dopo quel periodo di divisione lavorò intensamente sulle questioni internazionali. Le occasioni non mancarono (la Grecia, il Medio Oriente, più tardi il Vietnam) e la sostanziosa presenza a Perugia di studenti e militanti di vari Paesi gli consentì la costruzione di dibattito e organizzazione. Ci furono spesso fra noi dissensi e valutazioni diverse sui movimenti, i nazionalismi soprattutto del mondo arabo. Enzo non negava i problemi, ma invitava a riflettere ricordandoci che noi comunisti italiani siamo figli della più grande avventura rivoluzionaria del Secolo e della sua altrettanto grande degenerazione. Chi siamo per giudicare le debolezze e le degenerazioni di movimenti di molto meno solida cultura e forza politica? Constatazione amara, non giustificazione. Con cui chiuse anche un periodo della sua vita.
Dalla politica attiva Enzo si era staccato da anni. La causa, dichiarata più volte, fu la prima guerra contro l’Iraq. La sua tesi di laurea verteva sulla storia del Partito Baath. Fondamentale nella sua formazione fu la sua permanenza a Baghdad per studiare e scrivere la tesi. La guerra di Bush senior contro il popolo irakeno dimostrava, per Enzo, l’impossibilità di contrastare per una lunga fase l’imperialismo. Meglio studiare allora e rinunciare a un’attività politica insoddisfacente. Le macerie del muro di Berlino continuavano a segnare la crisi anche di movimenti da sempre violentemente critici dell’Urss. La politica comunque segna tutta l’attività professionale di Enzo Forini. Quando all’inizio degli anni ’80 cominciò a lavorare all’Università per Stranieri per lui non fu semplice. Di comunisti nella struttura non ve ne erano, Enzo comunista era e non lo nascondeva. Ci volle tutta la sua intelligenza e passione per convincere il Rettore dell’esigenza di costruire una risposta più articolata alle problematiche dei giovani studenti. Nacque così il Centro Sociale dell’Università che in breve tempo divenne una fucina d’iniziative culturali e sociali che hanno, negli anni, reso Enzo il punto di riferimento degli studenti di ogni parte del mondo. Nel Centro sono passati futuri ministri africani o arabi, donne e uomini che riconoscevano in Enzo, il comunista Enzo, l’interlocutore per le iniziative più disparate che aumentavano alla grande l’offerta culturale di Perugia e presentavano al mondo un’Italia diversa, più tollerante e aperta. Merito indubbio di Enzo Forini è stato quello di mantenere salda nella sua mente l’utopia comunista e la sua visione internazionalista. Gli ha consentito di farsi apprezzare da gente di ogni colore e stato sociale. Un compagno e un amico indimenticabile con il quale abbiamo spesso riflettuto sulla frase del militante spagnolo Diego Mora del film di Resnais La guerra è finita: “La pazienza e l’ironia sono le due virtù principali dei rivoluzionari”.
Francesco Mandarini Enrico Mantovani
Micropolis Luglio 2013