I miracolati di Berlusconi

Il nostro Paese è in recessione economica. Molti sostengono che siamo alla
situazione più difficile degli ultimi cinquanta anni considerando la situazione
internazionale e il livello di crisi del settore industriale che, nell’ultimo trimestre,
perde un altro cinque per cento della propria capacità  produttiva e tra i
sessanta Paesi industrializzati l’Italia si colloca al cinquantatreesimo posto.
Ottimo piazzamento.
Il più grande venditore di pannina del mondo, il cavalier Berlusconi, ci consola
dicendo che non di recessione si tratta, ma di stagnazione. Abbiamo fatto le
vacanze di Pasqua a marzo e non ad aprile, e per questo gli indicatori
economici non vanno bene. Le barzellette come metodo di governo. Allegria.
Come se la stagnazione dell’economia fosse un banale raffreddore e non l’inizio
del disastro, il capo del centrodestra ha deciso che non ci sono i soldi per
rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici e accusa i sindacati di esosità . Lui
che esoso non è ed è noto per il suo disinteresse per gli affari, Berlusconi
continua a scaricare sugli altri le responsabilità  di un disastro delle politiche
governative di dimensioni epocali. Entrerà  nella storia come il peggior governo
della repubblica? E’ possibile.
E’ evidente a tutti, infatti, che se non fossimo coperti dallo scudo europeo
dell’Euro, l’Italia si avvierebbe con rapidità  verso l’Argentina di alcuni anni or
sono. Lo dicono tutti, ma è più popolare accusare l’introduzione dell’Euro quale
causa dell’erosione del potere d’acquisto dei lavoratori di ogni livello e settore
produttivo.
In questo quadro che ti fà  il centrosinistra vincente? Propone concrete soluzioni
alternative a quelle della destra sollecitando le energie democratiche del Paese?
Raramente. Ricomincia a litigare attorno alla lista unica e alla federazione
dell’Ulivo.
E sì, come se non fosse successo niente i leader e leaderini dell’Unione hanno
ricominciato a dichiarare. Partito dei riformisti, federazione, lista unitaria, c’è
ne è per tutti i gusti. Dichiarano sulla guerra giusta, sollecitano l’introduzione
del blairismo nella politica del centrosinistra, minacciano catastrofi se non si
riconoscono le loro esigenze di visibilità .
Dichiarano da Roma sulla formazione delle giunte regionali cercando di imporre
i loro assistiti in qualche posto di governo locale. Quando si trovano d’avanti ad
un microfono aprono la bocca e dicono. Sono miracolati da Berlusconi e si
sentono geni della politica e già  ministri. Si va consolidando nell’opinione di
tanti che hanno votato per l’Unione che sarebbe utile un anno di silenzio di
alcuni dirigenti del centrosinistra. I cattivi dicono che l’unica speranza per
Berlusconi è rappresentata dai logorroici del centrosinistra. Esagerano.
Ne abbiamo avuto prova anche in Umbria di questa logorrea.
La novità  politica nelle ultime elezioni regionali è stata l’elezione di un
rappresentante dei Verdi nell’assemblea di Palazzo Cesaroni. Novità  importante
che non può non essere valorizzata dai partiti dell’Unione. Sembrerebbe giusto
quindi che nella ripartizione degli incarichi sia utilizzato il consigliere verde.
Non farlo sarebbe uno sciocco errore dovuto ad arroganza e cecità  politica.
Quello che è intollerabile sono le dichiarazioni al riguardo dell’Onorevole
Pecoraro Scanio. Non è educato ed è politicamente scorretto minacciare
ritorsioni nazionali se non sono soddisfatte le esigenze del partito dei Verdi.
2
Non spetta al ciarliero portavoce del sole che ride interferire con quanto, nella
propria autonomia, il consiglio regionale dell’Umbria deciderà  per ciò che
concerne gli incarichi. Un parlamentare dovrebbe ben sapere che le istituzioni
locali non possono essere oggetto di brutali interferenze romane.
E’ invece più utile che l’onorevole Pecoraro Scanio aiuti a risolvere la pessima
situazione interna ai Verdi dell’Umbria. Non è un bello spettacolo che,
raggiunto un risultato apprezzabile con l’elezione di un consigliere regionale, si
apre un conflitto interno le cui logiche risultano di difficile lettura.
Veniamo informati dall’agenzia del consiglio che il consigliere Dottorini
raggiungerà  Palazzo Cesaroni in bicicletta. Notizia interessante che rappresenta
una sfida per tutti i perugini che per pigrizia non usano quel mezzo di
locomozione. Le salite della nostra città  sono ostiche per i più. Sarà  felice Rita
Lorenzetti che è abituata alle biciclette del folignate e potrà  sentirsi a Palazzo
Donini ancora più come a casa propria?
Parlando di cose serie è il caso che risolte le questioni organizzative del
consiglio regionale, si cominci a discutere di come la recessione del Paese
incide nella nostra terra e quali politiche si rendono necessarie per cercare di
contribuire all’uscita dalla crisi. Insistere a presentare la nostra Umbria come
un’isola di benessere è sbagliato. Il dato dei livelli di occupazione nasconde un
mondo di precarietà  del lavoro che rende angosciante il futuro di molti giovani,
ma non solo. Le imprese in crisi sono ormai moltissime ed è tempo di dare
sostanza al lavoro fatto attorno al patto per lo sviluppo. Una discussione vera
sullo stato della nostra economia va fatta con rapidità  e con rapidità  tutte le
istituzioni devono aprirsi ad un confronto con tutti i protagonisti dello sviluppo
economico e sociale dell’Umbria.
Fare politica significa questo, e non conquistare posizioni di potere nella
struttura pubblica. Altrimenti i contraccolpi potranno essere pesanti.
Corriere dell’Umbria 15 maggio 2005

Giunta, bando agli slogan

Nessuno scommetteva un penny sulla sconfitta del new labour nelle elezioni
inglesi. La stessa “bibbia” del liberismo intelligente, The Economist, ha
sostenuto che se si voleva favorire una politica di centrodestra bisognava
votare per Tony Blair ed è tutto dire. Non c’era partita. I conservatori non
rappresentavano una alternativa di governo credibile. Una linea politica
razzista come quella dei tory non poteva essere condivisa dalla maggioranza
dei britannici. E così, per la prima volta nella storia nonostante uno dei peggiori
risultati elettorali della propria storia, i laburisti ottengono il terzo mandato di
governo. Un successo travagliato visto il tracollo di voti e il ridimensionamento
della maggioranza alla Camera dei Comuni, ma sempre successo è diranno i
riformisti D.O.C. italiani. La terza via di Tony sembra essere diventata un
viottolo. La guerra in Iraq ha avuto come effetto collaterale il
ridimensionamento della leadership blairiana.
Le elezioni inglesi hanno una certa importanza anche per noi ed è noto
l’apprezzamento per Tony Blair di una parte sostanziosa dei riformisti nostrani.
Anche per questo può essere utile approfondire ciò che è successo al di là  della
Manica.
Intanto va sottolineato un dato: il sessantaquattro per cento dell’elettorato ha
votato contro il new labour. Nonostante questo, il sistema elettorale inglese
consente a Tony Blair di conservare la carica di primo ministro. Prima
riflessione. Che sistema elettorale è quello che consente alla “minoranza” di
governare un Paese? Che sistema è quello che consente ai laburisti di ottenere
trecentocinquantacinque deputati con il trentacinque per cento dei voti mentre
i liberal-democratici con il ventidue per cento ne ottengono sessantadue di
deputati? E’ il maggioritario secco assicurano gli esperti. Sappiamo che questo
è il sogno di parti estese delle oligarchie politiche italiane.
Anche dalle nostre parti va scomparendo ogni criterio di rappresentanza delle
idee per privilegiare la governabilità . Pure nel nostro sistema politico una
ristretta cerchia di professionisti può tranquillamente decidere chi può entrare
nel privilegiato mondo degli addetti alla gestione della cosa pubblica.
Esemplare da questo punto di vista quanto sta succedendo nella formazione
delle giunte regionali a seguito delle recenti elezioni stravinte dagli unionisti. E’
vero che nel sistema attuale le giunte non sono più un organo istituzionale, ma
una sorta di consiglio di amministrazione in cui prevale sempre il presidente.
Concentrato il potere politico nel capo dell’esecutivo e il potere gestionale nel
management, l’assessore svolge, nel bene e nel male, un ruolo di
rappresentanza delle decisioni di altri organi. Pur per posizioni così
ridimensionate in molte situazioni è stato pesante l’intervento nazionale per la
scelta dei membri della giunta. Teoricamente la competenza è tutta del
presidente eletto, concretamente le giunte riflettono pressioni di lobbies
politiche e a volte ha prevalso l’esigenza di sistemazione di famigliari rampanti.
Comprensibile che a Roma si discuta dell’equilibrio politico nella ripartizione dei
candidati presidenti. Sembra eccessivo che si intervenga dal centro anche nella
formazione delle giunte. Prevalendo questa filosofia i presidenti avranno
almeno il potere di scegliere autonomamente il portierato? Siamo o non siamo
per il federalismo?
2
La giunta regionale dell’Umbria si è formata tenendo presente esigenze diverse.
Esprimere valutazioni sulle qualità  dei prescelti non è nè educato nè gentile.
Messe alle spalle le polemiche susseguenti le scelte fatte è il caso di tornare a
discutere delle cose da fare con urgenza per affrontare una situazione
economico-sociale che anche in Umbria non è brillante. E non potrebbe essere
altrimenti. Se è il sistema Paese in difficoltà , l’Umbria non può che risentire
della crisi.
Intanto la difficoltà  della spesa pubblica. Tra tagli dei trasferimenti centrali ed
aumento dei costi, si pone anche per noi la questione di dove trovare le risorse
per almeno mantenere gli standard dei servizi pubblici ad iniziare da quello
sanitario.
E già  si vedono i rischi dell’accendersi di nuovi campanilismi per la ripartizione
delle scarse risorse. I campanili sono una reale risorsa dell’Umbria nella misura
in cui sono parte di un disegno generale e non espressione esclusiva del
lobbismo locale.
Torna l’infelice slogan di Perugia capitale piglia tutto? Sarebbe una catastrofe.
E’ consigliabile qualche approfondita lettura dei dati statistici rispetto alla
ripartizione della ricchezza regionale e della spesa pubblica allargata. Forzature
non sono utili a nessuno e una sorta di “leghismo” municipale umbro non
sarebbe migliore di quello in cui è maestro l’onorevole Calderisi.
Meglio una discussione anche aspra che stimoli il governo regionale ad aprire
una discussione partecipata che consenta di fare scelte innovative nei settori
ancora arretrati della nostra struttura economica, sociale e culturale.
Se il quadro generale è allarmante il lavoro che spetta alla nuova giunta non
sarà  lavoro facile. Ci vorrà  molta intelligenza e non guasterebbe un po’ di
passione politica. Non serve alla presidente alcuno slogan. Anche se la
tentazione di gridare “avanti miei Prodi” è forte è meglio lavorar tacendo.
Corriere dell’Umbria 8 maggio 2005

Il lungo travaglio della Lorenzetti

Margaret Thatcher, dopo essere stata rimossa dall’incarico di primo ministro
per decisione del partito conservatore inglese, lasciò Downing street a bordo di
un taxi e pagò le spese di trasloco dalla residenza del capo del governo alla
sua abitazione. La donna che distrusse in un decennio, attraverso una sorta di
rivoluzione conservatrice, le trade unions e il partito laburista, perso il potere,
non fece pagare allo Stato nemmeno un penny. Il dottor Fitto, sconfitto da
Niky Vendola nelle regionali delle Puglie, avrà  per cinque anni garantita l’auto
blu pagata dai contribuenti italiani.
Massimo Cacciari, filosofo passato dal pensiero di W.F.Nietzsche a quello di
Rutelli, è ridiventato sindaco di Venezia sollecitando e ottenendo i voti della
destra. Il dottor Cacciari si dichiara uomo del centrosinistra, ma ottiene i
complimenti di Alleanza Nazionale e di tutta la destra veneta per aver sconfitto
l’avversario candidato dal centrosinistra. La soddisfazione è grande: è la prima
volta che Venezia esprime un sindaco votato dalla destra. Cacciari entusiasta,
teorizza, è abituato a farlo, un mondo della politica in cui destra e sinistra si
uniscono in un laboratorio creativo in cui è decisivo il ruolo di”¦..Cacciari.
E’ la nuova politica quella che ci tocca vivere ai tempi del berlusconismo e del
maggioritario all’italiana. Ed hanno ragione coloro che temono che alla
scomparsa politica dell’uomo di Arcore, non corrisponda affatto il ripristino
della politica come servizio all’interesse collettivo. Il dopo elezioni sta là  a
dimostrare la pochezza del dibattito politico in una fase così delicata per la
democrazia italiana.
E’ il sistema politico vigente, frutto di anni e anni di improvvisazioni istituzionali,
che produce le astrusità  che ci tocca constatare leggendo dichiarazioni e giudizi
da vari candidati eletti o no in consiglio regionale. Non è solo demerito degli
interessati l’asprezza degli scontri interni ai partiti. Certo lascia trasecolati
leggere dichiarazioni di un dirigente che intima il silenzio ad un suo compagno
di partito che risulterebbe sconfitto nella sua azione lobbistica. Comprensibile
l’amarezza e la delusione di molti non eletti,ma bisogna fare uno sforzo per
capire ciò che è successo al ceto politico italiano. Senza modificare i sistemi
elettorali non c’è speranza di uscire da una situazione in cui l’interesse
personale prevale su quello generale. E quale è l’interesse generale?
Banalizzando si potrebbe dire che sia quello di avere una classe politica che per
competenze e per passione civile mette al primo posto il bene collettivo.
Ad esempio sarebbe buona cosa se la giunta regionale dell’Umbria fosse
formata a prescindere dal brutale interesse di partito o di qualche famiglia
importante. I beni informati assicurano che la nuova giunta non ci stupirà . Al di
là  di qualche new entry la struttura si confermerà  ben sperimentata e
conosciuta. E questo non sarebbe una tragedia se le scelte di conferma fossero
dettate dalle qualità  amministrative degli “eletti” e non dal semplice criterio
della carriera o peggio da familismo.
Purtroppo i partiti sono diventati strumenti che servono soltanto ad assegnare
incarichi. Una sorta di assemblea degli azionisti che sceglie i membri dei vari
“consigli di amministrazione” in un gioco dell’oca i cui giocatori sono
praticamente gli stessi e senza arbitri. Vale il principio dell’ognuno per sè e
l’effetto Berlusconi per tutti.
Rita Lorenzetti ha ottenuto uno straordinario risultato personale. Successo
individuale conseguenza e frutto di tanti fattori ad iniziare dalla capacità 
dimostrata dalla presidente di avere un rapporto con la società  regionale in
tutte le sue espressioni partendo da quella popolare. Logica vorrebbe che dopo
tanto ben di dio in consensi elettorali nominare la giunta sia un gioco da
ragazzi. Non è così.
Le leggi prevedono l’esclusiva competenza del presidente nel formare
l’esecutivo, ma la realtà  spesso confligge con le norme scritte. La confermata
presidente ha un grande problema la cui soluzione non dipende soltanto dalla
sua volontà . Si tratta di costruire una classe dirigente di valenza regionale
anche a prescindere da un rigido equilibrio territoriale. Non è questo all’ordine
del giorno dei partiti politici? Se è così è tutta la coalizione vincente che
dovrebbe dimostrare una sensibilità  istituzionale nella scelta delle rose di
candidati da proporre per l’ingresso in giunta regionale.
E’ scontato che non sarà  così. A sentire alcuni c’è il rischio che per scelta dei
diversi partiti, la giunta regionale sarà  composta da molti assessori provenienti
dalla parte sud della nostra regione. Funzionerà  una giunta così squilibrata?
Le elezioni, vittoriose per il centrosinistra, hanno provocato molti problemi
all’interno dell’Unione. Il cannibalismo della preferenza unica ha prodotto molti
danni e determinato una capacità  di rappresentanza del consiglio regionale
sbilanciata che potrebbe rappresentare un serio problema nel rapporto con gli
amministrati.
E al di là  della giusta soddisfazione per i risultati elettorali è il caso di
cominciare a preoccuparsi per i problemi irrisolti del Paese e dell’Umbria. La
crisi del governo Berlusconi sarà  risolta rapidamente. Questa volta il cavaliere
non ci meraviglierà  e le novità  non entreranno nella storia. Storace ministro
della sanità  o La Malfa imbarcato nel governo della destra sono cose che non
cambiano la vita a nessuno di noi.
Inizia un anno di galleggiamento nei marosi della crisi profonda della società 
italiana. Come Umbria non siamo un mondo a parte. La decadenza della
nazione potrà  avere effetti devastanti anche nella nostra comunità . E’ il caso di
mettere in campo tutte le intelligenze e le potenzialità  della nostra terra per
contrastare i pessimi processi in atto. Una buona giunta sarebbe d’aiuto, ma i
versi non sono belli.
Corriere dell’Umbria 24 aprile 2005

Tanti consensi, tante ferite

Nel complesso tutti gli analisti concordano che il carisma del capo di Forza
Italia non funziona più.
Da qui la bruciante sconfitta nelle elezioni regionali di domenica scorsa? La tesi
che le televisioni non bastano per convincere gli elettori sembra essere
insufficiente. Nel voto non avranno influito anche fattori più concreti del
carisma di un eccellente venditore di sogni come Berlusconi? Qualche
riflessione in più rispetto alle condizioni di vita del popolo italiano aiuterebbe a
capire. Negli ultimi quattro anni non sono certamente migliorate le prospettive
di tanta gente. Un lavoro decente e stabile è un lusso. Ad un pensionato la
pensione non garantisce più una vita dignitosa. Nonostante l’enfasi posta da
Berlusconi sui miracoli dell’attività  di governo la gente è oggi insicura e in molti
casi più povera.
La maggioranza della nazione non sostiene il presidente di Mediaset perchè lo
stato dell’economia e del vivere è peggiorato per gran parte del popolo italiano.
Il resto è aria fritta. L’entità  della disfatta è tale da non lasciare il minimo
spazio ad analisi rabbuffate come quelle tentate dai berluscones alla Fabrizio
Cicchitto.
Il disfacimento del centrodestra è sotto gli occhi di tutti. Perdere in un sol colpo
due milioni di elettori è cosa che non può non incidere profondamente anche
nel destino del governo centrale. Il voto ha punito non solo il modo di
amministrare dei presidenti del centrodestra, ma anche la qualità  del governo
di Berlusconi, Fini e Bossi. Tutti loro hanno dato una bella mano all’Unione per
stravincere anche al di là  dei meriti di alcuni dei suoi leader nazionali.
Non sono molti a scommettere che la legislatura potrà  terminare alla scadenza
del 2006. Non è detto però che l’irresponsabilità  del ceto politico non arrivi a
mantenere il Paese in uno stato di non governo per un altro anno. La
resistenza di molti di coloro che nel centrodestra vedono messo a rischio il loro
potere e le loro prebende di parlamentari è molto forte. Con l’aria che tira è
evidente che il seggio sicuro non c’è più per nessuno neanche nel profondo
nord leghista.
Per il centrosinistra la partita resta durissima. Incassato l’enorme risultato
elettorale contro il berlusconismo adesso si tratta di costruire un programma
per uscire dall’ideologia su cui ha costruito le sue fortune l’uomo di Arcore. Non
sarà  facile. Le macerie non sono frutto soltanto del governo di centrodestra.
La Federazione dell’Ulivo ha ottenuto un risultato tale da consolidare la
leadership di Prodi, il più tenace nella scelta. Il progetto unitario è stato
premiato ed ora si tratta di consolidare la prospettiva. Sembra logico che si
vada alla conferma anche per le elezioni politiche. I riformisti con i riformisti
dunque. E la sinistra alternativa che fa? Non è tempo di superare anche le
antiche lacerazioni e lavorare ad un progetto che aggreghi in un simbolo
soltanto per il voto del 2006 Rifondazione e PCDI? Quel 15% di voti a sinistra
dell’Unione non potrebbero unificarsi in un solo contenitore? Continuare a
differenziarsi sulla base di rancori personali sembra paradossale. Ed anche
elettoralmente non premia.
Il voto in Umbria non è dissimile dal resto del Paese. Ed è in continuità  con la
storia della nostra terra. Nelle elezioni regionali del 1975 il Pci e Psi ottennero
335 mila voti, quest’anno l’Unione 291 mila, ma a quei tempi c’era meno
2
astensionismo. In Umbria l’Unione ha avuto qualche punto percentuale in più di
altre regioni ed un significativo successo personale per la candidata presidente
Rita Lorenzetti. Anche da noi c’è stata una lotta all’ultima preferenza che ha
lasciato rancori e proteste.
Non è un fatto soltanto di voracità  personale. Il cannibalismo è dovuto ad una
“folle” legge elettorale che favorisce il lobbismo e il localismo più becero e
sollecita il peggio di ciascuno, spappolando ogni ipotesi di formazione di gruppi
dirigenti sovra collegio elettorale.
Se le elezioni hanno prodotto diverse macerie, tra queste vanno evidenziate
quelle dell’unità  dei gruppi dirigenti dei partiti. Una catastrofe. A leggere le
dichiarazioni dei singoli candidati eletti in consiglio regionale viene naturale
pensare che la classe politica sia impazzita. Travolti in Italia, annichiliti in
Umbria, ci sono dirigenti della Casa della Libertà  che enfatizzano nelle
dichiarazioni ai giornali il successo ottenuto nelle preferenze personali.
Dirigenti di primo piano della Federazione dell’Ulivo denunciano congiure,
annunciano dossier e rivendicano al loro prestigio la quantità  di preferenze
raggiunte contro il volere di forze occulte o di istituzioni insensibile al fascino
del candidato. Il quadro è allarmante. Adesso i nostri eroi dovranno governare
ed è evidente che formare la giunta diverrà  un’impresa titanica e superare le
lacerazioni non sarà  facile. Tra le altre macerie c’è la questione della
rappresentanza. Il grado di rappresentatività  territoriale del consiglio regionale
è assolutamente insoddisfacente. Territori iper rappresentati, territori assenti e
territori (l’area vasta di Perugia per dirne uno) sottorappresentati. Non è un
piccolo problema o problema che riguardi solo Locchi.
Ci vorrà  molta sagacia politica per far superare l’impressione, ulteriormente
confermata, di una marginalità  dei gruppi dirigenti perugini nella vicenda
regionale. Mi è stato domandato, da un leader diessino di primo piano, se noi
perugini siamo diventati nel tempo una sottorazza politica. Convinto
antirazzista anche in politica, non sicuro delle teorie di Lombroso, ho risposto
che il problema è da risolvere utilizzando l’intelligenza, magari sollecitando
negli altri un interesse superiore a quello del proprio feudo elettorale. Capisco
l’ingenuità  della risposta.
Corriere dell’Umbria 10 aprile 2005

La Costituzione presa a schiaffi

Referendum, referendum, reclamano a gran voce tutti i leader del centrosinistra.
Richiesta sacrosanta quanto ovvia per ogni democratico. Al
referendum abrogativo delle modifiche costituzionali, volute da Bossi e
Berlusconi, ci si deve andare non per concessione della destra,ma perchè lo
prevede la Costituzione all’art. 138. Il problema non è questo. L’impressione è
che si invochi con veemenza il referendum per mettere da un canto quanti, tra
i riformisti di ogni colore, non disdegnano affatto il lavoro attuato dai
berluscones. Alcuni di costoro hanno già  dichiarato che il capo del governo
previsto nelle modifiche”¦non è forte abbastanza!! Figuriamoci, se prevalesse
questa tesi, magari lavorando a qualche evento bipartisan, vincere il
referendum abrogativo sarà  impresa titanica. Va a spiegare tu alla popolazione
che se una legge la vuole Bassanini ed è sponsorizzata da “Il Riformista”, va
bene e se è Calderoli il legislatore e “Il Foglio” l’organo celebratore, non va più
bene.
Domanda di un cittadino di media cultura politica: Prodi è stato a Bruxelles per
cinque anni e si può capire la disattenzione di questi anni su quanto stava
succedendo nel Parlamento italiano, ma i vari leader dell’Ulivo, dei DS,ecc.
ecc”¦ dove erano, quando ad ogni livello, si è lavorava testardamente per la
personalizzazione della politica? Aver imposto il sistema elettorale
maggioritario senza prevedere pesi e contrappesi adeguati, aver svuotato di
ogni potere la rappresentanza delle assemblee, non anticipava quanto vuol
fare Berlusconi del Parlamento? Aver consentito venti sistemi elettorali diversi
per le elezioni regionali (uno per regione) non incrina di fatto l’unità  nazionale?
Chi sono stati i responsabili, si fa per dire, di questa lunga estenuante
transizione istituzionale? Si va educando il Paese, elezione dopo elezione,
all’uso della politica come fatto personale. Come ci si può meravigliare se un
gentiluomo come il cavaliere di Arcore impone al Parlamento una riforma della
Costituzione che assegna al leader maximo tutto il potere?
Bisogna essere chiari e rigorosi nel giudizio: quanto contenuto nella “nuova
costituzione” della destra è il pessimo esito di una lunga stagione politica
iniziata con lo slogan craxiano della “Grande Riforma”. Certo è inimmaginabile
che il segretario del PSI avrebbe lavorato a sradicare in questo modo la Carta
Costituzionale. Il PSI era stato un artefice fondamentale di quella normativa
mentre Bossi, Berlusconi e Fini sono estranei per natura e sensibilità  ai valori
fondanti la Repubblica Italiana. La destra è noto che considera la Carta come
costruita con un timbro sovietico e figlia di una pessima stagione politica.
Non considerare un feticcio la Costituzione del 1948 è stato forse giusto, ma è
altra cosa dal lavoro fatto per distruggerne l’essenza e i valori invece di cercare
una sua moderna applicazione. L’assillo della governabilità  nasce negli anni ’80
ed ha travolto molti anche nel centro-sinistra. Non bisogna dimenticare il
percorso, le scelte legislative e referendarie compiute oltre che l’ideologia che
caratterizza la “riforma” berlusconiana. Berlusconi ha in tutta evidenza
raccolto, a modo suo, in un terreno che altri hanno concimato, arato e
seminato con altri obbiettivi o magari soltanto per non apparire conservatori.
E’ vero che Berlusconi ha incassato una serie di leggi personalizzate ed oggi
può vantare l’ipotesi di una Costituzione personale, ma il cavaliere era un
imprenditore gravato di debiti quando di Bicamerale in Bicamerale, il centro2
sinistra lavorava per destrutturare di fatto la Carta del 1948 ritenuta ormai
obsoleta, poco moderna.
Non è stato mai spiegato da nessuno perchè la Costituzione americana, con
oltre duecento anni alle spalle va benissimo e la nostra è vecchia dopo
cinquanta. Misteri del riformismo nostrano.
L’ansia di dare più potere al capo del governo unita a leggi elettorali
farraginose, hanno negli anni privato la democrazia italiana della sua essenza
vitale. Una democrazia vive nel rapporto del popolo con la politica. La politica
ha un senso se è capace di organizzare gli interessi e la rappresentanza oltre
che governare la cosa pubblica. Negli anni è scomparso nei partiti ogni criterio
di rappresentanza sociale e culturale. Ciò a reso la lotta politica una lotta
feudale di leader e leaderini obbligati dal sistema elettorale alla conquista del
feudo e delle lobbies portatrici di pacchetti di voti personali. Sempre più la
politica si è separata dalla sensibilità  delle masse popolari, ma anche
dall’interesse delle elite culturali e sociali.
Questa è la peggiore campagna elettorale a cui ho partecipato, mi ha
assicurato un dirigente politico di primo piano. Gli ho creduto senza fatica ed
ho domandato se è ipotizzabile un ravvedimento delle forze politiche per il
prossimo futuro per ciò che concerne il sistema politico.
Alla scadenza delle elezioni politiche si aggiunge quella per il referendum
costituzionale ed andarci con le stesse idee e convincimenti che hanno
caratterizzato gli ultimi dieci anni non sembrerebbe buona cosa a chi apprezza
la democrazia prevista dalla Carta Costituzionale ante modifiche berlusconiane.
Per il centro-sinistra sarebbe grave una sconfitta alle elezioni politiche. Una
tragedia per tutti se il popolo non avvertisse i rischi per la democrazia insiti
nella mostruosità  istituzionale a cui ha brindato Bossi il 23 marzo. Una
catastrofe democratica se la gente non partecipasse in maggioranza al
referendum abrogativo.
Conoscendo l’inossidabilità  di certi dirigenti del centro-sinistra
autocritiche non sono prevedibili. E l’autocritica non sarebbe decisiva se nelle
scelte concrete che compiranno, subito dopo le elezioni regionali, i leader
dimostreranno di voler cambiare strada almeno per le questioni istituzionali.
Corriere 27 marzo 2005