I pessimisti sostengono che il nostro è un Paese senza memoria. Gli ottimisti considerano l’Italia una nazione a memoria corta. Scegliete voi ma per come sta andando la discussione sul processo che ci porterà  all’Italia federale, propendo per la prima posizione. Non si spiega altrimenti la mancanza di cautela rispetto ad una procedura che abbiamo già  sperimentato nel passato con la creazione nel 1970 degli istituti regionali. Quella fu una mezza riforma che comportò un aumento della spesa pubblica rilevante. Perchè successe? Senza alcun criterio i decreti attuativi della legge istitutiva, furono deliberati per trasferire personale dallo Stato alle regioni. In mancanza di professionalità  adeguate i novelli enti non poterono che assumere personale per coprire le funzioni trasferite. I Ministeri non si svuotarono di personale mentre le poche risorse finanziarie assegnate alle regioni portarono a bilanci completamente squilibrati. Oltre il 70% della spesa regionale era, ed è, riferita al servizio sanitario. Attraverso referendum furono aboliti i ministeri dell’Agricoltura, della Sanità  e del Turismo, ma con la consueta furbizia italiota si cambiò il nome dei ministeri ma nessun ministeriale rischiò il trasferimento. Le regioni diventarono, non tutte per fortuna, enti sovradimensionati e a loro volta centralistici nei confronti delle autonomie locali. Come sempre succede una mezza riforma non è meglio di nessuna riforma e quello che sembra morto, il centralismo, mangia il vivo, il vero decentramento. Con il federalismo sarà  possibile trasferire da Roma a Bolzano o a Caltanisetta il personale dello Stato? Certo ci rassicura la presenza di Calderoli e Brunetta, ma qualche preoccupazione ci sembra legittima.
E’ ormai legge quello che viene chiamato il federalismo demaniale. Parti consistenti delle proprietà  dello Stato centrale sono trasferite a zero costo alle regioni e agli altri enti locali. La cosa di per sè sembrerebbe ottima. Anche se i beni trasferiti al Nord del Paese sono il doppio di quelli assegnati alle regioni del Sud, l’idea di valorizzare il patrimonio delle autonomie potrebbe essere buona cosa, sembrerebbe un percorso intelligente. Il problema non è così semplice. Senza risorse per la gestione dei beni ed in presenza di enti al collasso finanziario come sono regioni e comuni, l’unica strada aperta è quella della vendita dei beni pubblici. Una gigantesca asta che potrà  riguardare palazzi, ma anche le foreste, le acque o altri beni che pubblici sono e pubblici dovrebbero rimanere.
Non sarà  così, non rimarranno pubblici. Lo spezzatino dovrà  essere messo in vendita per riquadrare i bilanci. La manovra in gestazione nella testa del creativo Tremonti prevede il taglio dei trasferimenti a regioni e comuni di 4 miliardi, la spesa sanitaria sarà  ridotta di 2 miliardi e mezzo. Indovinate che altra novità ? Un altro condono edilizio. Questa volta per coloro che hanno costruito case abusivamente. Dicono che si tratta di 2 milioni di case. Non è un errore di stampa. Due milioni di case abusive saranno condonate. Non si sa se ridere o piangere. Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani assicurano i nostri governanti. E’ un’attività  questa che lasciano volentieri ai sindaci e ai presidenti di regione. Tagliano I.C.I,, trasferiscono meno risorse a comuni e regioni. In questa situazione che deve fare Boccali o la Marini?
O tagliano i servizi al cittadino o mettono nuove tasse, mi sembra scontato. Nemmeno a regime federale sarà  previsto il batter moneta.
Intendiamoci, che la spesa pubblica deve essere riqualificata e compressa quando necessario, è un’esigenza che nasce dal disastro dei conti pubblici e dalla crisi finanziaria provocata dalla speculazione. Il problema da porsi, ad ogni livello, è cosa e come riqualificare e tagliare.
Prendiamo il settore sanitario. E’ un settore in cui sono presenti in Umbria sprechi accanto a punti di eccellenza. Una politica di bilancio intelligente dovrebbe sapere individuare e combattere con determinazione gli sperperi ma contemporaneamente trovare le risorse per valorizzare le eccellenze. Anche per ragioni di bilancio, è certo che investire nella qualità  comporta benefici anche economici non solo per la salute dei cittadini.
Domanda: quanto costerebbe al bilancio sanitario umbro l’ulteriore perdita di professionalità  e di eccellenze specialistiche?
Le graduatorie nazionali lo dicono e anche personalmente ritengo che la sanità  in Umbria sia di un livello accettabile, buona in molti settori. E questo è dovuto agli amministratori, ma molto si deve ad un  personale medico e paramedico capace che dimostra grande professionalità  e grande impegno non sempre giustamente valorizzato. Bisogna individuare bene i nodi da sciogliere per migliorare la qualità  del servizio senza sforare i bilanci.
Ad esempio quanto costano alla comunità  e al bilancio le liste d’attesa? Non ho alcun pregiudizio ideologico contro la sanità  privata, ma questa non può crescere per l’indebolimento del settore pubblico. E’ dalla qualità  che esprime il pubblico che possono venire gli stimoli positivi anche per un settore privato non di rapina. Come è successo in altre regioni italiane quando la sanità  pubblica è debole, la tentazione del privato è quella di speculare sulla salute piuttosto che quella di produrre servizi accettabili.
Dicono in molti che quella che si è aperta sarà  una legislatura regionale difficile. Alla carenza di risorse non sarà  possibile rispondere galleggiando sulla crisi. La sfida sarà  tra chi sarà  capace di innovare la presenza pubblica e coloro che pensano che il lavoro svolto sarà  sufficiente per confermare il consenso politico consolidato. Per mantenere solida la carriera politica il conservare non sarà  sufficiente. Per innovare c’è bisogno di coraggio ma principalmente è necessario mettere a leva l’intelligenza e la passione di coloro che sono convinti che l’antipolitica si combatte con una diversa politica. Ad esempio, una politica che ha come orizzonte un nuovo patto per il bene comune tra amministratori e amministrati.

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