da Francesco Mandarini | Giu 20, 2010
A scuola ci hanno insegnato che la storia è maestra di vita. Osservando ciò che succede nel mondo della politica e dell’economia viene spontaneo pensare che il ceto dirigente di storia ne abbia studiata poca. Parlano di modernità e ci propongono il ritorno all’ottocento o al modello di produzione asiatico.
Infatti, la destra politica ed economica presenta l’attacco all’articolo 41 della Costituzione come un esempio della modernità da dover perseguire nel nostro Paese e l’accordo Fiat per Pomigliano il massimo di una nuova, avanzatissima metodologia contrattuale da estendere a tutti i lavoratori. Le due cose, modifica costituzionale e contratto Fiat, vanno lette come frutto di un unico progetto. Un disegno che, se realizzato, porterà l’Italia a competere non con la Germania o con i Paesi nordici, ma con i trattamenti del lavoro vigenti in Cina o in Indonesia.
Dalla sua promulgazione ad oggi, non esiste una sola sentenza della Corte Costituzionale concernente l’articolo 41. Non c’è stato mai un imprenditore che abbia subito un danno dal rispetto dei principi previsti nella norma. Anzi, analizzando i dati dell’economia sommersa, degli incidenti sul lavoro, sull’evasione fiscale non sembra proprio che i vincoli all’imprenditorialità , denunciati da Tremonti e Sacconi, abbiano gran che funzionato.
Per essere innovativi e moderni bisogna comunque eliminarli anche formalmente assieme ai contratti nazionali di lavoro. Così che l’iniziativa privata possa svolgersi non solo liberamente ma a prescindere dalla sicurezza, dalla libertà dei lavoratori e dalla dignità umana e con contratti sempre più individuali. Duecento anni di avanzamento dei diritti del lavoro cancellati in nome della concorrenza, un bel salto di qualità . Così se in Germania gli imprenditori e i sindacati lavorano sull’innovazione di prodotto e su un’organizzazione del lavoro più efficace, qui da noi l’unico vincolo da superare è l’alto costo della produzione unito ad una Costituzione arcaica che impedisce la creatività imprenditoriale. Come se la bassa produttività dipendesse dalla cattiva volontà dei lavoratori e non da una bassa propensione all’investimento in ricerca e innovazione e dall’arretratezza di tutte le infrastrutture del Paese. Negare che la burocrazia italiana va destruttura e innovata profondamente sarebbe una sciocchezza. La farraginosità dei controlli e dei permessi per aprire un’attività economica è stata costruita attraverso leggi ordinarie e da una marea di circolari e di regolamenti che vengono stilati dai ministeri o dalle amministrazioni regionali, provinciali, comunali o dalle Camere di Commercio.
Per cambiare le cose basterebbero analizzare e rimuovere questa marea di norme che non sono frutto del dettato costituzionale, ma dell’incapacità della politica e degli apparati burocratici di cui spesso sono figli. Ogni firma necessaria ad un progetto, ogni permesso esprime un piccolo o grande potere che viene esercitato con determinazione, con lentezza e a volte in modo becero e arrogante. Anche da qui nascono l’inquinamento e la corruzione. Questo è il problema. L’ottimo Brunetta avrebbe un gran lavoro da fare per modernizzare la burocrazia del Paese. Ha perso del tempo nella corsa alla sindacatura di Venezia. Non ha vinto il posto da primo cittadino della laguna, ha tempo per dedicarsi al suo impegno di Ministro. Buon lavoro.
Molto lavoro spetta al parlamento. Legge sull’intercettazioni, decreti tremontiani sulla crisi finanziaria sono le due scadenze principali. Sulla legge bavaglio si spera in un ripensamento della maggioranza dopo l’esplodere di proteste in Italia e all’estero.
Per il decreto Tremonti i giornali segnalano questa situazione:
“sono 2.550 gli emendamenti presentati dai vari gruppi parlamentari alla manovra in discussione in commissione Bilancio al Senato. Quasi la metà sono della maggioranza. Il gruppo del Pdl è in testa quanto a proposte di modifica con 1.116 emendamenti. Dalla Lega sono arrivate 89 proposte di modifica, dal Pd 823. L’Italia dei Valori ha presentato 149 emendamenti, 293 l’Udc e 80 dal gruppo misto. Gli ordini del giorno sono in totale 43. Al momento non sono state presentate proposte di modifica dal relatore Antonio Azzollini e dal governo. La commissione Bilancio è convocata per martedì alle 15 con la replica di relatore e governo e poi inizierà l’esame degli emendamenti. Da calendario, la manovra sarà in aula il primo luglio.”
Un quadro difficile che lascia prevedere l’esplodere di tensioni nella maggioranza e tra questa e l’opposizione. La conferenza dei presidenti di regione ha già espresso una valutazione allarmata. I sindaci di tutta Italia hanno previsto una manifestazione nazionale di protesta. La CGIL ha indetto uno sciopero e anche CISL e UIL guardano con preoccupazione quanto si deciderà in parlamento. Angeletti e Bonanni sperano che la loro buona vicinanza con il Ministro Sacconi porti buoni frutti.
Il PD promette emendamenti che delineino una linea alternativa a quella del Governo. Staremo a vedere.
Per intanto il gruppo dirigente ha mostrato una grande varietà di posizioni rispetto a quanto sta succedendo a Pomigliano. Innegabile la difficoltà di prendere una posizione netta. Il problema è complesso per un partito che ha al suo interno supporter della CISL, della UIL, della CGIL, della FIOM è complicato scegliere. Ci si poteva augurare una maggior preoccupazione per le parti dell’accordo che prevedono, di fatto, il ridimensionamento di un diritto costituzionale o l’annichilimento del contratto nazionale. Qualche balbettio c’è stato, ma non più di tanto. Si andrà ad un referendum che concerne anche un diritto indisponibile, non contrattabile per nessuno. Quello previsto all’articolo 40 della Costituzione. Il diritto di sciopero. Sacconi e Tremonti sostengono che con l’accordo vinceranno i riformisti. Se l’accordo capestro di Marchionne è il riformismo che va bene alla destra forse qualche problema di aggettivazione per Bersani e company c’è. Dovranno trovare un’altra definizione per il loro partito. Tempo ce ne è: per il PD siamo ancora al working progress, ed è nota la creatività dei democratici.
da Francesco Mandarini | Giu 20, 2010
A scuola ci hanno insegnato che la storia è maestra di vita. Osservando ciò che succede nel mondo della politica e dell’economia viene spontaneo pensare che il ceto dirigente di storia ne abbia studiata poca. Parlano di modernità e ci propongono il ritorno all’ottocento o al modello di produzione asiatico.
Infatti, la destra politica ed economica presenta l’attacco all’articolo 41 della Costituzione come un esempio della modernità da dover perseguire nel nostro Paese e l’accordo Fiat per Pomigliano il massimo di una nuova, avanzatissima metodologia contrattuale da estendere a tutti i lavoratori. Le due cose, modifica costituzionale e contratto Fiat, vanno lette come frutto di un unico progetto. Un disegno che, se realizzato, porterà l’Italia a competere non con la Germania o con i Paesi nordici, ma con i trattamenti del lavoro vigenti in Cina o in Indonesia.
Dalla sua promulgazione ad oggi, non esiste una sola sentenza della Corte Costituzionale concernente l’articolo 41. Non c’è stato mai un imprenditore che abbia subito un danno dal rispetto dei principi previsti nella norma. Anzi, analizzando i dati dell’economia sommersa, degli incidenti sul lavoro, sull’evasione fiscale non sembra proprio che i vincoli all’imprenditorialità , denunciati da Tremonti e Sacconi, abbiano gran che funzionato.
Per essere innovativi e moderni bisogna comunque eliminarli anche formalmente assieme ai contratti nazionali di lavoro. Così che l’iniziativa privata possa svolgersi non solo liberamente ma a prescindere dalla sicurezza, dalla libertà dei lavoratori e dalla dignità umana e con contratti sempre più individuali. Duecento anni di avanzamento dei diritti del lavoro cancellati in nome della concorrenza, un bel salto di qualità . Così se in Germania gli imprenditori e i sindacati lavorano sull’innovazione di prodotto e su un’organizzazione del lavoro più efficace, qui da noi l’unico vincolo da superare è l’alto costo della produzione unito ad una Costituzione arcaica che impedisce la creatività imprenditoriale. Come se la bassa produttività dipendesse dalla cattiva volontà dei lavoratori e non da una bassa propensione all’investimento in ricerca e innovazione e dall’arretratezza di tutte le infrastrutture del Paese. Negare che la burocrazia italiana va destruttura e innovata profondamente sarebbe una sciocchezza. La farraginosità dei controlli e dei permessi per aprire un’attività economica è stata costruita attraverso leggi ordinarie e da una marea di circolari e di regolamenti che vengono stilati dai ministeri o dalle amministrazioni regionali, provinciali, comunali o dalle Camere di Commercio.
Per cambiare le cose basterebbero analizzare e rimuovere questa marea di norme che non sono frutto del dettato costituzionale, ma dell’incapacità della politica e degli apparati burocratici di cui spesso sono figli. Ogni firma necessaria ad un progetto, ogni permesso esprime un piccolo o grande potere che viene esercitato con determinazione, con lentezza e a volte in modo becero e arrogante. Anche da qui nascono l’inquinamento e la corruzione. Questo è il problema. L’ottimo Brunetta avrebbe un gran lavoro da fare per modernizzare la burocrazia del Paese. Ha perso del tempo nella corsa alla sindacatura di Venezia. Non ha vinto il posto da primo cittadino della laguna, ha tempo per dedicarsi al suo impegno di Ministro. Buon lavoro.
Molto lavoro spetta al parlamento. Legge sull’intercettazioni, decreti tremontiani sulla crisi finanziaria sono le due scadenze principali. Sulla legge bavaglio si spera in un ripensamento della maggioranza dopo l’esplodere di proteste in Italia e all’estero.
Per il decreto Tremonti i giornali segnalano questa situazione:
“sono 2.550 gli emendamenti presentati dai vari gruppi parlamentari alla manovra in discussione in commissione Bilancio al Senato. Quasi la metà sono della maggioranza. Il gruppo del Pdl è in testa quanto a proposte di modifica con 1.116 emendamenti. Dalla Lega sono arrivate 89 proposte di modifica, dal Pd 823. L’Italia dei Valori ha presentato 149 emendamenti, 293 l’Udc e 80 dal gruppo misto. Gli ordini del giorno sono in totale 43. Al momento non sono state presentate proposte di modifica dal relatore Antonio Azzollini e dal governo. La commissione Bilancio è convocata per martedì alle 15 con la replica di relatore e governo e poi inizierà l’esame degli emendamenti. Da calendario, la manovra sarà in aula il primo luglio.â€
Un quadro difficile che lascia prevedere l’esplodere di tensioni nella maggioranza e tra questa e l’opposizione. La conferenza dei presidenti di regione ha già espresso una valutazione allarmata. I sindaci di tutta Italia hanno previsto una manifestazione nazionale di protesta. La CGIL ha indetto uno sciopero e anche CISL e UIL guardano con preoccupazione quanto si deciderà in parlamento. Angeletti e Bonanni sperano che la loro buona vicinanza con il Ministro Sacconi porti buoni frutti.
Il PD promette emendamenti che delineino una linea alternativa a quella del Governo. Staremo a vedere.
Per intanto il gruppo dirigente ha mostrato una grande varietà di posizioni rispetto a quanto sta succedendo a Pomigliano. Innegabile la difficoltà di prendere una posizione netta. Il problema è complesso per un partito che ha al suo interno supporter della CISL, della UIL, della CGIL, della FIOM è complicato scegliere. Ci si poteva augurare una maggior preoccupazione per le parti dell’accordo che prevedono, di fatto, il ridimensionamento di un diritto costituzionale o l’annichilimento del contratto nazionale. Qualche balbettio c’è stato, ma non più di tanto. Si andrà ad un referendum che concerne anche un diritto indisponibile, non contrattabile per nessuno. Quello previsto all’articolo 40 della Costituzione. Il diritto di sciopero. Sacconi e Tremonti sostengono che con l’accordo vinceranno i riformisti. Se l’accordo capestro di Marchionne è il riformismo che va bene alla destra forse qualche problema di aggettivazione per Bersani e company c’è. Dovranno trovare un’altra definizione per il loro partito. Tempo ce ne è: per il PD siamo ancora al working progress, ed è nota la creatività dei democratici.
da Francesco Mandarini | Apr 4, 2008
Nel mese di marzo mese si sono svolte le elezioni amministrative in Francia e le elezioni politiche in Spagna. In entrambi i Paesi ha vinto la sinistra. Non un generico centrosinistra, non indefiniti riformisti ma una sinistra, in Francia composta di socialisti, comunisti e verdi, ed in Spagna da un partito che si definisce socialista, il PSOE di Zapatero. Nel dopo elezioni i cittadini gridano: â€Spagna socialista†e Zapatero assicura che continuerà a governare partendo da coloro che meno posseggono. Zapatero si conferma come il vero leader di una sinistra europea che non rinuncia a trasformare la realtà . Ciò che i riformisti italiani considerano pericoloso estremismo laicista, in Spagna sono leggi dello Stato nonostante la feroce contrarietà dei vescovi spagnoli. Nessuna guerra di religione ma la semplice riaffermazione della laicità dello Stato. Per noi italiani sembra un sogno. Soltanto ai tempi di Papa Pacelli l’influenza politica della chiesa sulle questioni terrene ha avuto tanto rilievo. Allora resistette De Gasperi al tentativo di tornare ai tempi del papa re. Adesso soltanto la Sinistra Arcobaleno e i socialisti di Boselli sembrano interessati alla questione della laicità dello Stato.
La campagna elettorale si svolge come uno commercial continuo e per il PD la parola magica diviene il riformismo, senza aggettivi. Si può fare. Cosa? Slogan ben formulati ed è tutto. Veltroni dichiara il Partito Democratico un partito riformista e non un partito di sinistra. Viva la chiarezza. Nessuna osservazione ma questa scelta tende ad escludere quella rivendicata consonanza con ciò che Zapatero ha realizzato, come socialista, in Spagna.
Prodi ha annunciato il suo ritiro dalla politica attiva. Sconfitto, non ha fatto finta di niente come è consuetudine di quasi tutti i leader di questi anni difficili per la politica. Prodi ha scelto di uscire di scena assumendosi la responsabilità del fallimento dell’Unione.
Non è ingiurioso addebitare alla sinistra le responsabilità esclusive delle mancate riforme del governo Prodi? La libera scelta di Veltroni di mollare la sinistra a vantaggio di Di Pietro e radicali è legittima, mistificare è cosa sgradevole. Alcune rivendicazioni della sinistra al governo contro la precarietà sono oggi nel programma del PD e quindi si presume che non esageravano Fabio Mussi o Ferrero quando chiedevano che si affrontasse questo problema. Ripetutamente la sinistra ha richiesto che il governo facesse fronte alla questione dei livelli salariali e delle pensioni. Oggi Veltroni assicura che questa è la priorità del Paese.
La sinistra al governo suggeriva un’azione di risanamento dei conti pubblici graduale a vantaggio di politiche di sviluppo e di riequilibrio sociale. Oggi Veltroni dice basta con la politica dei due tempi, prima risaniamo poi investiamo sullo sviluppo. Esattamente quello che hanno sostenuto per anni gli economisti della sinistra.
Perché non è stato fatto dal governo killerato da Mastella? Il PD dove era?
Siamo in campagna elettorale e difficilmente un discorso di verità potrà essere ascoltato. Ci spetta di scegliere come votare sulla base dei molti spot che ci propinano giornalmente i competitori.
Eravamo preoccupati. Berlusconi appariva poco brillante e un po’ moscio con quei suoi girocollo da playboy di provincia. Rimessa la cravatta, il cavaliere è tornato a brillare e a produrre quelle gaffe che lo hanno reso famoso e divertente nel mondo. Il bon ton dimenticato. Ci siamo tranquillizzati ascoltando le sua: “Alitalia agli italiani†e le spiegazioni per la candidatura di Ciarrapico con gli apprezzamenti della comunità ebraica e del partito popolare europeo. Rientra nella norma berlusconiana il dileggio per chi è dall’altra parte. Il povero Veltroni è stato paragonato addirittura a Giuseppe Stalin.
Riduzione delle tasse, taglio della spesa pubblica, liberalizzazione dei servizi pubblici, sono gli slogan che rendono i programmi di PD e PDL molto simili. Berlusconi ha affermato che potrebbe votarlo il programma di Veltroni. Non lo fa perché preferisce sacrificarsi Lui per il bene del Paese.
Uniti contro le tasse e contro la spesa pubblica PD e PDL assicurano a tutti, ricchi e poveri, la salvezza dell’Italia.
Che le tasse sui redditi da lavoro siano alte è possibile. Che le tasse sui redditi da rendita finanziaria siano irrisorie è certo.
Sembra che le nostre classi dirigenti non apprendano nulla dall’esperienza altrui. L’ondata di crisi che travolge l’occidente e l’oriente appare come un castigo divino e non il risultato delle politiche liberiste dell’America di Bush e dell’Europa guidata dalla destra economica.
L’amministrazione Bush ha improntato tutta la sua politica sui tagli alle tasse e sulla riduzione dei servizi al cittadino. La spesa pubblica è esplosa per le guerre volute da Bush. Il risultato? La recessione americana, l’impoverimento di milioni e milioni di americani e l’esportazione della crisi in ogni angolo del mondo. Un disastro. Molti sostengono che la crisi economica attuale è la peggiore del dopoguerra. Dopo trenta anni di dominio del liberismo e del libero mercato, a vent’anni dal crollo del blocco sovietico, non è il caso di mettere in discussione l’ideologia liberista dominante? Non ha dimostrato a sufficienza la sua incapacità di risolvere i problemi dell’umanità ?
Il partito di Veltroni non sembra interessato a porsi la questione. (altro…)
da Francesco Mandarini | Apr 4, 2008
Nel mese di marzo mese si sono svolte le elezioni amministrative in Francia e le elezioni politiche in Spagna. In entrambi i Paesi ha vinto la sinistra. Non un generico centrosinistra, non indefiniti riformisti ma una sinistra, in Francia composta di socialisti, comunisti e verdi, ed in Spagna da un partito che si definisce socialista, il PSOE di Zapatero. Nel dopo elezioni i cittadini gridano: “Spagna socialista” e Zapatero assicura che continuerà a governare partendo da coloro che meno posseggono. Zapatero si conferma come il vero leader di una sinistra europea che non rinuncia a trasformare la realtà . Ciò che i riformisti italiani considerano pericoloso estremismo laicista, in Spagna sono leggi dello Stato nonostante la feroce contrarietà dei vescovi spagnoli. Nessuna guerra di religione ma la semplice riaffermazione della laicità dello Stato. Per noi italiani sembra un sogno. Soltanto ai tempi di Papa Pacelli l’influenza politica della chiesa sulle questioni terrene ha avuto tanto rilievo. Allora resistette De Gasperi al tentativo di tornare ai tempi del papa re. Adesso soltanto la Sinistra Arcobaleno e i socialisti di Boselli sembrano interessati alla questione della laicità dello Stato.
La campagna elettorale si svolge come uno commercial continuo e per il PD la parola magica diviene il riformismo, senza aggettivi. Si può fare. Cosa? Slogan ben formulati ed è tutto. Veltroni dichiara il Partito Democratico un partito riformista e non un partito di sinistra. Viva la chiarezza. Nessuna osservazione ma questa scelta tende ad escludere quella rivendicata consonanza con ciò che Zapatero ha realizzato, come socialista, in Spagna.
Prodi ha annunciato il suo ritiro dalla politica attiva. Sconfitto, non ha fatto finta di niente come è consuetudine di quasi tutti i leader di questi anni difficili per la politica. Prodi ha scelto di uscire di scena assumendosi la responsabilità del fallimento dell’Unione.
Non è ingiurioso addebitare alla sinistra le responsabilità esclusive delle mancate riforme del governo Prodi? La libera scelta di Veltroni di mollare la sinistra a vantaggio di Di Pietro e radicali è legittima, mistificare è cosa sgradevole. Alcune rivendicazioni della sinistra al governo contro la precarietà sono oggi nel programma del PD e quindi si presume che non esageravano Fabio Mussi o Ferrero quando chiedevano che si affrontasse questo problema. Ripetutamente la sinistra ha richiesto che il governo facesse fronte alla questione dei livelli salariali e delle pensioni. Oggi Veltroni assicura che questa è la priorità del Paese.
La sinistra al governo suggeriva un’azione di risanamento dei conti pubblici graduale a vantaggio di politiche di sviluppo e di riequilibrio sociale. Oggi Veltroni dice basta con la politica dei due tempi, prima risaniamo poi investiamo sullo sviluppo. Esattamente quello che hanno sostenuto per anni gli economisti della sinistra.
Perchè non è stato fatto dal governo killerato da Mastella? Il PD dove era?
Siamo in campagna elettorale e difficilmente un discorso di verità potrà essere ascoltato. Ci spetta di scegliere come votare sulla base dei molti spot che ci propinano giornalmente i competitori.
Eravamo preoccupati. Berlusconi appariva poco brillante e un po’ moscio con quei suoi girocollo da playboy di provincia. Rimessa la cravatta, il cavaliere è tornato a brillare e a produrre quelle gaffe che lo hanno reso famoso e divertente nel mondo. Il bon ton dimenticato. Ci siamo tranquillizzati ascoltando le sua: “Alitalia agli italiani” e le spiegazioni per la candidatura di Ciarrapico con gli apprezzamenti della comunità ebraica e del partito popolare europeo. Rientra nella norma berlusconiana il dileggio per chi è dall’altra parte. Il povero Veltroni è stato paragonato addirittura a Giuseppe Stalin.
Riduzione delle tasse, taglio della spesa pubblica, liberalizzazione dei servizi pubblici, sono gli slogan che rendono i programmi di PD e PDL molto simili. Berlusconi ha affermato che potrebbe votarlo il programma di Veltroni. Non lo fa perchè preferisce sacrificarsi Lui per il bene del Paese.
Uniti contro le tasse e contro la spesa pubblica PD e PDL assicurano a tutti, ricchi e poveri, la salvezza dell’Italia.
Che le tasse sui redditi da lavoro siano alte è possibile. Che le tasse sui redditi da rendita finanziaria siano irrisorie è certo.
Sembra che le nostre classi dirigenti non apprendano nulla dall’esperienza altrui. L’ondata di crisi che travolge l’occidente e l’oriente appare come un castigo divino e non il risultato delle politiche liberiste dell’America di Bush e dell’Europa guidata dalla destra economica.
L’amministrazione Bush ha improntato tutta la sua politica sui tagli alle tasse e sulla riduzione dei servizi al cittadino. La spesa pubblica è esplosa per le guerre volute da Bush. Il risultato? La recessione americana, l’impoverimento di milioni e milioni di americani e l’esportazione della crisi in ogni angolo del mondo. Un disastro. Molti sostengono che la crisi economica attuale è la peggiore del dopoguerra. Dopo trenta anni di dominio del liberismo e del libero mercato, a vent’anni dal crollo del blocco sovietico, non è il caso di mettere in discussione l’ideologia liberista dominante? Non ha dimostrato a sufficienza la sua incapacità di risolvere i problemi dell’umanità ?
Il partito di Veltroni non sembra interessato a porsi la questione. (altro…)
da Francesco Mandarini | Nov 10, 2006
La liquefazione dei partiti come strumenti di organizzazione degli interessi e di valori condivisi ha comportato, oltre che l’indebolimento della democrazia, anche l’esplodere dei particolarismi e della scesa in campo di movimenti che cercano di incidere nelle scelte della politica istituzionalizzata. Se si ha la pazienza di ripercorrere le cronache dell’autunno del 2005 si avrebbe la conferma che la discussione parlamentare attorno alla finanziaria provoca sempre manifestazioni di diversi raggruppamenti sociali. Gruppi d’interesse più o meno significativi si sono sempre mobilitati per ottenere modifiche al documento di spesa che i parlamentari deliberano prima della fine dell’anno. Niente di nuovo sotto il sole si potrebbe dire. Ma purtroppo non è così.
Durante l’Era del dominio del cavalier Berlusconi si sono svolti sei scioperi generali, ma come è noto il centrodestra tirò dritto nella sua politica economica incentrata sull’inventiva del ministro Tremonti. Occorreranno anni per recuperare i danni sociali ed economici prodotti, ma l’Italia è un Paese a memoria corta e adesso sotto tiro c’è la finanziaria di Padoa Schioppa. Come va? Ho domandato ad un dirigente locale diessino. Alzata di spalle e tra lo scherzoso e il serioso mi ha detto: “Vado a studiare le ultime novità della finanziaria. Ciò che era vero ieri, oggi non lo è più. A Roma cambiano idea due volte al giorno. Vallo a spiegare ai compagni di Umbertide l’aumento del bollo auto! Ho il colesterolo alto, speriamo che non inventino una tassa anche per questo. Sai, ha aggiunto, il colesterolo alto indica anche consumi alimentari ad elevato tasso di grassi animaliâ€. Anche una battuta scherzosa può indicare uno stato d’animo. E lo stato d’animo del popolo del centrosinistra è molto inquieto e sconcertato. Giustamente viene naturale aggiungere. Ha un bel dire Prodi che tutto dipende dalla campagna di aggressione verbale della destra.
L’impressione più diffusa è quella di trovarsi di fronte ad una compagine governativa incerta e incapace di dare un’anima alle cose che propone. Esattamente come quando erano all’opposizione, leader e leaderini hanno ripreso ad inseguire i microfoni per fare dichiarazioni su tutto e su tutti senza che Prodi riesca a dare un ordine alla logorrea e al protagonismo dei vari pezzi della coalizione. Più che l’armata Brancaleone a volte i governanti sembrano le allegri comari di Windsor. Prendiamo una cosa semplice come la manifestazione di Roma contro il lavoro precario.
Organizzazioni del sindacato, assieme a movimenti di varia matrice politica-sociale hanno indetto per oggi, sabato, una manifestazione. Alcuni parlamentari ed alcuni sottosegretari hanno dichiarato la loro partecipazione. Apriti cielo. Altri pezzi dei partiti di governo gridano allo scandalo e minacciano catastrofi. Perché? Fassino ha partecipato a varie manifestazioni, alcune di protesta o di proposta di modifica della finanziaria in discussione nel Parlamento. Perché ci si meraviglia se la sinistra partecipa ad una manifestazione contro il precariato? Non è un problema rilevante la qualità del lavoro? 1 E’ vero o no che un’intera generazione rischia di passare l’intera sua vita a cercare un lavoro? Una occupazione che sia anche flessibile, ma anche scandita dal diritto ad un futuro decente. Passare la vita in attesa del rinnovo di un contratto (quando c’è) non è un bel vivere. Chi ha un figlio o una figlia tra i venti e i quaranta anni ha cognizione di cosa si parla. Nel nostro Paese la flessibilità è una favola e nasconde una merce avariata. Mancano in Italia gli strumenti per una flessibilità accettabile. Ad esempio, non esistono ammortizzatori sociali capaci di rendere meno precario il lavoro di milioni di giovani ed anche di meno giovani espulsi dal processo produttivo. La flessibilità diviene un valore soltanto quando tutti i lavori consentono forme di protezione assicurativa, privata o pubblica fate voi, e decenti indennità di disoccupazione tra un lavoro e l’altro. In tutti i Paesi europei questi meccanismi esistono. Da noi no. Nel programma dell’Unione presentato all’elettorato è con chiarezza rappresentata l’esigenza di andare oltre l’attuale precarizzazione del lavoro. Su questo anche si è chiesto il voto.
I programmi non sono la Bibbia, ma vanno rispettati. Non si capisce perché sia legittima la pressione della Confindustria o del sindacato degli statali sul governo e non lo sia quella del movimento contro la precarietà . In Umbria il tasso di disoccupazione non è dissimile da quello delle altre aree del centro eppure l’incidenza del monte salari sul prodotto interno regionale continua a diminuire. Perché? Ovviamente i posti di lavoro che si sono creati sono segnati da precarietà e da bassi salari. Ha consentito, la “flessibilità †del fattore lavoro, l’innovazione nel sistema produttivo industriale? E’ cresciuto adeguatamente un terziario avanzato competitivo? L’impressione (è un’impressione personale non supportata da studi adeguati) è che nella nostra regione continui a prevalere uno sviluppo squilibrato in cui le punte di eccellenza che pur vi sono, galleggiano sopra uno stagno abbastanza fermo. Se così fosse, allora sarebbe tempo di andare oltre le interessanti discussioni sull’innovazione e cominciare a riprogettare la nostra economia ad iniziare dal nodo della spesa pubblica. L’incidenza di quest’ultimo fattore della crescita sul PIL regionale, è tale da impedire qualsiasi cambiamento se non partendo da diverse priorità nella spesa decisa dai palazzi della politica. Impresa non facile.
Le rigidità dei bilanci della macchina pubblica si aggraverà a causa dei tagli della finanziaria 2007. Ci sarà bisogno di grande determinazione e di eccellente creatività progettuale della classe dirigente regionale. Attendiamo con rinnovata fiducia. [Corriere dell’Umbria 5 novembre 2006]
da Francesco Mandarini | Nov 10, 2006
La liquefazione dei partiti come strumenti di organizzazione degli interessi e di valori condivisi ha comportato, oltre che l’indebolimento della democrazia, anche l’esplodere dei particolarismi e della scesa in campo di movimenti che cercano di incidere nelle scelte della politica istituzionalizzata. Se si ha la pazienza di ripercorrere le cronache dell’autunno del 2005 si avrebbe la conferma che la discussione parlamentare attorno alla finanziaria provoca sempre manifestazioni di diversi raggruppamenti sociali. Gruppi d’interesse più o meno significativi si sono sempre mobilitati per ottenere modifiche al documento di spesa che i parlamentari deliberano prima della fine dell’anno. Niente di nuovo sotto il sole si potrebbe dire. Ma purtroppo non è così.
Durante l’Era del dominio del cavalier Berlusconi si sono svolti sei scioperi generali, ma come è noto il centrodestra tirò dritto nella sua politica economica incentrata sull’inventiva del ministro Tremonti. Occorreranno anni per recuperare i danni sociali ed economici prodotti, ma l’Italia è un Paese a memoria corta e adesso sotto tiro c’è la finanziaria di Padoa Schioppa. Come va? Ho domandato ad un dirigente locale diessino. Alzata di spalle e tra lo scherzoso e il serioso mi ha detto: “Vado a studiare le ultime novità della finanziaria. Ciò che era vero ieri, oggi non lo è più. A Roma cambiano idea due volte al giorno. Vallo a spiegare ai compagni di Umbertide l’aumento del bollo auto! Ho il colesterolo alto, speriamo che non inventino una tassa anche per questo. Sai, ha aggiunto, il colesterolo alto indica anche consumi alimentari ad elevato tasso di grassi animali”. Anche una battuta scherzosa può indicare uno stato d’animo. E lo stato d’animo del popolo del centrosinistra è molto inquieto e sconcertato. Giustamente viene naturale aggiungere. Ha un bel dire Prodi che tutto dipende dalla campagna di aggressione verbale della destra.
L’impressione più diffusa è quella di trovarsi di fronte ad una compagine governativa incerta e incapace di dare un’anima alle cose che propone. Esattamente come quando erano all’opposizione, leader e leaderini hanno ripreso ad inseguire i microfoni per fare dichiarazioni su tutto e su tutti senza che Prodi riesca a dare un ordine alla logorrea e al protagonismo dei vari pezzi della coalizione. Più che l’armata Brancaleone a volte i governanti sembrano le allegri comari di Windsor. Prendiamo una cosa semplice come la manifestazione di Roma contro il lavoro precario.
Organizzazioni del sindacato, assieme a movimenti di varia matrice politica-sociale hanno indetto per oggi, sabato, una manifestazione. Alcuni parlamentari ed alcuni sottosegretari hanno dichiarato la loro partecipazione. Apriti cielo. Altri pezzi dei partiti di governo gridano allo scandalo e minacciano catastrofi. Perchè? Fassino ha partecipato a varie manifestazioni, alcune di protesta o di proposta di modifica della finanziaria in discussione nel Parlamento. Perchè ci si meraviglia se la sinistra partecipa ad una manifestazione contro il precariato? Non è un problema rilevante la qualità del lavoro? 1 E’ vero o no che un’intera generazione rischia di passare l’intera sua vita a cercare un lavoro? Una occupazione che sia anche flessibile, ma anche scandita dal diritto ad un futuro decente. Passare la vita in attesa del rinnovo di un contratto (quando c’è) non è un bel vivere. Chi ha un figlio o una figlia tra i venti e i quaranta anni ha cognizione di cosa si parla. Nel nostro Paese la flessibilità è una favola e nasconde una merce avariata. Mancano in Italia gli strumenti per una flessibilità accettabile. Ad esempio, non esistono ammortizzatori sociali capaci di rendere meno precario il lavoro di milioni di giovani ed anche di meno giovani espulsi dal processo produttivo. La flessibilità diviene un valore soltanto quando tutti i lavori consentono forme di protezione assicurativa, privata o pubblica fate voi, e decenti indennità di disoccupazione tra un lavoro e l’altro. In tutti i Paesi europei questi meccanismi esistono. Da noi no. Nel programma dell’Unione presentato all’elettorato è con chiarezza rappresentata l’esigenza di andare oltre l’attuale precarizzazione del lavoro. Su questo anche si è chiesto il voto.
I programmi non sono la Bibbia, ma vanno rispettati. Non si capisce perchè sia legittima la pressione della Confindustria o del sindacato degli statali sul governo e non lo sia quella del movimento contro la precarietà . In Umbria il tasso di disoccupazione non è dissimile da quello delle altre aree del centro eppure l’incidenza del monte salari sul prodotto interno regionale continua a diminuire. Perchè? Ovviamente i posti di lavoro che si sono creati sono segnati da precarietà e da bassi salari. Ha consentito, la “flessibilità “ del fattore lavoro, l’innovazione nel sistema produttivo industriale? E’ cresciuto adeguatamente un terziario avanzato competitivo? L’impressione (è un’impressione personale non supportata da studi adeguati) è che nella nostra regione continui a prevalere uno sviluppo squilibrato in cui le punte di eccellenza che pur vi sono, galleggiano sopra uno stagno abbastanza fermo. Se così fosse, allora sarebbe tempo di andare oltre le interessanti discussioni sull’innovazione e cominciare a riprogettare la nostra economia ad iniziare dal nodo della spesa pubblica. L’incidenza di quest’ultimo fattore della crescita sul PIL regionale, è tale da impedire qualsiasi cambiamento se non partendo da diverse priorità nella spesa decisa dai palazzi della politica. Impresa non facile.
Le rigidità dei bilanci della macchina pubblica si aggraverà a causa dei tagli della finanziaria 2007. Ci sarà bisogno di grande determinazione e di eccellente creatività progettuale della classe dirigente regionale. Attendiamo con rinnovata fiducia. [Corriere dell’Umbria 5 novembre 2006]