da Francesco Mandarini | Ott 8, 2007
Dichiarazione a “Repubblica” di Walter Veltroni: “Il PD italiano sarà come il partito democratico americano e i laburisti inglesi. Questa è l’ispirazione politica, alla quale aggiungiamo la matrice culturale italiana, le nostre storie particolari.”.
Troppa grazia Sant’Antonio, si potrebbe dire. Il candidato leader del PD mette insieme modelli di partito, molto differenti tra loro, che hanno origine in un contesto istituzionale radicalmente diverso da quello del bel Paese.
Negli USA vige una repubblica presidenziale che contempla l’assoluta autonomia di Senato e Camera dei Rappresentanti. In Inghilterra funziona una monarchia che non ha alcuna influenza sul sistema politico. Il premier non è eletto dal popolo, ma dal partito. Tony Blair, dopo aver vinto le elezioni, è stato rimosso attraverso una riunione del New Labour. Esattamente come successe a Margaret Thatcher. Il primo ministro inglese può sciogliere il Parlamento quando vuole. Il “grande” Bush ha il potere di mettere veti ai deliberati del Senato, ma non può mandare a casa i senatori. Un presidente americano può essere rimosso esclusivamente attraverso il meccanismo dell’impeachment. Il New Labour nonostante la cura Blair ha le sue radici nel mondo del lavoro. Sono le Trade Union, i sindacati, che finanziano in modo decisivo il partito. Il PD americano funziona in prevalenza attraverso i finanziamenti delle grandi corporation economiche.
Il rincorrere sistemi politici esteri è pericoloso. Ogni impianto istituzionale è frutto della storia della nazione.
L’Italia è una repubblica parlamentare e ciò, giova ricordarlo, è stato confermato soltanto un anno fa con un referendum al quale ha partecipato la maggioranza del popolo.
E’ certo possibile e necessario riformare le istituzioni democratiche italiane.
Superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari, agevolare l’azione di governo con regolamenti parlamentari più efficaci. Tutto ciò è fondamentale e deve essere nell’agenda politica del PD italiano, ma senza stravolgere il dettato Costituzionale che assegna alla rappresentanza parlamentare il diritto dovere di esercitare il potere legislativo anche in conflitto con il governo.
L’ansia di Veltroni nel fare proposte è certo giustificata dal degrado della situazione politica.
Sarà un ottobre di ferro e fuoco per il governo dell’Unione. Finanziaria, scioperi, manifestazioni mettono a leva la tenuta della coalizione.
Quando Prodi si vede costretto ad emettere giudizi sulla qualità di un talk show per soddisfare le esigenze poste da Mastella, siamo alla frutta. Quando un ministro importante, Di Pietro, presenta una proposta di legge assieme ad uno dei leader, Fini, dell’opposizione significa che siamo all’impazzimento della classe politica.
Non sono un appassionato della politica in televisione. Continua a stupirmi constatare che incide più negli atteggiamenti dei leader politici una trasmissione televisiva che un’assemblea di lavoratori che approva o respinge una proposta politica.
Ritengo allarmante che nonostante il consenso generale sull’esigenza di riformare le istituzioni non si compiano atti radicali che segnino una svolta nel rapporto tra l’azione politica e i bisogni della gente.
I giornali sono pieni di dotti articoli di opinion maker che continuano a descrivere il disagio non solo economico di parti consistenti del popolo italiano. La rabbia cresce, scrivono. (altro…)
da Francesco Mandarini | Ott 3, 2007
Micropolis ha sempre considerato la creazione del Partito Democratico come un’ altra fase dell’ americanizzazione della società italiana. Per questo siamo stati critici rispetto alla scelta di fondere i DS con la Margherita. Lo smottamento diessino verso il moderatismo era iniziato da tempo e la sua dissoluzione lascia pochi rimpianti per chi continua a ritenere che la democrazia italiana ha bisogno di una sinistra moderna quanto si vuole, ma che rappresenti il mondo del lavoro e mantenga aperta la speranza di un mondo diverso da quello imposto dal liberismo.
L’inconsistenza programmatica dei soci fondatori del PD ha fatto da pendant alla scelta plebiscitaria per l’elezione del segretario nazionale e di quelli regionali. Il già fragile governo Prodi ha subito colpi durissimi dalle improvvisazioni dei “coraggiosi” rutelliani. Le ripetute esternazioni programmatiche di Veltroni se hanno ricevuto l’apprezzamento di Montezemolo e certo hanno entusiasmato i redattori dell’organo del Partito Democratico, “La Repubblica”, hanno anche messo in fibrillazione la maggioranza.
Da fattore di consolidamento del quadro politico il PD rischia di essere fattore di crisi.
Nelle intenzioni dei promotori il nuovo partito doveva essere “la grande avventura” che salvava il Paese dalla decadenza. Con quello che sta succedendo è più corretto definire il processo in atto come puro avventurismo del riformismo senza riforme dei vari Fassino, Rutelli e via dicendo. Dopo una campagna durata mesi tesa a dimostrare che i problemi per Prodi nascevano dall’estremismo della sinistra al governo, anche Eugenio Scalfari ha dovuto ammettere che sono le varie forze del centro che brigano per ottenere la fine dell’Unione. Statisti del calibro di Dini, Mastella e Di Pietro sono al lavoro per rompere la maggioranza nella speranza di formare un centro politico capace di contrattare potere con la destra e con quel che rimane del centrosinistra.
Il quadro politico nazionale è in confusione totale, ma il disastro non si ferma a Roma. (altro…)
da Francesco Mandarini | Set 28, 2007
A chi toccherà spegnere la luce del governo Prodi? Saranno i “diniani”, toccherà ai “mastelliani” o ai “dipietrini? Quello che è ormai evidente è che Prodi è destinato a passare la mano a causa dell’estremismo e l’appetito dei moderati e non per quello della sinistra. Anche l’organo ufficiale del Partito Democratico, la “Repubblica”, ha dovuto prendere atto che non è Bertinotti il killer dell’amato Romano. Saranno le forze del moderatismo impegnate a costruire un centro politico. Un agglomerato che sia capace di contrattare potere e posti con il centrosinistra e con il centrodestra. Al miglior offerente. Spetterà loro certificare la fine dell’esperienza di governo dell’Unione.
Quando il destino politico di un Paese è nelle mani di figure dello spessore di Mastella, Di Pietro e Dini, la democrazia qualche problema sembrerebbe averlo. E il “grillismo” c’entra poco. Pagine e pagine di giornali, dichiarazioni su dichiarazioni per denunciare il rischio per la democrazia conseguente all’antipolitica portata avanti da Grillo nel suo blog e nei suoi comizi. In genere aborrisco gli insulti e le urla mi irritano, anche quelle dei tifosi. I miei comici di riferimento sono di un’altra generazione rispetto a quella di Grillo, ma rimango convinto che la fucina vera dell’odio per la politica non è quella alimentata dall’enfatico comico genovese. Non c’è politico che non riconosca che esiste il problema del costo della politica e che non veda l’intollerabilità di prebende e privilegi del ceto addetto ai lavori. Concretamente non si è fatto nulla per invertire una tendenza al carrierismo e al familismo di casta.
Si è consentito la stratificazioni di un sentimento di massa contro la politica praticando ad ogni livello una pessima politica e in genere guardando più al proprio interesse che a quello generale. Le oligarchie imperano.
Il meccanismo propulsore del disprezzo per tutto ciò che riguarda l’agire politico è certamente la TV. L’ avanspettacolo che ministri, senatori, deputati, presidenti, sindaci e governatori ci propinano quasi ogni sera nei vari salotti e contenitori televisivi accumula la linfa del disprezzo. Uno dei meriti, apprezzati, di Walter Veltroni è stato quello di evitare negli anni passati le baruffe televisive. Recentemente si è lasciato prendere la mano e una sorta di iper presenzialismo sembrerebbe tentarlo. Lasci perdere. E’ meglio centellinare dichiarazioni e apparizioni. (altro…)
da Francesco Mandarini | Set 21, 2007
Non deve scandalizzare il fatto che siano stati i vertici romani a indicare i candidati a segretari regionali del nuovo partito democratico in tutte le regioni e,quindi, anche in Umbria. E’ questa la tesi espressa da Clara Sereni, coordinatrice per l’Umbria del comitato Veltroni. Una tesi che va discussa senza pregiudizi ma partendo da ciò che oggi sono diventati i partiti politici. Per chi, come me, ha vissuto per diversi decenni in un partito, il PCI, in cui vigeva il centralismo democratico come metodo di discussione e decisione, non colpisce più di tanto che sia il Centro che fissa di fatto linee politiche e anche la “filosofia” nella formazione dei gruppi dirigenti. Succedeva anche nei vecchi partiti di massa, ma nella mia esperienza ciò avveniva all’interno di un meccanismo di selezione ben diverso dalla rigida consonanza con il leader. Ad esempio, sembrerà strano, ma l’autonomia locale dei gruppi dirigenti era un vincolo molto forte di cui il Centro doveva tener ben conto.
Pietro Ingrao è stato capolista in Umbria per decenni nonostante che le sue idee politiche fossero in netta minoranza a Roma e in Umbria. Il sottoscritto è stato segretario di federazione per tanti anni pur se portatore di idee spesso diverse dalla maggioranza del partito umbro. In quella stagione politica, cara Sereni, vigeva il noi e non l’io, e il noi significava anche noi umbri.
Soltanto con l’occhettismo scattarono ad ogni livello i meccanismi della “squadra” coesa attorno al Capo. La coordinatrice ha l’ambizione di ripristinare nel nuovo partito una visione meno personalistica della gestione politica. Bene. Basta sapere che l’impresa sarà titanica. E la premessa di un uomo solo al comando non sembrerebbe un buon inizio. La personalizzazione della politica è figlia dell’implosione dei partiti tradizionali e la catastrofe che si è prodotta è sotto gli occhi di tutti. Il berlusconismo ha permeato la società italiana inclusa la sua classe dirigente politica di tutte le latitudini.
E se l’estremismo è stata la malattia infantile del comunismo, la leaderite è certamente la malattia senile del riformismo contemporaneo. Non sottovaluto affatto la difficoltà di costruire un partito nuovo e sarebbe una tragedia per la democrazia se il tentativo in atto dei diessini e margheritini fallisse.
Le cronache quotidiane dimostrano il rifiuto di massa dell’esperienza politica e restituire un senso all’agire politico non è affatto semplice. Quello che è certo è che la strada scelta con le primarie sembra perigliosa, molto artificiosa e rivolta al ceto politico più che ai comuni mortali. Le primarie sono utilizzate negli USA per scegliere candidati alla gestione della cosa pubblica e non leader di partito. Comunque, cosa fatta capo ha. (altro…)
da Francesco Mandarini | Set 12, 2007
Il candidato, anzi la candidata a segretario del Partito Democratico dell’Umbria c’è. Al momento in cui scrivo non se ne conosce il nome. E’ certo che sarà una donna espressa dalla Margherita. La cosa è stata decisa a Roma e ai diessini nostrani non è rimasto che chinare il capo e ubbidire a Fassino, Rutelli e Veltroni. Non c’è molto da meravigliarsi. Niente di nuovo sotto il sole. Sono ormai molte le occasioni che da Roma vengono imposte candidature, incarichi e quanto d’altro in dispregio di qualsiasi rispetto dell’autonomia regionale che, sposato il federalismo, dovrebbe essere assicurata nella formazione di liste o organismi.
E’ noto che nel 2005 furono addirittura imposti da Roma assessori regionali sulla cui qualità qualche dubbio persisteva in molti, ma il Capo romano aveva le sue esigenze da soddisfare.
Vizio antico la subalternità dei gruppi dirigenti locali umbri al Centro. Chi non ricorda l’imposizione di Adornato come parlamentare dell’Umbria? Chi non rammenta il parlamentare verde collocato nell’Alta valle del Tevere in dispregio di qualsiasi rispetto delle volontà della comunità locale?
Nelle ultime elezioni politiche tutti e diconsi tutti i membri del Parlamento furono scelti dalle oligarchie romane senza che gli elettori potessero far altro che votare il simbolo di partito. Anche in presenza dell’orrenda legge elettorale voluta da Berlusconi, l’Unione poteva inventarsi qualche meccanismo di consultazione. Non lo fecero e decisero tutto tra loro.
Il rapporto tra periferia e Roma è sempre stato complesso, ma sperare che il “nuovo” partito in formazione scegliesse metodologie diverse dal passato aveva una sua logica. Ed è vero che una fusione a freddo quale è quella tra DS e Margherita richiede uno sforzo ed un equilibrio tra gli sponsali. Pensare ad un DS “pigliatutto” era un errore. La questione è molto banale: l’Umbria è considerata da tempo un serbatoio di voti governata da una classe dirigente il cui unico destino sembra essere quello di rapportarsi all’oligarca romano di turno nella gestione del partito. Tutti occhettiani, poi dalemiani, poi veltroniani e poi dalemiani e poi ancora veltroniani. Comunque sempre con chi comanda. Un gioco dell’oca che è servito a garantire carriere politiche infinite, ma che ha annichilito qualsiasi autonomia dei gruppi dirigenti locali. D’altra parte la feudalizzazione della politica comporta un principe, dei feudatari e dei vassalli. L’autodeterminazione non rientra nello schema della politica personalizzata: è il Centro che sceglie linee politiche e protagonisti della gestione. Così, da molti anni, il dissenso nei diessini umbri viene esercitato da qualche anima bella e in genere non lascia traccia. La politica come carriera personale richiede qualche sacrificio. E cambiar opinione e leader di riferimento non è un delitto.
Qualche perplessità nasce in chi ha considerato la scelta di sparigliare il sistema politico italiano attraverso un partito con nuove idealità . (altro…)
da Francesco Mandarini | Set 10, 2007
Il nostro è un Paese noto nel mondo non solo per i suoi poeti, santi e navigatori. Anche i grandi pensatori politici italiani hanno fatto e fanno scuola nelle università di tanti Paesi. Per molti decenni la storia politica e le elaborazioni politiche dei partiti italiani hanno costituito punto di riferimento in tante parti del globo. La nostra Carta Costituzionale è ancor oggi considerata tra le più moderne ed efficaci tra quelle dei Paesi democratici. La nostra “scuola” di filosofia politica continua a produrre intelligenze ed ottimi studi. Studi che però non hanno alcuna incidenza concreta nel dibattito politico. Purtroppo la tradizione e la scienza politica che si produce nelle nostre università non sono servite a generare un ceto politico capace di gestire le contraddizioni di un mondo globalizzato. Si legge poco, si studia meno. Si naviga a vista. Anche leader politici di indubbia cultura politica (e ce ne sono) preferiscono seguire la moda della dichiarazione ad ogni costo. Si improvvisa ogni giorno con il solo scopo di apparire nei giornali o in TV.
Ciò che ormai prevale è un provincialismo che costringe i vari leader della sinistra e del centrosinistra in genere, a seguire modelli istituzionali vigenti in altri paesi. Chi vuole il presidenzialismo all’americana, chi il semipresidenzialismo alla francese, chi il modello tedesco. Berlusconi continua a giocare e ogni volta che sembra raggiunto un qualche accordo di riforma del sistema elettorale, cambia idea e chiede le dimissioni di Prodi. Una parte dei costruttori del PD, supportati dalla “libera” stampa e dalle sparate di Montezemolo hanno in mente la filosofia politica del blairismo: scalzare la destra attraverso l’incorporazione dell’ideologia della destra. E’ noto che Tony Blair è stato al potere per tanti anni applicando le ricette della signora Margaret Thatcher. Svuotamento del ruolo delle Trade Unions, privatizzazioni, mercato come esclusivo vincolo. Il risultato è un Paese, la Gran Bretagna, che ha il record europeo per la forbice tra la ricchezza di pochi e la povertà di molti. Le leggendarie ferrovie inglesi dell’ottocento e del novecento, sono diventate una catastrofe costosissima. Il sistema sanitario britannico, fiore all’occhiello per tanti decenni, garantisce servizi di gran lunga inferiori a quelli che si hanno nel nostro Paese. Uscito Blair di scena, il New Labour è passato dal 25% delle intenzioni di voto al 40%. La fine del caro Tony è stata considerata una liberazione dal popolo, hanno scritto i giornali inglesi. (altro…)