L’argomento che più ha scioccato le forze politiche in queste
settimane è stato quello dei referendum. In Italia andremo a
votare il 12 e 13 giugno per i quattro referendum sulla
procreazione assistita, in Francia e in Olanda si è già  votato per
quelli sulla costituzione europea. Sui referendum italiani va
sottolineato l’entusiasmo della destra per la scelta astensionista
dell’ex radicale Rutelli. Vano ogni commento. Il competitor di
Berlusconi, da questi sconfitto nel 2001, ci ha ormai abituato
alle svolte e anche alle giravolte.
Sia i francesi che gli olandesi hanno respinto nettamente la carta
firmata a Roma in Campidoglio il 29 ottobre dell’anno scorso.
Indimenticabili le spensieratezze che Berlusconi, novello Carlo
Magno, rivolgeva ai leader di tutti i Paesi europei ed
incancellabile rimane la retorica di tutti gli intervenuti
sull’Europa allargata in costruzione. Dopo il voto francese e
olandese lo smarrimento è all’ordine del giorno. E le ragioni
dello sbigottimento sono più che legittime. Una Europa in crisi è
un danno enorme per tutti.
Negli anni ottanta, su impulso del non dimenticato Jacques Delors,
una commissione d’esperti analizzò il costo della non-Europa.
Ne uscì un rapporto che divenne un best seller conosciuto come
“Rapporto Cecchini”.
Paolo Cecchini, un nostro concittadino, potrebbe spiegare meglio
del sottoscritto quanto la liberalizzazione della circolazione
delle merci e la rimozione di tutte le barriere fisiche e
normative tra i Paesi dell’Unione, abbia aiutato la crescita di
tutte le nazioni europee. Soltanto chiacchierando al caffè dello
sport, come ama fare il ministro Maroni, si può sostenere
l’esigenza di tornare alla lira. Quello della Lega è niente di
altro che un paradossale scaricabarile per i fallimenti del
berlusconismo e del bossismo. Che l’Euro sia stata l’occasione per
aumenti dei prezzi inammissibili è vero. Ma vi sono chiare
responsabilità  di coloro che non hanno esercitato alcun controllo
sulla voracità  di certi settori della distribuzione. E con la lira
ancora in corso sarebbe stata una catastrofe simile a quella dei
primi anni novanta. Con la lira non la Cina, ma l’Argentina,
sarebbe vicina. La moneta unica ha costituito l’unica certezza per
un Paese come il nostro che attraversa una crisi profonda in tutti
i settori.
Il punto non è Europa si o Europa no. Non si può che essere
favorevoli al consolidamento della Comunità . La questione è quale
Europa. E fanno male le classi dirigenti che non si interrogano
sul significato del No alla Carta europea di Francia e Olanda. Il
voto della gente non corrisponde alle aspettative? Ridiscutiamo
con serietà  di valori e di idee condivise per costruire l’Europa o
compriamo, nel libero mercato globalizzato, un nuovo popolo che
ubbidisce?
E’ una grande responsabilità  per governanti e per forze politiche,
scegliere una strada che ridia un senso ad una collettività 
intrisa di paure, ma anche di volontà  positive.
Quel voto negativo non può essere una grande occasione anche per
noi per rifare il punto sullo stato della nostra democrazia e sui
problemi profondi che angosciano i cittadini?
Certo non è questo che sembra volere il centrodestra in Italia. Ma
di che si discute nel centrosinistra? Si continua con una sorta di
romanzo d’appendice in cui non si sa chi è il cattivo e chi è il
buono e che certamente non è stato scritto da Alessandro Dumas.
La certezza della vittoria su un Berlusconi stracotto, ha
ottenebrato le menti di molti. Ancora non ci si rende conto che i
problemi da affrontare richiedono uno straordinario e creativo
impegno di governo e una grande mobilitazione delle coscienze e
delle intelligenze presenti in Italia, ma compresse dalle
difficoltà  e dalla mancanza di un progetto politico diverso da
quello tutto ideologico dominante da venti anni in occidente?
Il ceto politico sta dando una misera rappresentazione della
politica. Ad ogni livello, in un momento particolarmente delicato,
che il voto francese e danese ha ricordato a tutti noi, le classi
dirigenti non sembrano in grado di prospettare soluzioni diverse
da quelle conosciute e che non hanno funzionato.
La mancanza di ogni serio dibattito politico è sotto gli occhi di
tutti. Non ricordo una singola discussione in una assemblea
rappresentativa locale rispetto agli indirizzi e valori contenuti
nella Costituzione Europea nè relativamente alle tematiche
dell’allargamento a venticinque Paesi.
Il consiglio regionale si riunirà  a metà  giugno ma, ne siamo certi,
si parlerà  d’altro. La crisi dell’Europa non sembra affliggere i
nostri valenti amministratori. Eppure per la nostra regione il
rapporto con Bruxelles è stato fondamentale in questi anni. Le
risorse comunitarie hanno svolto un ruolo molto rilevante nei
processi di modernizzazione dell’Umbria. In qualche modo i
dirigenti dei partiti umbri partecipano, come attori secondari,
alla lotta all’ultima dichiarazione di questo o quel leader
nazionale. Anche da noi il centrodestra a raccattare i pezzi dei
partiti sconfitti alle regionali e il centrosinistra annichilito
dalle dispute romane o cretesi. Non è uno spettacolo entusiasmante.
L’Umbria è stata una regione politicamente colta e capace di
intervenire con nettezza nei dibattiti nazionali. Possibile che
non ci sia un leader umbro capace di interferire rispetto alle
incredibile baruffe romane? Per il centrosinistra l’Umbria è terra
di collegi sicuri, c’è quindi la possibilità  di esprimere giudizi
politici da una posizione di libertà  derivante da un consenso
elettorale solido e duraturo.
Stupisce molto questo silenzio politico in un contesto in cui, i
leader nazionali, non sembra abbiano quel carisma e
quell’intelligenza che obbliga all’ubbidir tacendo.
Corriere dell’Umbria 5 giugno 2005

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