Crisi: promesse e soluzioni

Sembra passato un secolo e invece era il 2010 quando il geniale Marchionne annunciava il progetto di “Fabbrica Italia” per la FIAT del futuro. Grazie a questa promessa, ottenne la fine del contratto nazionale e impose ai suoi dipendenti l’accettazione di clausole contrattuali capestro. Espulsa la Fiom dalle rappresentanze sindacali ammesse in fabbrica, la FIAT usci dalla Confindustria. Compatti come mai prima, i dirigenti del partito democratico apprezzarono la modernità  della proposta dell’uomo venuto dal Canada e residente in Svizzera. Fassino entusiasta, Chiamparino con burbera certezza apprezzò l’investimento promesso di venti miliardi. E Renzi? Con Marchionne senza se e senza ma, dichiarò dall’alto della sua provata competenza in materia. Al governo c’era Sacconi che si spericolò nell’appoggio a CISL e UIL firmatarie di accordi separati con la FIAT. Bisognava isolare quegli estremisti della FIOM se si volevano gli investimenti. Tra i lavoratori, la FIOM non è stata isolata mentre il progetto “Fabbrica Italia”, si è dissolto come neve al sole. Bonanni è confuso, smarrito. Fassino e Renzi riflettono e tacciono. La crisi dell’auto è di tale dimensione da rendere l’investimento promesso e illustrato da una campagna pubblicitaria che utilizzò tutti i mezzi, rischioso. Per questo non va più bene agli azionisti FIAT. La famiglia Agnelli ha intenzione d’investire in Italia soltanto per rafforzare la sua squadra di calcio. I tifosi della Juventus possono stare tranquilli a differenze delle migliaia di lavoratori che producono le FIAT. Che la crisi dell’auto sia cosa seria è indubbio ma il luminare canadese, residente in Svizzera, dovrebbe spiegare perchè la sua azienda ha i risultati peggiori in tutta Europa e continua a perdere quote di mercato. Non sarà  che la scelta di non produrre nuovi modelli, come hanno fatto tutte gli altri concorrenti, sia stata una scelta suicida? Assieme ad altri economisti, lo sostiene Romiti ex amministratore delegato della FIAT. E il governo dei professori che dice? Nello stesso giorno dell’annuncio di Marchionne, il presidente del consiglio ha ritenuto saggio indicare in alcuni articoli dello Statuto dei Lavoratori le ragioni della mancata crescita dell’occupazione in Italia. Non c’è dato sapere secondo quali ricerche, indagini, studi, Monti abbia fatto quest’affermazione. L’impressione è che, come succede a volte a tutti i predicatori, nel gentile professore abbia fatto velo l’ideologia. Non si tratta della consueta idea liberale, ma del più puro liberismo della “Scuola di Chicago” che, come possiamo verificare ogni giorno, sta producendo la ricchezza delle nazioni da almeno venti anni. Ma per ideologia si fanno “guerre sante” e non c’è prova contraria utile per far cambiare idea. L’ideologo non ha dubbi, mai. Così, una legge di civiltà  come’è lo Statuto dei Lavoratori, diviene il vincolo allo sviluppo. Banalità  che ha il sostegno di tanta parte dell’intellettualità  ma che fortunatamente provoca anche reazioni contrarie. L’arretratezza del Paese ha come causa essenziale la pluridecennale mancanza di ogni politica industriale. Il produrre denaro attraverso il denaro ha provocato lo spostamento della ricchezza da chi produce beni materiali alle rendite, spesso parassitarie. Che l’Italia abbia un problema di produttività  complessiva è evidente. Il problema che abbiamo è: quali politiche sono necessarie per migliorare la produttività ? La scelta di agire sul costo del lavoro è una scelta che non ci porta fuori dalla recessione. Non è questo che ha fatto la Germania. La produttività  è data dagli investimenti e dalle innovazioni di prodotto oltre che da un’organizzazione del lavoro che rifugge dalla precarietà . E’ questa la lezione che ci viene da Berlino. I dati dimostrano che il tessuto produttivo italiano senza investimenti rilevanti da decenni rischia una deindustrializzazione irreversibile. Se il privato non ha le risorse per innovare è il pubblico che dovrebbe avere un piano d’investimenti capace di superare le arretratezze del Paese. Le risorse? Lotta all’evasione, taglio della spesa improduttiva, patrimoniale sulle grandi ricchezze. E’ questa la linea di Hollande. Il ministro Passera, non passa giorno, che non promette piani per ogni settore. Avendoci promesso che per lui l’impegno in politica non terminerà  con il governo attuale, potrebbe trovare il tempo, tra un convegno e un altro, di far deliberare dal consiglio dei ministri uno dei tanti progetti promessi? Ancora oggi la pubblica amministrazione porta ritardi biblici nei suoi pagamenti ai fornitori. Quante piccole imprese stanno fallendo per questa ragione? Perchè la revisione della spesa pubblica continua a incentrarsi sulla sanità  quando le risorse impiegate in questo settore sono di sotto la media europea? Perchè si continua a privilegiare le grandi opere e non c’è uno straccio di piano per rendere sicure le strutture scolastiche o per risanare un territorio massacrato da eventi naturali e da una politica urbanistica terrificante? La campagna elettorale è iniziata in grande confusione. I sondaggi confermano che quasi la metà  dei cittadini è incerta se/o per chi votare. La destra continua a essere angosciata per l’incertezza della sesta ridiscesa in campo dell’Unto dal Signore. Il centrosinistra è in uno stato di lacerazione permanente e non appare in grado di offrire una piattaforma di governo capace di unire le forze. Il partito democratico sembra volersi giocare tutto con “L’operazione primarie”. E’ un rischio? Al punto in cui si è arrivati c’è poco da fare. Facessero pure le primarie, ma forse sarebbe utile che il candidato leader del centrosinistra lo scegliessero gli elettori di questo schieramento. Il contrario sarebbe come se il candidato dei repubblicani americani fosse stato scelto dagli elettori democratici. Non sarebbe stato antidemocratico e anche ridicolo?
Corriere dell’Umbria 16 settembre2012

Il Professore e il futuro

La campagna elettorale ha avuto inizio. L’apertura è avvenuta a Cernobbio in occasione del consueto incontro dei potenti d’Italia. Un sondaggio tra industriali, banchieri, opinion maker e quanto di altro, conferma che il prossimo governo dovrà  essere presieduto da Mario Monti pena la rivolta dei mercati. L’house organ del governo dei tecnici, il giornale di Eugenio Scalfari, elenca quanti sponsor ha già  incassato l’attuale capo del governo. Si va da Obama per passare alla Merkel e Barroso per non dire del Fondo Monetario Internazionale e, ovviamente, della burocrazia europea. Lo slogan? Non si può fare a meno di Monti, i mercati ci punirebbero. Siamo in una fase in cui sembrerebbe che i governi non siano frutto di un libero voto dei cittadini ma espressione di poteri finanziari misteriosi e/o di poteri politici esterni al nostro Paese. Non ci si può scandalizzare. L’avventura del governo delle destre, guidato dal Cavaliere di Arcore, aveva portato l’Italia vicino al disastro non solo e non tanto economico ma d’immagine complessiva. Mario Monti ha avuto la capacità  di ridare credibilità  internazionale a un Paese che ha fondamentali economici ancora forti ma una classe dirigente scadente. E non ci si riferisce alla sola classe politica. Certo il governo Monti ha applicato le ricette “liberiste” di tutti i governi europei e il suo programma di equità , rigore e sviluppo, allo stato dell’arte si è fermato al rigore nei conti a discapito delle condizioni di vita di milioni di cittadini. Purtroppo per l’equità  e per un nuovo sviluppo bisognerà  attendere che i mille annunci dei loquaci ministri divengano realtà . Ma il terrore di massa che le elezioni prossime venture ripropongano le stesse intelligenze che hanno portato l’economia allo stato che conosciamo, legittima la spinta ad avere un governo Monti-bis. Quelli che ci ostiniamo a chiamare partiti non sembrano in grado di rispondere all’indignazione popolare per la pessima politica di questi anni. Napolitano ha ragione quando afferma che non c’è democrazia senza partiti ma che i partiti devono rifondarsi pena la decadenza della democrazia. Quelli del centrodestra sono in attesa del Messia. Scende di nuovo in campo l’unto del signore? L’attesa sta diventando snervante e nel frattempo prevale la lotta tra colombe e falchi. Parlamento bloccato sulla legge anticorruzione e sulla riforma del sistema elettorale. Gli allibratori di Londra danno la conferma del “porcellum” per le prossime elezioni come l’ipotesi più attendibile. In realtà  la crisi del centrodestra si ripercuote sul funzionamento della democrazia parlamentare. Che hanno in testa gli amici del centro-sinistra? Un vecchio compagno di stagioni diverse mi ha chiesto, un poco affranto, com’è stato possibile che la sinistra sia passata dalle dispute tra Togliatti e Nenni o a quelle tra Ingrao e Amendola, all’aspra contesa tra Bersani e Renzi? Imbarazzato, ho cercato di consolare l’interlocutore ricordando che il processo d’impoverimento della sinistra ha riguardato gran parte del mondo occidentale principalmente per una ragione: i gruppi dirigenti dei partiti di sinistra sono stati tutti fagocitati dal pensiero, dall’ideologia liberista. Il crollo del blocco sovietico ha trascinato con sè anche le grandi socialdemocrazie. La terza via di Tony Blair e di Clinton si è rivelata una strada angusta che introitando l’ideologia della destra economica ha annichilito ogni idea di rinnovamento della sinistra. Con la scomparsa dei partiti di massa e con la conseguente personalizzazione della politica, sono scomparsi anche tutti quegli strumenti di ricerca e di studio che consentivano ai gruppi dirigenti di costruire piattaforme politiche frutto di un’autonoma elaborazione. Invece dello studio, adesso sembrano prevalere il marketing e gli spin doctor. In base a quale complesso d’idee e valori un cittadino sceglierà  il candidato premier del centrosinistra? Non è dato sapere. La forza di Renzi risiede nella giusta esigenza di rinnovamento dei gruppi dirigenti. Non è poco, ma non è sufficiente. L’età  anagrafica è un dato importante ma non esaustivo delle problematiche che tormentano il PD. Il rinnovamento del centrosinistra comporta anche, principalmente direi, quello delle idee e dei valori con cui si chiede il consenso ai cittadini. Se come sembra, il sindaco di Firenze ha in testa la stessa ideologia di Monti mi sembrerebbe logico e giusto per il Paese che Renzi si battesse perchè il professore rimanga dove sta. E’ certo che i rapporti internazionali di Monti siano più consolidati di quelli che ha al momento il competitor di Bersani e, nonostante l’età , anche Monti ha un suo appeal. I mercati poi non capirebbero, direbbe Casini. Com’è ovvio in vista delle elezioni sono cominciate a circolare voci sulle candidature. Chiacchiere da bar, speriamo. Se non lo fossero ci sarebbe da preoccuparsi. Il votare turandosi il naso è una categoria della politica sempre più in disuso. Renzi o non Renzi pensare di riprodurre, anche nelle prossime elezioni, candidature che hanno soltanto il senso del proseguire carriere già  infinite, non potrà  che allargare l’area del non voto. Anche queste saranno chiacchiere da bar, ma senza un profondo rinnovo dei candidati, molti si sentiranno legittimati a disertare la cabina elettorale. Sarebbe una tragedia? Sì, ma la responsabilità  ricadrebbe interamente sul ceto politico in campo.
Corriere dell’Umbria 9 settembre 2012

Dai nominati alla partecipazione

Come Carlo d’Inghilterra, anche Angiolino Alfano non diventerà  mai Re. Il suo destino sembra essere quello dell’eterno delfino dell’uomo di Arcore. Le cronache politiche descrivono la situazione iniziando dal sotterraneo lavorio degli uomini più fidati del cavaliere per rendere perigliosa la vita del governo Monti e nello stesso tempo impedire che finalmente l’Italia si doti di una legge elettorale capace di ridare lo scettro al popolo sovrano. L’affannosa ricerca di un sistema di voto che contempli governabilità  e rappresentanza non ha fatto passi in avanti per l’incapacità  dei partiti di andare oltre l’interesse del ceto politico in campo. Molti non sembrano capire che se il berlusconismo è ormai defunto, il suo funerale non è stato ancora consumato e di zombi in giro se ne vedono parecchi a tutte le latitudini politiche. La tentazione di Leghisti e Pidiellini di farsi, ancora una volta, una legge elettorale su misura, rischia di far saltare il governo e sta portando altri danni a una democrazia ormai esangue. Il populismo esulta grazie all’ignavia di quelli che dovrebbero decidere per il bene comune e invece sembrano pensare soltanto al destino dei propri fondi schiena. Giustamente Napolitano ha rivendicato a sè la responsabilità  ultima dell’indizione di nuove elezioni nel suo sollecito ai partiti di fare l’interesse del Paese votando una legge elettorale che consenta elezioni democratiche e non le truffe frutto della legge attuale. Non esiste sistema elettorale perfetto, ma nessuna nazione moderna è governata da un parlamento di nominati dalle segreterie di partito. Anche tralasciando che quelli che ci ostiniamo a chiamare partiti, sono in realtà  agglomerati di persone in campo da una vita che bisticciano spesso sul sesso degli angeli, in Italia le assemblee legislative non sembrano in grado di assicurare fluidità  nel governo e rappresentanza degli interessi e delle idealità  di parti sostanziali della società  italiana. Ognuno ha in testa un sistema di voto, vale anche per me. Che il sistema proporzionale, diciamo alla tedesca, sia più consono alla tradizione italiana mi sembra indubitabile. Ma sono aperto ad altre soluzioni. Giustamente si sostiene che la sera del voto bisogna sapere chi governerà  il Paese. In Germania è così, esattamente come in Francia e in Inghilterra che hanno sistemi diversissimi. In nessuna nazione esiste un premio di maggioranza ma si hanno di solito governi stabili. Perchè il Pd insiste per un sistema così poco europeo? Il sistema dei collegi elettorali piccoli o grandi che siano risolve il problema del rapporto tra eletto ed elettore? Può essere in parte vero. La questione è chi decide e come si decide il candidato del collegio. Come facciamo a dimenticare la candidatura di Di Pietro nel collegio “rosso” del Mugello o di Adornato nel collegio sicuro di Perugia. Non lo decisero certi gli iscritti del Pds del Mugello o di Perugia. Il nodo è il funzionamento dei partiti, la loro democrazia interna, la metodologia della formazione dei gruppi dirigenti. Nei disciolti partiti di massa la discussione sulle liste elettorali durava settimane e alla fine si riusciva a trovare un compromesso tra le esigenze del territorio e quelle della direzione centrale del Partito. Oggi non è più così. Anche se la nostalgia non è una categoria della politica, bisognerebbe inventarsi un metodo che consenta più partecipazione alla scelta degli eletti con regole chiare e vincolate dall’esigenza di innescare processi di rinnovamento radicale delle classi dirigenti. Risponde a ciò il meccanismo previsto dal Pd delle primarie? Essendo un fautore della democrazia nel partito e contrario alla personalizzazione della politica, non sono stato mai entusiasta del meccanismo copiato male da quello vigente negli Stati Uniti. Comunque, in mancanza di partiti non liquidi vanno bene anche le primarie se aperte a diverse candidature e riferite anche alla scelta dei candidati al parlamento nazionale. Sull’esigenza di mettere in campo nuove energie sembrano tutti concordare. Se è così, le regole dovrebbero impedire a chi ha rivestito, per decenni, cariche pubbliche e quindi ovviamente conosciuto, di essere ancora in gioco nella tenzone per un seggio in parlamento. Aborrisco che chi è sindaco o presidente in carica si candidi senza prima dare le dimissioni. Un tempo vigeva la norma dell’ineleggibilità  per diverse figure, la nuova politica ha abolito anche questo vincolo di trasparenza. Sarebbe buona cosa che i partiti, nonostante la mancanza della normativa, applicassero ai propri candidati questa regola. Non lo faranno e i Grillini esulteranno e il non voto si allargherà  a dismisura. Rimane misterioso come dirigenti stagionati che hanno attraversato epoche politiche diverse, non sembrano rendersi conto che la violenza della crisi economica sta portando la protesta di massa a un punto di non ritorno e verso il rifiuto della politica come strumento di soluzione dei problemi. Non è tempo di dimostrare che soltanto una buona politica potrà  far uscire il Paese dalla crisi nata dalle atroci politiche liberiste della destra al governo in quasi tutta Europa?
Corriere dell’Umbria 5 agosto 2012

Galleggiare non si può più

I conti non tornano. Da un lato non c’è giorno senza che una dichiarazione di qualche leader europeo o del fondo monetario internazionale, confermi l’affidabilità  di Mario Monti e della giustezza delle scelte del governo italiano. Dall’altro lato lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi sale settimana dopo settimana. Abbiamo avuto l’ennesimo venerdì nero delle borse e il differenziale è arrivato a cinquecento punti. Siamo stati contagiati, dice Monti. Il motivo? L’incertezza della situazione politica dice il capo dei tecnici. I mercati temono che con le elezioni del prossimo anno prevalgano forze politiche incapaci di formare un governo rigoroso quanto lo è quello degli specialisti che ci governano. L’argomento è di quelli che suggeriscono qualche approfondimento. E’ già  in atto una campagna di stampa dei grandi giornali che sposano la tesi del grande accordo tra i principali partiti come panacea che tranquillizzerà  i mercati. Domanda: il governo Monti è retto da una coalizione composta da tutti i partiti meno Lega e Idv. Quello di Monti, risulterà  il governo che ha prodotto più decreti legge e ha avuto più voti di fiducia. Il ruolo del parlamento è esclusivamente quello di votare tutto ciò che decidono a Palazzo Chigi. I partiti continuano nei loro contorcimenti, ma non sembrano in grado di disturbare Monti che, rigorosamente, continua nella sua strada incentrata sull’austerità  e sui tagli alla spesa pubblica. Eppure lo spread è continuato a salire. Tecnicamente, qualcosa non funziona. Si temono le elezioni prossime venture, dicono. Anche prima delle elezioni francesi si sosteneva che la vittoria di Hollande avrebbe provocato problemi ai mercati. Non è successo. E le elezioni in Grecia? Se avesse vinto la sinistra, sarebbe stato il disastro. Ha vinto la destra e il disastro è avvenuto puntualmente. In Spagna ha vinto Mariano Rajoy del Partito Popolare ma non è servito a nulla. I capitali spagnoli hanno continuato a trasferirsi in Germania. Che il turbo capitalismo fosse indifferente alla democrazia è cosa nota da qualche tempo. L’incognita è se i popoli possono o no continuare a pretendere di scegliere liberamente i propri governanti o se lo stato di emergenza creato dalla speculazione finanziaria non consiglia la sospensione della democrazia. Non si vuole prendere atto che la crisi della politica non può che trascinare con sè il peggioramento della democrazia. E in Italia la crisi della politica sta raggiungendo limiti estremi. In parlamento esistono due maggioranze. La prima sostiene il governo Monti ed è composta dal Partito Democratico, dai Pidiellini e dai centristi attorno a Casini e Fini. Poi si è riformata l’alleanza Bossi-Berlusconi che serve a impedire la riforma della legge elettorale e a stravolgere la Carta Costituzionale. La rincorsa di Di Pietro alle argomentazioni del Grillo nazionale, l’attacco ripetuto al Quirinale del capo dell’Idv, non può che comportare l’impossibilità  di un’alleanza elettorale con il Pd. Casini prende atto che Bersani è una brava persona con cui sarà  possibile governare a patto che Vendola e compagni stiano da un’altra parte. I montiani interni ai democratici esultano. Non sembra lo stiano facendo coloro che si sono iscritti o votano i democratici, convinti che sia un partito in cui essere di sinistra non sia un reato. Con Sel il Pd ha conquistato Milano, Napoli, Genova, Bari, Cagliari, eccetera. E con Casini? Un comune nelle Marche? Non ricordo altro di rilevante.
Quanta confusione sotto il cielo della politica. Per fortuna c’è la Corte Costituzionale. Al venerdì nero delle borse va aggiunto il venerdì felice per la democrazia italiana. Quante volte a referendum approvato da maggioranze rilevanti, era seguita la truffa di leggi che andavano esattamente contro il risultato referendario? L’elenco sarebbe lungo. Il referendum del 12 e 13 giugno del 2011 verteva sulla privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici. Ventisette milioni d’italiani hanno votato per impedire questa possibilità . Referendum vinto alla grande. Il governo Berlusconi con una legge ha in sostanza annullato il risultato e, a seguire, Monti con il decreto “Salva Italia” ha proseguito nella stessa strada. Lui è un fissato delle privatizzazioni: il pubblico gli provoca allergie. La sentenza della Corte ha dichiarato incostituzionali i provvedimenti voluti dai suddetti primi ministri. L’acqua e altri beni pubblici non possono essere privatizzati obbligatoriamente. La decisione della Consulta non legittima certo la cattiva amministrazione di servizi pubblici. Anzi impone agli amministratori un rigoroso esame del loro funzionamento dei loro costi e dei loro benefici per i cittadini. Da questo punto di vista anche in Umbria c’è un lavoro da fare. L’innovazione non è preclusa dalla sentenza della Corte Costituzionale, è invece divenuta obbligatoria in tutte quelle gestioni pubbliche che risultano inadeguate rispetto alle possibilità  offerte dall’avanzamento tecnologico e/o dall’offerta presente nel settore privato. Una revisione della spesa intelligente sarebbe opportuna in una regione che, in altre stagioni, ha saputo trovare la strada per risparmiare risorse e aumentare i servizi al cittadino. Non è cosa facile. Troppe le incrostazioni e le nicchie di privilegio consolidatesi nel tempo. E’ richiesto coraggio politico e determinazione. Sono tempi questi in cui galleggiare non si può. I marosi sono di tale intensità  da richiedere un cambio di passo rispetto al già  noto.
Corriere dell’Umbria 22 luglio 2012

Galleggiare non si può più

I conti non tornano. Da un lato non c’è giorno senza che una dichiarazione di qualche leader europeo o del fondo monetario internazionale, confermi l’affidabilità di Mario Monti e della giustezza delle scelte del governo italiano. Dall’altro lato lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi sale settimana dopo settimana. Abbiamo avuto l’ennesimo venerdì nero delle borse e il differenziale è arrivato a cinquecento punti. Siamo stati contagiati, dice Monti. Il motivo? L’incertezza della situazione politica dice il capo dei tecnici. I mercati temono che con le elezioni del prossimo anno prevalgano forze politiche incapaci di formare un governo rigoroso quanto lo è quello degli specialisti che ci governano. L’argomento è di quelli che suggeriscono qualche approfondimento. E’ già in atto una campagna di stampa dei grandi giornali che sposano la tesi del grande accordo tra i principali partiti come panacea che tranquillizzerà i mercati. Domanda: il governo Monti è retto da una coalizione composta da tutti i partiti meno Lega e Idv. Quello di Monti, risulterà il governo che ha prodotto più decreti legge e ha avuto più voti di fiducia. Il ruolo del parlamento è esclusivamente quello di votare tutto ciò che decidono a Palazzo Chigi. I partiti continuano nei loro contorcimenti, ma non sembrano in grado di disturbare Monti che, rigorosamente, continua nella sua strada incentrata sull’austerità e sui tagli alla spesa pubblica. Eppure lo spread è continuato a salire. Tecnicamente, qualcosa non funziona. Si temono le elezioni prossime venture, dicono. Anche prima delle elezioni francesi si sosteneva che la vittoria di Hollande avrebbe provocato problemi ai mercati. Non è successo. E le elezioni in Grecia? Se avesse vinto la sinistra, sarebbe stato il disastro. Ha vinto la destra e il disastro è avvenuto puntualmente. In Spagna ha vinto Mariano Rajoy del Partito Popolare ma non è servito a nulla. I capitali spagnoli hanno continuato a trasferirsi in Germania. Che il turbo capitalismo fosse indifferente alla democrazia è cosa nota da qualche tempo. L’incognita è se i popoli possono o no continuare a pretendere di scegliere liberamente i propri governanti o se lo stato di emergenza creato dalla speculazione finanziaria non consiglia la sospensione della democrazia. Non si vuole prendere atto che la crisi della politica non può che trascinare con sé il peggioramento della democrazia. E in Italia la crisi della politica sta raggiungendo limiti estremi. In parlamento esistono due maggioranze. La prima sostiene il governo Monti ed è composta dal Partito Democratico, dai Pidiellini e dai centristi attorno a Casini e Fini. Poi si è riformata l’alleanza Bossi-Berlusconi che serve a impedire la riforma della legge elettorale e a stravolgere la Carta Costituzionale. La rincorsa di Di Pietro alle argomentazioni del Grillo nazionale, l’attacco ripetuto al Quirinale del capo dell’Idv, non può che comportare l’impossibilità di un’alleanza elettorale con il Pd. Casini prende atto che Bersani è una brava persona con cui sarà possibile governare a patto che Vendola e compagni stiano da un’altra parte. I montiani interni ai democratici esultano. Non sembra lo stiano facendo coloro che si sono iscritti o votano i democratici, convinti che sia un partito in cui essere di sinistra non sia un reato. Con Sel il Pd ha conquistato Milano, Napoli, Genova, Bari, Cagliari, eccetera. E con Casini? Un comune nelle Marche? Non ricordo altro di rilevante.
Quanta confusione sotto il cielo della politica. Per fortuna c’è la Corte Costituzionale. Al venerdì nero delle borse va aggiunto il venerdì felice per la democrazia italiana. Quante volte a referendum approvato da maggioranze rilevanti, era seguita la truffa di leggi che andavano esattamente contro il risultato referendario? L’elenco sarebbe lungo. Il referendum del 12 e 13 giugno del 2011 verteva sulla privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici. Ventisette milioni d’italiani hanno votato per impedire questa possibilità. Referendum vinto alla grande. Il governo Berlusconi con una legge ha in sostanza annullato il risultato e, a seguire, Monti con il decreto “Salva Italia” ha proseguito nella stessa strada. Lui è un fissato delle privatizzazioni: il pubblico gli provoca allergie. La sentenza della Corte ha dichiarato incostituzionali i provvedimenti voluti dai suddetti primi ministri. L’acqua e altri beni pubblici non possono essere privatizzati obbligatoriamente. La decisione della Consulta non legittima certo la cattiva amministrazione di servizi pubblici. Anzi impone agli amministratori un rigoroso esame del loro funzionamento dei loro costi e dei loro benefici per i cittadini. Da questo punto di vista anche in Umbria c’è un lavoro da fare. L’innovazione non è preclusa dalla sentenza della Corte Costituzionale, è invece divenuta obbligatoria in tutte quelle gestioni pubbliche che risultano inadeguate rispetto alle possibilità offerte dall’avanzamento tecnologico e/o dall’offerta presente nel settore privato. Una revisione della spesa intelligente sarebbe opportuna in una regione che, in altre stagioni, ha saputo trovare la strada per risparmiare risorse e aumentare i servizi al cittadino. Non è cosa facile. Troppe le incrostazioni e le nicchie di privilegio consolidatesi nel tempo. E’ richiesto coraggio politico e determinazione. Sono tempi questi in cui galleggiare non si può. I marosi sono di tale intensità da richiedere un cambio di passo rispetto al già noto.
Corriere dell’Umbria 22 luglio 2012

La guerra dell’euro

Per gli attori protagonisti il cast è a buon punto. Certa la presenza di Silvio Berlusconi e Tony Blair, si attende la disponibilità di Umberto Bossi per programmare le riprese. Il titolo non ancora definitivo potrebbe essere “La notte del governo dei morti viventi”, ma non è detto che sarà questo. Più che all’horror movies il produttore sembra intenzionato, con qualche ragione, a dare un taglio comico al film. Se questa fosse la scelta altri protagonisti sarebbero indispensabili. Contatti sono in corso con gli alti dirigenti della Moody’s, l’agenzia di rating che ha declassato il debito sovrano italiano la notte prima di un’asta sui BBT. Moody’s è la stessa agenzia che ha nel carnet altre corrette previsioni: la conglomerata americana Enron giudicata con la tripla AAA dai signori della Moody’s nel duemilauno, fallita miseramente. Come dimenticare la tripla AAA assegnata alla Lehman Brothers nel duemilaotto anch’essa improvvisamente venuta meno? Si potrebbe continuare ma servirebbe a poco: siamo nelle mani di speculatori che agiscono senza contrasto alcuno. Com’è possibile considerare l’Italia meno affidabile del Kazakistan? L’Italia nonostante i disastri dei berluscones al governo rimane la seconda potenza manifatturiera dell’Europa. Mario Monti ha ragione nella protesta contro l’agenzia di rating. Dovrebbe domandarsi però che cosa stanno facendo le élite politiche europee per contrastare la guerra all’euro voluta essenzialmente dai proprietari delle agenzie di rating. Perché di guerra contro l’euro si tratta. Obama può lamentarsi quanto vuole per la mancata crescita europea: i proprietari delle agenzie di rating sono i soci dei grandi fondi d’investimento americani che guadagnano proprio sulle valutazioni delle società di rating. Potrebbe il presidente discutere della cosa con Buffet il multimiliardario suo sponsor e uno dei proprietari della Moody’s? Che concorrenza ci può essere quando le tre agenzie di rating americane controllano il novanta per cento del mercato su cui si fanno soldi? Possibile che la Comunità Europea che crea strutture su strutture spesso inutili, non sia riuscita a darsi agenzie di rating indipendenti? Il problema è l’ideologia dominante. Essa assegna al mercato un ruolo salvifico nonostante sia evidente che, quello finanziario, è un mercato truccato. L’austerità imposta ai popoli non è riuscita a invertire i processi recessivi, serve a garantire lauti guadagni agli speculatori e a garantire alla Germania investimenti a tasso zero. Quanto può durare una situazione in cui la democrazia sembra sospesa e tutto è deciso da entità misteriose ai più? La tenuta sociale è ormai a limiti preoccupanti in Grecia, in Spagna, in Portogallo e in Italia. L’economia reale non dà segni di ripresa perché le “riforme” del governo Monti anche nei loro aspetti positivi, non riescono ad attivare la fiducia nelle forze produttive di cui rimane pur ricco il Paese. E’ intollerabile che il mondo del lavoro e della produzione sia considerato una lobby e il mondo delle banche e della finanza l’entità da salvaguardare costi quel che costi e di là dei concreti comportamenti dell’universo del credito. Il problema è politico. Gli informi agglomerati chiamati partiti, sembrano essere tutti in confusione permanente. Il povero Alfano dovrà aspettare un altro giro. Ha ballato una sola estate, il Capo è tornato. Maroni cerca educatamente di ridare un senso al leghismo ma le macerie da rimuovere sono tante. Come tante sono le incertezze nel campo del centrosinistra. L’azione del governo Monti ha sparigliato le forze in campo. L’unico che sembra avere il vento in poppa è il movimento dei Grillini. Ciò incide nella tenuta di tutte le forze politiche tradizionali. E tutte sembrano alla ricerca di un punto di gravità permanente. Confesso di non aver ancora capito quale idea di alleanza ha in testa il partito democratico. Dopo il fallimento dei governi Prodi è giustificata la cautela nella scelta degli alleati. Non aiutano certo le sparate dipietriste ma dannose sembrano essere anche le fughe in avanti dei montiani interni al partito di Bersani. Duole dirlo ma l’impressione che si ha è che il PD rimane lacerato dalle sue diverse sensibilità. Un partito che sta rischiando alla grande scegliendo di spostare ancora più al centro la sua posizione. Sarebbe ingeneroso non valutare l’oggettiva difficoltà del principale partito del centrosinistra. Nella scelta di salvare il governo Monti Bersani e company, hanno dovuto accettare provvedimenti che penalizzano ceti cui il PD deve rispondere. La revisione della spesa pubblica sacrosanta in molti aspetti, è anche micidiale per la tenuta di quel minimo di Stato Sociale costruito in tanti anni di lotte democratiche. Si colpisce la sanità nei suoi sprechi? Non solo. Non tutti i sistemi sanitari regionali sono fondati sullo spreco. Complessivamente l’incidenza della sanità sul prodotto interno lordo è di circa il sette per cento, un punto in meno della media europea. Se qualcuno ha in mente la privatizzazione come panacea, sommessamente ricordo che la sanità privata americana incide per il diciotto per cento sul PIL. Tagli lineari sono sbagliati colpiscono le eccellenze e possono favorire soltanto la sanità privata che, come detto, costa molto di più di una buona sanità pubblica. Anche in Umbria la responsabilità di ciascuno deve essere quella di ricercare senza paraocchi o interessi particolari dove produrre risparmi e innovare la risposta ai bisogni dei cittadini. Le sacche di privilegio e di particolarismi possono e devono essere sconfitte.
Corriere dell’Umbria 15 luglio 2012