Dichiarazione a “Repubblica” di Walter Veltroni: “Il PD italiano sarà  come il partito democratico americano e i laburisti inglesi. Questa è l’ispirazione politica, alla quale aggiungiamo la matrice culturale italiana, le nostre storie particolari.”.
Troppa grazia Sant’Antonio, si potrebbe dire. Il candidato leader del PD mette insieme modelli di partito, molto differenti tra loro, che hanno origine in un contesto istituzionale radicalmente diverso da quello del bel Paese.
Negli USA vige una repubblica presidenziale che contempla l’assoluta autonomia di Senato e Camera dei Rappresentanti. In Inghilterra funziona una monarchia che non ha alcuna influenza sul sistema politico. Il premier non è eletto dal popolo, ma dal partito. Tony Blair, dopo aver vinto le elezioni, è stato rimosso attraverso una riunione del New Labour. Esattamente come successe a Margaret Thatcher.  Il primo ministro inglese può sciogliere il Parlamento quando vuole. Il “grande” Bush ha il potere di mettere veti ai deliberati del Senato, ma non può mandare a casa i senatori. Un presidente americano può essere rimosso esclusivamente attraverso il meccanismo dell’impeachment. Il New Labour nonostante la cura Blair ha le sue radici nel mondo del lavoro. Sono le Trade Union, i sindacati, che finanziano in modo decisivo il partito. Il PD americano funziona in prevalenza attraverso i finanziamenti delle grandi corporation economiche.
Il rincorrere sistemi politici esteri è pericoloso. Ogni impianto istituzionale è frutto della storia della nazione.
L’Italia è una repubblica parlamentare e ciò, giova ricordarlo, è stato confermato soltanto un anno fa con un referendum al quale ha partecipato la maggioranza del popolo.
E’ certo possibile e necessario riformare le istituzioni democratiche italiane.
Superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari, agevolare l’azione di governo con regolamenti parlamentari più efficaci. Tutto ciò è fondamentale e deve essere nell’agenda politica del PD italiano, ma senza stravolgere il dettato Costituzionale che assegna alla rappresentanza parlamentare il diritto dovere di esercitare il potere legislativo anche in conflitto con il governo.
L’ansia di Veltroni nel fare proposte è certo giustificata dal degrado della situazione politica.
Sarà  un ottobre di ferro e fuoco per il governo dell’Unione. Finanziaria, scioperi, manifestazioni mettono a leva la tenuta della coalizione.
Quando Prodi si vede costretto ad emettere giudizi sulla qualità  di un talk show per soddisfare le esigenze poste da Mastella, siamo alla frutta. Quando un ministro importante, Di Pietro, presenta una proposta di legge assieme ad uno dei leader, Fini, dell’opposizione significa che siamo all’impazzimento della classe politica.
Non sono un appassionato della politica in televisione. Continua a stupirmi constatare che incide più negli atteggiamenti dei leader politici una trasmissione televisiva che un’assemblea di lavoratori che approva o respinge una proposta politica.
Ritengo allarmante che nonostante il consenso generale sull’esigenza di riformare le istituzioni non si compiano atti radicali che segnino una svolta nel rapporto tra l’azione politica e i bisogni della gente.
I giornali sono pieni di dotti articoli di opinion maker che continuano a descrivere il disagio non solo economico di parti consistenti del popolo italiano. La rabbia cresce, scrivono.
Gli stessi giornali definiscono estremistica l’esigenza posta da una parte della coalizione del governo di riequilibrare la distribuzione del reddito anche attraverso la tassazione delle rendite finanziarie.
La sinistra è messa male. Non può essere la sinistra ad interrompere l’esperienza di governo dell’Unione, si dice con ragione. Ma l’Unione di fatto non esiste più e la sinistra rischia di perdere ulteriormente credibilità  se non si differenzia su certe scelte del governo. Differenziarsi potrebbe costituire l’alibi per i moderati che non aspettano altro per passare ad altre alleanze.
In molti, a sinistra, si chiedono ormai se vale la pena perdere l’anima per salvare un governo che è ostaggio dell’oltranzismo dei moderati. Un dubbio difficile da risolvere. Forse bisognerebbe riscoprire la politica come arte del possibile e scegliere dopo un bagno di democrazia di massa.
Si va concludendo la diaspora del vecchio PCI. Ci sono voluti molti anni, ma alla fine è stata fatta tabula rasa. Nessuna formazione politica può legittimamente rivendicare quell’eredità . E questo non è di per se un male. Quando una storia finisce è meglio lasciar perdere. Saranno gli storici ad analizzare quale significato ha avuto per la democrazia italiana la cultura politica dei comunisti del PCI.
Il partito democratico di cui Veltroni sarà  leader rischia di essere figlio di nessuno? Non credo. E’ una risposta alla crisi dei partiti di massa e il tentativo di riaggregare forze attorno ad un progetto politico dopo quindici anni di risposte sbagliate alla crisi della democrazia italiana. E’ la risposta giusta? Azzardato fare previsioni ma è certo che le “primarie” del 14 ottobre non risolveranno il dilemma. Il tentativo di ricostruire un contenitore che interrompe la diaspora socialista è un altro tratto di riaggregazione della sinistra. Per adesso sembra l’accorpamento del vecchio ceto politico exPSI con qualche exPCI. Niente di entusiasmante? Può essere, ma siamo certi che un partito del socialismo europeo non abbia uno spazio in Italia?
Una qualche fretta dovrebbero averlo i leader della sinistra a sinistra del PD e del nuovo PSI. Non c’è molto tempo. L’ondata dell’antipolitica può travolgere tutti. Le bandierine e gli orticelli dei micro partiti non salveranno dal disastro.

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