da Francesco Mandarini | Feb 27, 2000
La stagione elettorale è iniziata con la violenza verbale del
Cavalier Berlusconi. L’accusa al centrosinistra è di aver fondato
un regime. Un regime comunista, naturalmente. Come un qualsiasi
imbonitore di successo, Berlusconi sa che gli insulti, anche se
ridicolmente falsi, ripetuti, urlati, alla fine lasciano il segno.
La pubblicità non è tutta una costruzione di banali assurdità
ripetute in maniera ossessiva? Non si vende un prodotto perchè è
buono, si vende un’atmosfera, un’illusione.
Berlusconi dichiara illegittime le prossime elezioni regionali
soltanto perchè, con molto ritardo, si disciplina l’uso dei mass
media nella propaganda elettorale. Berlusconi sa bene di mentire.
Continua nella sua linea peronista che, si badi bene, è abbastanza
in sintonia con molti degli umori di fondo della gente e non solo
nel nostro Paese. L’Austria insegna.
Roma è tappezzata da manifesti di Alleanza Nazionale che dicono:
“Attenti ai brogli. Il 16 aprile non ti fare espropriare il voto”.
Si mettono le mani avanti rispetto ad una possibile sconfitta del
centro destra. Si dirà che la spinta all’astensionismo colpisce
più il centrosinistra e allora fa comodo che il Polo drammatizzi
le elezioni regionali, aumenterà la mobilitazione dell’elettorato
del centrosinistra. L’impressione è che mistificando così si rende
ancora più fragile la democrazia del nostro Paese.
L’anomalia italiana ha cambiato segno: un tempo era il Paese
europeo con la sinistra comunista più forte. Oggi l’anomalia sta
tutta nel tipo di destra e nella leadership berlusconiana. E’ da
non sottovalutare il lavoro fatto in questi anni da Berlusconi per
accreditarsi come un moderato spendibile nel mercato del liberismo
imperante. L’adesione ai Popolari Europei è stato un indubbio
successo di Forza Italia e una sconfitta per i popolari italiani.
Tornando alle origini Forza Italia, il Polo sarebbe meglio dire,
mette sempre al primo posto gli interessi materiali del suo Capo.
Così è stato per la legge sulla regolamentazione degli spazi
televisivi. Il Polo ha messo in moto al grido “libertà “ tutti i
mezzi disponibili: manifesti, spot a migliaia, aerei in cielo con
striscioni, presentatori e ballerine delle reti Mediaset.
Affrontare, con qualche anno di ritardo, la questione del
conflitto d’interessi di Berlusconi rischia di causare la terza
guerra mondiale.
C’è una certezza assoluta: l’incapacità del centrosinistra di
scegliere i tempi nel fare le cose. Non si pongono nemmeno il
problema di perchè, nonostante che il Governo del Paese e tanta
parte del Governo Locale siano diretti da uomini e donne dei
Partiti che formano la coalizione, il consenso e i voti non
aumentino anzi. Le sinistre italiane sono numerose come sigle.
Tutte al loro minimo storico.
Stupisce la debolezza della risposta delle forze politiche del
centrosinistra, il silenzio rumoroso di tanta parte
dell’intellettualità italiana, la quasi indifferenza del movimento
sindacale, rispetto allo stato della democrazia italiana, sul vero
e proprio tracollo del rapporto politica con i cittadini. Si
preferisce discutere su chi dovrà essere il leader per le elezioni
del 2001 indebolendo il già fragile Governo D’Alema.
Forme di schizofrenia politica prevalgono sulla limpidezza delle
posizioni. Pannella e la Bonino fanno accordi con Berlusconi?
Veltroni richiama tutti al dovere di discutere con il duetto più
amato d’Italia perchè: “Tante cose ci uniscono ai radicali”.
Quali? Non è dato sapere. Lo spinello libero non ci sembra
sufficiente per un alleanza con i liberisti più liberisti
d’Italia.
Il congresso di Torino rivendica il legame con la Socialdemocrazia
Europea. Veltroni organizza i Diesse come un partito americano. Ci
si inventa il fund raiser (cercatore di sottoscrizioni) tipica
figura del Partito di Clinton.
Il fascista Haider promette guerra agli immigrati e agli
emarginati. Il Ministro Bianco propone di mandare in galera dopo
il primo grado di giudizio a prescindere dalla Costituzione su cui
ha giurato fedeltà .
Si riapre la possibilità di un accordo Centrosinistra-
Rifondazione. Il PCDI si sente discriminato e strilla l’esigenza
di valorizzare gli unici comunisti doc. Naturalmente sarebbero
loro.
Come ci orientiamo noi poveracci che dovremo votare tra un mese?
Il rigetto del berlusconismo sarà sufficiente ad evitare altre
ondate di astensione di massa del popolo della sinistra?
Vengono al pettine gli intrecci di una stagione politica in cui la
sinistra di governo italiana ha smarrito ogni senso di sè, della
sua storia, dei suoi doveri. Si doveva andare oltre le tradizioni
del movimento operaio non appiattirsi sull’esistente.
Se si esaminano bene le cose quanto sta succedendo ciò è
certamente dovuto a scelte incaute dei dirigenti del
centrosinistra, l’elenco degli errori sarebbe lungo. Ma non si è
trattato di errori non voluti. Lo stato delle cose è frutto di una
scelta consapevole e convinta dei tanti, intellettuali, militanti
e dirigenti politici, che ritengono applicabile in Italia il
modello del maggioritario secco che vige in Inghilterra e negli
Stati Uniti come risposta alla crisi democratica. Il sistema
maggioritario come nuova ideologia.
I fattori di svolta sono stati molti. Ne citò soltanto due: il
referendum guidato da Segni contro la quota proporzionale; la
legge per l’elezione diretta dei sindaci.
Questi due momenti, dell’ultimo decennio, hanno significato la
morte della Repubblica fondata sui partiti di massa molto più che
i colpi venuti da Tangentopoli al sistema politico corrotto. Non
si è voluto riformare i partiti, si è coscientemente scelta la
strada della loro distruzione. Si è agito per governi “forti” e
per assemblee elettive senza poteri reali.
Che cosa si vuol dire? Eleggere direttamente il sindaco ha tolto,
finalmente, alle segreterie dei partiti il potere di decidere? Sì,
ma ha sostituito quel potere con un altro potere. Quello personale
del candidato e quello delle oligarchie che selezionano il
candidato. Nessun rimpianto per i vecchi metodi, ma dovremo pur
riflettere sulle conseguenze di una scelta di sistema elettorale
di tipo presidenziale. Questo sistema ha creato una nuova figura
politica. Un leader che con una propria squadra, risponde una
volta eletto, soltanto agli elettori. Non ha più bisogno di
strutture politiche di sostegno, i partiti politici divengono
obsoleti esattamente come le assemblee elettive. L’unica forma di
aggregazione reale è quella dei comitati elettorali che, come è
ovvio, servono per le elezioni e non per discussioni politiche.
Come si è visto, poi, alcuni di questi nostri Sindaci sanno far di
tutto un po’. Parlamentari europei, dirigenti di movimenti,
Ministri della Repubblica, alcuni corrono per diventare
Governatori (i prossimi Presidenti di Regione). Alcuni hanno una
visione dell’opportunità politica molto particolare e tutte dovute
alle loro esigenze personali. Ognuno di loro potenzialmente è un
piccolo partito e agisce come tale.
Tentato il Movimento dei Sindaci, alcuni si accontentano di una
carriera politica che non deve mai avere limiti. L’elezione
diretta dei presidenti di giunta regionale prosegue, enfatizza,
questa scelta istituzionale. E’ questa la personalizzazione della
politica.
Non bisogna essere provinciali.
Questo processo non è stato inventato nè da Segni nè da Veltroni
nè da Rutelli. E’ quanto successo, ormai da molti anni, negli
Stati Uniti. Non è un sistema politico perfetto. Funziona così,
così, a me non piace. Il popolo americano vota poco, ma questo
rientra nelle loro tradizioni e poi l’importante è vincere anche
con pochi votanti. Per essere eletti in America bisogna avere
tantissimi soldi le campagne elettorali durano mesi e costano
tanto. Una volta eletto il deputato o il senatore, per essere
confermato, ha bisogno di molti fund raiser e molti lobbisti che
pagano, ma le leggi di quel Paese lo consentono (da noi no). E’
noto che il ricambio delle classi politiche in America è tra i più
lenti del mondo. Se entri al Senato o alla Camera hai molte
possibilità di ritornarci per molte volte, basta assecondare i
lobbisti. Forse anche per questo il sistema piace ai nostri
innovatori al potere. Il futuro è assicurato. La cosa non deve
scandalizzare più di tanto. Quando la politica cessa di essere
strumento di mutamento della condizione umana per divenire
strumento passivo dell’economia è logica il prevalere di una
visione particolaristica della vita democratica. Non più leader
politici, ma gestori dell’esistente.Riformisti che non fanno
riforme. Innovatori che non innovano. Galleggiano su un esistente
non da loro determinato e che non riusciranno a modificare.
Micropolis febbraio 2000
da Francesco Mandarini | Feb 27, 2000
La stagione elettorale è iniziata con la violenza verbale del
Cavalier Berlusconi. L’accusa al centrosinistra è di aver fondato
un regime. Un regime comunista, naturalmente. Come un qualsiasi
imbonitore di successo, Berlusconi sa che gli insulti, anche se
ridicolmente falsi, ripetuti, urlati, alla fine lasciano il segno.
La pubblicità non è tutta una costruzione di banali assurditÃ
ripetute in maniera ossessiva? Non si vende un prodotto perché è
buono, si vende un’atmosfera, un’illusione.
Berlusconi dichiara illegittime le prossime elezioni regionali
soltanto perché, con molto ritardo, si disciplina l’uso dei mass
media nella propaganda elettorale. Berlusconi sa bene di mentire.
Continua nella sua linea peronista che, si badi bene, è abbastanza
in sintonia con molti degli umori di fondo della gente e non solo
nel nostro Paese. L’Austria insegna.
Roma è tappezzata da manifesti di Alleanza Nazionale che dicono:
“Attenti ai brogli. Il 16 aprile non ti fare espropriare il votoâ€.
Si mettono le mani avanti rispetto ad una possibile sconfitta del
centro destra. Si dirà che la spinta all’astensionismo colpisce
più il centrosinistra e allora fa comodo che il Polo drammatizzi
le elezioni regionali, aumenterà la mobilitazione dell’elettorato
del centrosinistra. L’impressione è che mistificando così si rende
ancora più fragile la democrazia del nostro Paese.
L’anomalia italiana ha cambiato segno: un tempo era il Paese
europeo con la sinistra comunista più forte. Oggi l’anomalia sta
tutta nel tipo di destra e nella leadership berlusconiana. E’ da
non sottovalutare il lavoro fatto in questi anni da Berlusconi per
accreditarsi come un moderato spendibile nel mercato del liberismo
imperante. L’adesione ai Popolari Europei è stato un indubbio
successo di Forza Italia e una sconfitta per i popolari italiani.
Tornando alle origini Forza Italia, il Polo sarebbe meglio dire,
mette sempre al primo posto gli interessi materiali del suo Capo.
Così è stato per la legge sulla regolamentazione degli spazi
televisivi. Il Polo ha messo in moto al grido “libertà †tutti i
mezzi disponibili: manifesti, spot a migliaia, aerei in cielo con
striscioni, presentatori e ballerine delle reti Mediaset.
Affrontare, con qualche anno di ritardo, la questione del
conflitto d’interessi di Berlusconi rischia di causare la terza
guerra mondiale.
C’è una certezza assoluta: l’incapacità del centrosinistra di
scegliere i tempi nel fare le cose. Non si pongono nemmeno il
problema di perché, nonostante che il Governo del Paese e tanta
parte del Governo Locale siano diretti da uomini e donne dei
Partiti che formano la coalizione, il consenso e i voti non
aumentino anzi. Le sinistre italiane sono numerose come sigle.
Tutte al loro minimo storico.
Stupisce la debolezza della risposta delle forze politiche del
centrosinistra, il silenzio rumoroso di tanta parte
dell’intellettualità italiana, la quasi indifferenza del movimento
sindacale, rispetto allo stato della democrazia italiana, sul vero
e proprio tracollo del rapporto politica con i cittadini. Si
preferisce discutere su chi dovrà essere il leader per le elezioni
del 2001 indebolendo il già fragile Governo D’Alema.
Forme di schizofrenia politica prevalgono sulla limpidezza delle
posizioni. Pannella e la Bonino fanno accordi con Berlusconi?
Veltroni richiama tutti al dovere di discutere con il duetto più
amato d’Italia perché: “Tante cose ci uniscono ai radicaliâ€.
Quali? Non è dato sapere. Lo spinello libero non ci sembra
sufficiente per un alleanza con i liberisti più liberisti
d’Italia.
Il congresso di Torino rivendica il legame con la Socialdemocrazia
Europea. Veltroni organizza i Diesse come un partito americano. Ci
si inventa il fund raiser (cercatore di sottoscrizioni) tipica
figura del Partito di Clinton.
Il fascista Haider promette guerra agli immigrati e agli
emarginati. Il Ministro Bianco propone di mandare in galera dopo
il primo grado di giudizio a prescindere dalla Costituzione su cui
ha giurato fedeltà .
Si riapre la possibilità di un accordo Centrosinistra-
Rifondazione. Il PCDI si sente discriminato e strilla l’esigenza
di valorizzare gli unici comunisti doc. Naturalmente sarebbero
loro.
Come ci orientiamo noi poveracci che dovremo votare tra un mese?
Il rigetto del berlusconismo sarà sufficiente ad evitare altre
ondate di astensione di massa del popolo della sinistra?
Vengono al pettine gli intrecci di una stagione politica in cui la
sinistra di governo italiana ha smarrito ogni senso di sé, della
sua storia, dei suoi doveri. Si doveva andare oltre le tradizioni
del movimento operaio non appiattirsi sull’esistente.
Se si esaminano bene le cose quanto sta succedendo ciò è
certamente dovuto a scelte incaute dei dirigenti del
centrosinistra, l’elenco degli errori sarebbe lungo. Ma non si è
trattato di errori non voluti. Lo stato delle cose è frutto di una
scelta consapevole e convinta dei tanti, intellettuali, militanti
e dirigenti politici, che ritengono applicabile in Italia il
modello del maggioritario secco che vige in Inghilterra e negli
Stati Uniti come risposta alla crisi democratica. Il sistema
maggioritario come nuova ideologia.
I fattori di svolta sono stati molti. Ne citò soltanto due: il
referendum guidato da Segni contro la quota proporzionale; la
legge per l’elezione diretta dei sindaci.
Questi due momenti, dell’ultimo decennio, hanno significato la
morte della Repubblica fondata sui partiti di massa molto più che
i colpi venuti da Tangentopoli al sistema politico corrotto. Non
si è voluto riformare i partiti, si è coscientemente scelta la
strada della loro distruzione. Si è agito per governi “forti†e
per assemblee elettive senza poteri reali.
Che cosa si vuol dire? Eleggere direttamente il sindaco ha tolto,
finalmente, alle segreterie dei partiti il potere di decidere? Sì,
ma ha sostituito quel potere con un altro potere. Quello personale
del candidato e quello delle oligarchie che selezionano il
candidato. Nessun rimpianto per i vecchi metodi, ma dovremo pur
riflettere sulle conseguenze di una scelta di sistema elettorale
di tipo presidenziale. Questo sistema ha creato una nuova figura
politica. Un leader che con una propria squadra, risponde una
volta eletto, soltanto agli elettori. Non ha più bisogno di
strutture politiche di sostegno, i partiti politici divengono
obsoleti esattamente come le assemblee elettive. L’unica forma di
aggregazione reale è quella dei comitati elettorali che, come è
ovvio, servono per le elezioni e non per discussioni politiche.
Come si è visto, poi, alcuni di questi nostri Sindaci sanno far di
tutto un po’. Parlamentari europei, dirigenti di movimenti,
Ministri della Repubblica, alcuni corrono per diventare
Governatori (i prossimi Presidenti di Regione). Alcuni hanno una
visione dell’opportunità politica molto particolare e tutte dovute
alle loro esigenze personali. Ognuno di loro potenzialmente è un
piccolo partito e agisce come tale.
Tentato il Movimento dei Sindaci, alcuni si accontentano di una
carriera politica che non deve mai avere limiti. L’elezione
diretta dei presidenti di giunta regionale prosegue, enfatizza,
questa scelta istituzionale. E’ questa la personalizzazione della
politica.
Non bisogna essere provinciali.
Questo processo non è stato inventato né da Segni né da Veltroni
né da Rutelli. E’ quanto successo, ormai da molti anni, negli
Stati Uniti. Non è un sistema politico perfetto. Funziona così,
così, a me non piace. Il popolo americano vota poco, ma questo
rientra nelle loro tradizioni e poi l’importante è vincere anche
con pochi votanti. Per essere eletti in America bisogna avere
tantissimi soldi le campagne elettorali durano mesi e costano
tanto. Una volta eletto il deputato o il senatore, per essere
confermato, ha bisogno di molti fund raiser e molti lobbisti che
pagano, ma le leggi di quel Paese lo consentono (da noi no). E’
noto che il ricambio delle classi politiche in America è tra i più
lenti del mondo. Se entri al Senato o alla Camera hai molte
possibilità di ritornarci per molte volte, basta assecondare i
lobbisti. Forse anche per questo il sistema piace ai nostri
innovatori al potere. Il futuro è assicurato. La cosa non deve
scandalizzare più di tanto. Quando la politica cessa di essere
strumento di mutamento della condizione umana per divenire
strumento passivo dell’economia è logica il prevalere di una
visione particolaristica della vita democratica. Non più leader
politici, ma gestori dell’esistente.Riformisti che non fanno
riforme. Innovatori che non innovano. Galleggiano su un esistente
non da loro determinato e che non riusciranno a modificare.
Micropolis febbraio 2000
da Francesco Mandarini | Ott 18, 1999
Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc….). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: â€Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.†In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto†a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà avere. L’affidabilità politica e
amministrativa e’ qualità richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità , ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà , quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999
da Francesco Mandarini | Ott 18, 1999
Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc”¦.). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: “Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.” In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto” a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà avere. L’affidabilità politica e
amministrativa e’ qualità richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità , ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà , quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999
da Francesco Mandarini | Ott 1, 1999
Bisogna guardare ai fatti con molta freddezza e con molto rigore. La
sconfitta a livello continentale (Europa) delle forze del centro destra,
proprio nel momento di maggiore credibilità del neoliberismo, è seguita
all’affermazione di Clinton sui repubblicani in Usa. Queste vittorie non
hanno spostato di una virgola i processi di costruzione di un’economia e
conseguentemente di società completamente sottomesse alla ferrea logica
del mercato “libero”.
Non era mai successo nella storia, che le forze politiche di
centrosinistra governassero globalmente il mondo occidentale. Va
sottolineato il fatto che ciò è avvenuto nel decennio del crollo di tutto
ciò che era riconducibile al così detto “socialismo reale”. Sono
scomparsi Stati, Partiti, Movimenti politici che avevano segnato la
storia di questo secolo e di quest’implosione ne hanno tratto forza le
socialdemocrazie di vecchia tradizione, nuove formazioni di sinistra
(NewLabour) e i nuovi Partiti postcomunisti tipo PDS/Ds. in Italia.
Nel nostro Paese, però, la sinistra non è stata mai, nel dopoguerra, così
debole sia dal punto di vista organizzativo che da quello elettorale.
Tutti i Partiti riconducibili a qualche forma di sinistra (di governo,
alternativa, ambientalista e via dividendo), non raggiungono la
percentuale di voti del disciolto PCI. Gli iscritti pochi, strumenti
d’informazione inesistenti, riferimenti sociali sconosciuti, movimenti di
massa annichiliti.
Debolezze strutturali rese più gravi dovendo gestire un potere
straordinario: governo del Paese, governo di gran parte delle
amministrazioni regionali e locali, gestione di tutti gli apparati
pubblici. Legame forte con l’internazionale socialista, consonanza con
l’Amministrazione Clinton.
La consonanza è stata tale che”¦.. si è iniziata una guerra.
Al peggio non c’è mai fine. Così si potrebbe iniziare una riflessione
sulla sinistra e sulla politica in genere. Ci stavamo quasi abituando al
fatto che la politica avesse lasciato il posto all’economia, adesso la
politica ha lasciato il posto alle portaerei, ai missili, alle bombe
intelligenti che, nel caso specifico, sono comandate da quel generale
Clark che ci comunica di non aver timore della terza guerra mondiale. La
poderosa macchina da guerra della NATO di Clinton è invincibile.
Pazzesco? No, la cronaca quotidiana di un linguaggio militarista che ha
reso commentatori e intellettuali, professionisti dei bollettini di
battaglie che si commuovono quando arriva in Italia qualche Generale
della Nato e ci propinano ciò che la NATO vuole. Ci si vuol convincere
che esistono anche i missili”¦Umanitari e che se non ci piacciono siamo
imbelli, incapaci di capire le esigenze della guerra “umanitaria”. Il
fatto, poi, che l’obiettivo di difendere le popolazioni del Kosovo sia
miseramente fallito e che i bombardamenti abbiano invece accelerato la
pulizia etnica, lascia i nostri commentatori fermi nelle loro convinzioni
sulla guerra giusta. Kissinger, lo stesso Ministro Dini, affermano che a
Rambouillet si è proposto un accordo truffa per Miloseivic, queste
affermazioni non alimentano sospetti nelle reali intenzioni di Clinton.
Nessun dubbio, mai, rispetto alla poderosa propaganda degli alleati che
trasforma le povere vittime serbe o kosovare, in effetti collaterali
delle bombe. Vogliono toglierci anche la dignità d’indignarci, con una
mistificazione continua e martellante dei fatti e delle responsabilità .
Nessuno di noi, soltanto poche settimane fa, avrebbe immaginato di
trovarsi nel pieno di una guerra non dichiarata ma che ha già prodotto
morti, distruzioni a poche centinaia di chilometri da noi.
Una guerra cercata e voluta da Clinton, ma accettata da tutte le
socialdemocrazie europee unite alla destra politica in questa scelta
scellerata di una guerra “etica” teorizzata dagli integralisti
angloamericani, ma ben accettata dal segretario dei Democratici di
Sinistra.
L’Europa diviene colonia americana nel momento in cui si festeggiava la
“vittoria” dell’EURO che nasceva. Clinton ordina l’attacco, gli europei
si accodano ubbidienti.
Non so quando e come finirà .
So per certo che oltre le macerie fisiche, ci saranno da rimuovere quelle
di una sinistra che ormai ha smarrito qualsiasi capacità di guardare alle
cose del mondo con occhi diversi da quelli dell’Amministrazione
americana. Una sinistra che ha smarrito ogni capacità di critica dello
stato di cose esistente L’americanizzazione ha raggiunto e plasmato
totalmente il senso comune di dirigenti, intellettuali, sindacalisti, ma
anche il comune sentire di gran parte del “popolo” della sinistra
europea, incapace come non mai di manifestare un dissenso efficace
rispetto alle scelte dei propri leader. Completamente annichiliti dalla
violenta propaganda di tutti i mezzi d’informazione, ci si sta
cominciando ad abituare ad essere un Paese in guerra. Si, in una guerra
che produrrà nuovi morti, nuove distruzioni, nuove miserie economiche,
altre pulizie etniche.
Una guerra gestita direttamente anche da uomini e donne della sinistra
europea.
Spesso abbiamo parlato di una deriva della sinistra. La deriva è finita.
Oggi siamo di fronte ad una catastrofe in cui si sono smarriti tutti i
referenti di un movimento che voleva cambiare il mondo e che alla fine si
è ritrovato smarrito, frastornato, senza più parole per descrivere la
propria diaspora ideale.
Sembrerebbe non ci siano più ragioni per la sinistra se non quelle delle
solitarie testimonianze di diversità rispetto all’onda lunga del
conformismo.
Non si tratta di subalternità nei confronti della potenza USA.
Si tratta, bisogna capirlo di una totale consonanza, di un comune sentire
che non inizia oggi con la guerra, ma ha avuto tappe, occasioni in cui
dirigenti della sinistra italiana ed Europea hanno accettato l’arroganza
americana come la giusta medicina per il governo del mondo.
Non tutti hanno detto si a questo dominio e così minoranze, non solo
riconducibili alla sinistra comunista, hanno continuato ad argomentare e,
in certe occasioni, a lottare contro. Ma con quali limiti!
Esemplare da questo punto di vista e ciò che non è successo in Umbria. La
nostra terra è stata protagonista per decenni (tutto inizia nel lontano
settembre del 1960 con Capitini) di lotte per la pace in tempi in cui era
difficile schierarsi contro la guerra fredda per le rigidità dei campi
avversi.
Eppure tante volte si sono mobilitate masse significative contro la
guerra, qualsiasi guerra. Oggi le forze istituzionali e di associazioni
che si sono date l’esclusiva dei movimenti per la pace, non hanno trovato
il modo di andare oltre generiche e flebili iniziative. Ancora oggi, al
momento in cui scrivo, ad un mese dall’inizio dei bombardamenti, non si è
avuto il coraggio di indire un’iniziativa generale di mobilitazione come
una marcia straordinaria “Perugia Assisi”. Com’è possibile? Quale
credibilità si potrà avere nel futuro? E’ previsto dal regolamento
dell’Associazione per la Pace che le marce si fanno a ricorrenza fissa?
Capisco l’imbarazzo, quando si deve passare dal buonismo alla dura realtà
che si entra in conflitto con il Governo di Centrosinistra, è più
semplice l’inerzia. Anche ciò rende ancora più laceranti le divisioni
della sinistra e con le forze democratiche in Italia e nel continente.
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Non poteva essere altrimenti anche perchè in Europa la guerra della Nato
ha trovato l’accordo di tutti i governi di centrosinistra e poche,
beffeggiate, aggredite dalla quasi totalità dei mass media, sono state le
forze politiche e intellettuali che hanno cercato di dire il loro no alla
guerra. Il tentativo è stato quello di presentare i dissidenti come
complici della pulizia etnica o come gli imbelli delle democrazie
occidentali che permisero l’ascesa di Hitler, provocando la seconda
guerra mondiale.
Non basta ripetere quasi ossessivamente il rifiuto netto e forte della
politica di Milosevic: se non si è d’accordo con i bombardamenti della
NATO, si è automaticamente responsabili delle sofferenze dei profughi.
Lo sforzo di mistificazione della propaganda non ha ancora prodotto
un’assuefazione totale. Manifestazioni continuano a svolgersi in tutta
Italia pur con evidenti limiti di partecipazione quantitativa e
qualitativa, anche se è palpabile il disagio di vedere soltanto pezzi
della sinistra, c’è chi continua a dire no alla guerra. Mi ha colpito
vedere la sede nazionale dei DS, in Via Botteghe Oscure, difesa dalla
polizia contro i manifestanti per la pace. Sta forse anche in questi
fatti emblematici, il segno di una sorta di parabola della forza politica
che si è dichiarata erede del più grande Partito Comunista
dell’occidente, parabola che giunge a conclusione proprio con la guerra.
Dopo, niente sarà più come prima, la mutazione si completa.
Così, alla tragedia della Yugoslavia, bisogna aggiungere la lacerazione
tra donne e uomini che hanno per tanti anni condiviso, pur scegliendo
strade e percorsi organizzativi diversi, progetti d’emancipazione e di
liberazione dei ceti più deboli della società italiana e mondiale.
Dalla consapevolezza piena di questa lacerazione si dovrà ripartire per
ricostruire un’analisi e una capacità d’aggregazione politica che si
faccia protagonista di una nuova stagione della sinistra.
Arrivano i risultati del referendum elettorale, bene. I demagoghi
all’Occhetto e alla Di Pietro, l’invito, scorretto, di D’Alema di votare
Si, non ha funzionato se non per alzare la percentuale dei votanti:
prendono tutti una bella sberla.
Noi non festeggiamo, non sono questi i tempi, ma certo guardiamo con
attenzione anche a questi segnali di crisi del regime del maggioritario
che si voleva imporre.
Giornale 1 ottobre 1999
da Francesco Mandarini | Set 6, 1999
La consuetudine, un tempo (credo che almeno questo non sia cambiato
molto) era quella di un uso morigerato dell’auto di rappresentanza.
Gli amministratori, di ogni livello, in Umbria non amavano andare in
giro con l’auto blue e, quando potevano, l’evitavano come se fosse un
segno del distacco dai cittadini. Si preferiva camminare per strada
senza impacci formali. Era quello anche un modo per ascoltare i pareri
e i giudizi degli amministrati. C’erano anche allora delle eccezioni.
Ricordo un assessore regionale che, tanti anni fa, si permise di
andare allo stadio con l’auto dell’Ente: fu sottoposto a così salaci
critiche che pensò bene di cambiare andando alla partita successiva,
come tutti, con la propria auto.
Una particolarità dell’Umbria? Credo di si. Siamo una piccola regione
e il controllo sociale ha sempre funzionato per evitare a tutti di
abusare delle proprie posizioni di potere, cercando di avere un
atteggiamento sempre sobrio anche quando l’incarico è di rilievo.
Con le dovute eccezioni, si può affermare che questo è stato ed è il
modo di essere della stragrande maggioranza degli amministratori
umbri. Coloro che, anche recentemente, hanno pensato di evitare il
diretto contatto con gli amministrati, teorizzando il distacco come se
fossero “Priori” della Perugia del cinquecento, sono stati rinviati
nei luoghi di lavoro originari.
In Umbria l’amministrare o il dirigere un Ente o un Partito, è sempre
stato facilitato da una società molto segnata da una tolleranza e un
rispetto reciproco. Certo anche qui qualche mascalzone scriveva e
scrive lettere anonime e chiacchiera a vanvera. Erano eccezioni.
Indubbiamente la qualità della vita, che tanti ci invidiano,
condizionava anche la società politica che in generale tendeva a
sollecitare, da parte dei dirigenti, comportamenti non arroganti.
Un atteggiamento di sobrietà non si è affermato per caso. L’Umbria è
segnata dalla storia di grandi movimenti di massa e da organizzazioni
sociali e politiche che ne hanno organizzato lo sviluppo economico, ma
anche civile. Anche i movimenti religiosi, in Umbria, hanno questo
segno della tolleranza e della modestia “francescana” come valore in
se.
Un Partito, un Associazione sociale o culturale è anche una comunità ,
piccola o grande non importa, in cui sono previsti comportamenti di
solidarietà e di lavoro comune, un comune sentire si potrebbe dire,
che esclude arroganze anche nelle forme esteriori: l’auto blue è
utilizzata quando non è possibile farne a meno. Essa non deve essere
uno status symbol, pena il ridicolo.
Anche per tutto ciò, colpisce che amministratori umbri sono costretti
a girare con la scorta della polizia. Nemmeno negli anni terribili del
terrorismo furono, in Umbria, necessari provvedimenti simili.
Al momento in cui scrivo, non si sa perchè, non si sa chi, ha colpito
il VicePresidente della Giunta Regionale Monelli. E’ chiaro però che
si voleva intimorire.
La storia è di rilevanza anche perchè per la nostra comunità questo
tipo di violenza è l’eccezione non la consuetudine, a differenza di
tante altre parti del Paese.
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Ci stiamo abituando forse a quella violenza minore fatta di scippi, di
furti in casa, di aggressioni che ormai fanno parte della cronaca anche
delle nostre città ?
Non credo. E mi sembrerebbe sbagliata qualsiasi sottovalutazione di
questi segnali sempre più forti anche nella nostra comunità . La tenuta
sociale è un bene prezioso che purtroppo non rientra sempre nelle
statistiche, ma conta molto. L’insicurezza aumenta anche nella nostra
comunità e a quella derivante dalla mancanza di lavoro si va aggiungendo
anche quella dovuta alla criminalità .
Non siamo stati mai un’isola felice, molti i problemi strutturali che non
siamo riusciti a risolvere. Nel complesso, però, rimaniamo una regione
che non vuole arretrare sul terreno della qualità della vita.
La violenza contro Monelli è inaccettabile prima di tutto perchè essa si
è rivolta a una persona mite. Ma principalmente perchè, il VicePresidente
,è persona impegnata a portare avanti interessi collettivi sia nella
ricostruzione sia nella gestione del territorio. Non è un fatto di
violenza qualsiasi. Esprimere solidarietà non è solo giusto, ma
necessario proprio perchè si è voluto colpire qualcuno che sta lavorando
con serietà e senso del dovere. Si può essere d’accordo o no con le
politiche dell’Ente Regione, si può dissentire. Ciò che non ci è
consentito è lasciare solo Monelli e gli altri amministratori costretti
alla scorta.
Chi pensa che l’essere scortati costituisca un privilegio sbaglia. Certo
c’è stato (ci sono ancora?) qualche arrogantone al potere che pretendeva
oltre l’auto blue anche una bella scorta, magari con la sirena accesa
sempre, ma queste sono altre storie. Proviamo ad immaginarci nel mirino
di qualcuno e si capirà che è meglio poter camminare a piedi in Corso
Vannucci o in Corso Tacito.
Giornale dell’Umbria 6 settembre 1999