Nessuno scommetteva un penny sulla sconfitta del new labour nelle elezioni
inglesi. La stessa “bibbia” del liberismo intelligente, The Economist, ha
sostenuto che se si voleva favorire una politica di centrodestra bisognava
votare per Tony Blair ed è tutto dire. Non c’era partita. I conservatori non
rappresentavano una alternativa di governo credibile. Una linea politica
razzista come quella dei tory non poteva essere condivisa dalla maggioranza
dei britannici. E così, per la prima volta nella storia nonostante uno dei peggiori
risultati elettorali della propria storia, i laburisti ottengono il terzo mandato di
governo. Un successo travagliato visto il tracollo di voti e il ridimensionamento
della maggioranza alla Camera dei Comuni, ma sempre successo è diranno i
riformisti D.O.C. italiani. La terza via di Tony sembra essere diventata un
viottolo. La guerra in Iraq ha avuto come effetto collaterale il
ridimensionamento della leadership blairiana.
Le elezioni inglesi hanno una certa importanza anche per noi ed è noto
l’apprezzamento per Tony Blair di una parte sostanziosa dei riformisti nostrani.
Anche per questo può essere utile approfondire ciò che è successo al di là  della
Manica.
Intanto va sottolineato un dato: il sessantaquattro per cento dell’elettorato ha
votato contro il new labour. Nonostante questo, il sistema elettorale inglese
consente a Tony Blair di conservare la carica di primo ministro. Prima
riflessione. Che sistema elettorale è quello che consente alla “minoranza” di
governare un Paese? Che sistema è quello che consente ai laburisti di ottenere
trecentocinquantacinque deputati con il trentacinque per cento dei voti mentre
i liberal-democratici con il ventidue per cento ne ottengono sessantadue di
deputati? E’ il maggioritario secco assicurano gli esperti. Sappiamo che questo
è il sogno di parti estese delle oligarchie politiche italiane.
Anche dalle nostre parti va scomparendo ogni criterio di rappresentanza delle
idee per privilegiare la governabilità . Pure nel nostro sistema politico una
ristretta cerchia di professionisti può tranquillamente decidere chi può entrare
nel privilegiato mondo degli addetti alla gestione della cosa pubblica.
Esemplare da questo punto di vista quanto sta succedendo nella formazione
delle giunte regionali a seguito delle recenti elezioni stravinte dagli unionisti. E’
vero che nel sistema attuale le giunte non sono più un organo istituzionale, ma
una sorta di consiglio di amministrazione in cui prevale sempre il presidente.
Concentrato il potere politico nel capo dell’esecutivo e il potere gestionale nel
management, l’assessore svolge, nel bene e nel male, un ruolo di
rappresentanza delle decisioni di altri organi. Pur per posizioni così
ridimensionate in molte situazioni è stato pesante l’intervento nazionale per la
scelta dei membri della giunta. Teoricamente la competenza è tutta del
presidente eletto, concretamente le giunte riflettono pressioni di lobbies
politiche e a volte ha prevalso l’esigenza di sistemazione di famigliari rampanti.
Comprensibile che a Roma si discuta dell’equilibrio politico nella ripartizione dei
candidati presidenti. Sembra eccessivo che si intervenga dal centro anche nella
formazione delle giunte. Prevalendo questa filosofia i presidenti avranno
almeno il potere di scegliere autonomamente il portierato? Siamo o non siamo
per il federalismo?
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La giunta regionale dell’Umbria si è formata tenendo presente esigenze diverse.
Esprimere valutazioni sulle qualità  dei prescelti non è nè educato nè gentile.
Messe alle spalle le polemiche susseguenti le scelte fatte è il caso di tornare a
discutere delle cose da fare con urgenza per affrontare una situazione
economico-sociale che anche in Umbria non è brillante. E non potrebbe essere
altrimenti. Se è il sistema Paese in difficoltà , l’Umbria non può che risentire
della crisi.
Intanto la difficoltà  della spesa pubblica. Tra tagli dei trasferimenti centrali ed
aumento dei costi, si pone anche per noi la questione di dove trovare le risorse
per almeno mantenere gli standard dei servizi pubblici ad iniziare da quello
sanitario.
E già  si vedono i rischi dell’accendersi di nuovi campanilismi per la ripartizione
delle scarse risorse. I campanili sono una reale risorsa dell’Umbria nella misura
in cui sono parte di un disegno generale e non espressione esclusiva del
lobbismo locale.
Torna l’infelice slogan di Perugia capitale piglia tutto? Sarebbe una catastrofe.
E’ consigliabile qualche approfondita lettura dei dati statistici rispetto alla
ripartizione della ricchezza regionale e della spesa pubblica allargata. Forzature
non sono utili a nessuno e una sorta di “leghismo” municipale umbro non
sarebbe migliore di quello in cui è maestro l’onorevole Calderisi.
Meglio una discussione anche aspra che stimoli il governo regionale ad aprire
una discussione partecipata che consenta di fare scelte innovative nei settori
ancora arretrati della nostra struttura economica, sociale e culturale.
Se il quadro generale è allarmante il lavoro che spetta alla nuova giunta non
sarà  lavoro facile. Ci vorrà  molta intelligenza e non guasterebbe un po’ di
passione politica. Non serve alla presidente alcuno slogan. Anche se la
tentazione di gridare “avanti miei Prodi” è forte è meglio lavorar tacendo.
Corriere dell’Umbria 8 maggio 2005

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