da Francesco Mandarini | Mag 27, 2005
Non è una novità il fatto che la redazione di Micropolis non abbia
alcuna simpatia politica per Rutelli. Più volte abbiamo scritto
che l’ex radicale avrebbe fatto meglio a scomparire dalla scena
politica dopo la sconfitta subita alle elezioni politiche del 2001.
Purtroppo il ceto dirigente italiano è quello che è. Rutelli ha un
sogno: costruire il partito democratico. Propugna la democrazia
americana, ma non ne applica la regola fondamentale: chi perde
alle elezioni va a casa. Così è stato per Al Gore e da ultimo per
l’inconsistente Kerry. Il nostro continua a sacrificarsi per il
bene di tutti noi.
Rutelli è una dell’espressioni del trasformismo italiano. Ciò che
propone Rutelli non può che sollecitare la nostra più profonda
avversione politica. Detto tutto il male possibile del leader
della Margherita, ci sentiamo in dovere di affermare che la
responsabilità del disastro, che sta annichilendo il popolo del
centrosinistra, è anche di chi ha voluto inventarsi il listone e
la federazione dei riformisti e di chi, sperando in un tornaconto
elettorale che non c’è stato, non ha denunciato l’errore compiuto
da Prodi e Fassino. Ogni riferimento a Rifondazione è puramente
casuale.
Le giravolte rutelliane sono state possibili grazie ad un sistema
politico che premia le oligarchie e le oligarchie non sono
espressione soltanto dei riformisti. Sono il modo di essere di
tutta la classe dirigente politica in campo.
I partiti si sono trasformati in strutture a-democratiche al
servizio della carriera amministrativa dei miracolati di
Berlusconi: un ceto inossidabile e inattaccabile nella sua
insaziabilità di prebende e incarichi. Dietro la bandiera onorata
della identità di partito si nasconde la merce avariata della
spartizione di collegi elettorali e di posti ben pagati nella
struttura pubblica. Trovare un qualche residuo di identità in
raggruppamenti informi come i partiti attuali è impresa vana.
Prevale il vaniloquio sul riformismo.
In questi anni non c’è stata alcuna seria iniziativa volta a
combattere la deriva della democrazia rappresentativa italiana.
La stessa debole discussione attorno ai nodi del programma
dell’Unione per il futuro governo del Paese non ha mai contenuto
la questione della qualità del sistema politico consolidatosi in
questi anni. La leaderite acuta rimane la malattia infantile della
politica e il sistema maggioritario la bibbia dei fondamentalisti
dell’americanizzazione all’italiana.
Ne abbiamo avuto un piccolo esempio in Umbria nella discussione
dello statuto regionale. L’iper presidenzialismo previsto è stato
denunciato soltanto fuori delle aule di Palazzo Cesaroni da voci
flebili come la nostra. L’opposizione di Rifondazione ha ricordato
l’opposizione di sua maestà , senza lasciare il minimo segno
politico. La decisione della presidente di promulgare lo statuto a
prescindere da tutte le osservazioni di opportunità tecnica e
politica, non ha trovato contrarietà nelle componenti dell’Unione.
Le ultime vicende dell’elezione degli organi di direzione del
consiglio regionale hanno dimostrato come l’appetito dei partiti
2
riformisti o della sinistra alternativa sia senza fondo. Si è
trattato di un vero arrembaggio all’incarico. Un assalto all’arma
bianca che ha determinato la scelta di costituire sette
commissioni permanenti per trenta consiglieri regionali.
Scandaloso è il minimo che si può dire. Conoscendo il movimento
legislativo della Regione Umbra degli ultimi dieci anni, siamo
certi che il sindacato dei presidenti non potrà rivendicare alcun
premio di produttività . Ci sarà risparmiato un qualche tiket a
copertura della spesa.
I feudatari piccoli e grandi sono stati tutti soddisfatti. Una
sistemazione non è stata negata a nessuno. La mitica “regione
leggera” degli anni “˜90 si va consolidando in una struttura
burocratica elefantiaca per staff e consulenze varie. La spesa per
la gestione degli amministratori cresce come il buco del bilancio
dello Stato senza alcun controllo da parte di alcuno.
L’opinione pubblica ci sembra annichilita e sempre più lontana
dalla politica, ma questo è un parere ininfluente. Lunga vita a
Berlusconi, gridano i leader gli amministratori umbri baciati
dalla fortuna. Fin che c’è Lui non ci tocca nessuno, dicono
sottovoce.
Micropolis maggio 2005
da Francesco Mandarini | Mag 27, 2005
Non è una novità il fatto che la redazione di Micropolis non abbia
alcuna simpatia politica per Rutelli. Più volte abbiamo scritto
che l’ex radicale avrebbe fatto meglio a scomparire dalla scena
politica dopo la sconfitta subita alle elezioni politiche del 2001.
Purtroppo il ceto dirigente italiano è quello che è. Rutelli ha un
sogno: costruire il partito democratico. Propugna la democrazia
americana, ma non ne applica la regola fondamentale: chi perde
alle elezioni va a casa. Così è stato per Al Gore e da ultimo per
l’inconsistente Kerry. Il nostro continua a sacrificarsi per il
bene di tutti noi.
Rutelli è una dell’espressioni del trasformismo italiano. Ciò che
propone Rutelli non può che sollecitare la nostra più profonda
avversione politica. Detto tutto il male possibile del leader
della Margherita, ci sentiamo in dovere di affermare che la
responsabilità del disastro, che sta annichilendo il popolo del
centrosinistra, è anche di chi ha voluto inventarsi il listone e
la federazione dei riformisti e di chi, sperando in un tornaconto
elettorale che non c’è stato, non ha denunciato l’errore compiuto
da Prodi e Fassino. Ogni riferimento a Rifondazione è puramente
casuale.
Le giravolte rutelliane sono state possibili grazie ad un sistema
politico che premia le oligarchie e le oligarchie non sono
espressione soltanto dei riformisti. Sono il modo di essere di
tutta la classe dirigente politica in campo.
I partiti si sono trasformati in strutture a-democratiche al
servizio della carriera amministrativa dei miracolati di
Berlusconi: un ceto inossidabile e inattaccabile nella sua
insaziabilità di prebende e incarichi. Dietro la bandiera onorata
della identità di partito si nasconde la merce avariata della
spartizione di collegi elettorali e di posti ben pagati nella
struttura pubblica. Trovare un qualche residuo di identità in
raggruppamenti informi come i partiti attuali è impresa vana.
Prevale il vaniloquio sul riformismo.
In questi anni non c’è stata alcuna seria iniziativa volta a
combattere la deriva della democrazia rappresentativa italiana.
La stessa debole discussione attorno ai nodi del programma
dell’Unione per il futuro governo del Paese non ha mai contenuto
la questione della qualità del sistema politico consolidatosi in
questi anni. La leaderite acuta rimane la malattia infantile della
politica e il sistema maggioritario la bibbia dei fondamentalisti
dell’americanizzazione all’italiana.
Ne abbiamo avuto un piccolo esempio in Umbria nella discussione
dello statuto regionale. L’iper presidenzialismo previsto è stato
denunciato soltanto fuori delle aule di Palazzo Cesaroni da voci
flebili come la nostra. L’opposizione di Rifondazione ha ricordato
l’opposizione di sua maestà , senza lasciare il minimo segno
politico. La decisione della presidente di promulgare lo statuto a
prescindere da tutte le osservazioni di opportunità tecnica e
politica, non ha trovato contrarietà nelle componenti dell’Unione.
Le ultime vicende dell’elezione degli organi di direzione del
consiglio regionale hanno dimostrato come l’appetito dei partiti
2
riformisti o della sinistra alternativa sia senza fondo. Si è
trattato di un vero arrembaggio all’incarico. Un assalto all’arma
bianca che ha determinato la scelta di costituire sette
commissioni permanenti per trenta consiglieri regionali.
Scandaloso è il minimo che si può dire. Conoscendo il movimento
legislativo della Regione Umbra degli ultimi dieci anni, siamo
certi che il sindacato dei presidenti non potrà rivendicare alcun
premio di produttività . Ci sarà risparmiato un qualche tiket a
copertura della spesa.
I feudatari piccoli e grandi sono stati tutti soddisfatti. Una
sistemazione non è stata negata a nessuno. La mitica “regione
leggera†degli anni ‘90 si va consolidando in una struttura
burocratica elefantiaca per staff e consulenze varie. La spesa per
la gestione degli amministratori cresce come il buco del bilancio
dello Stato senza alcun controllo da parte di alcuno.
L’opinione pubblica ci sembra annichilita e sempre più lontana
dalla politica, ma questo è un parere ininfluente. Lunga vita a
Berlusconi, gridano i leader gli amministratori umbri baciati
dalla fortuna. Fin che c’è Lui non ci tocca nessuno, dicono
sottovoce.
Micropolis maggio 2005
da Francesco Mandarini | Mag 22, 2005
Un suicidio. Questa è stata la definizione di Prodi alla decisione della
Margherita di non accettare la lista unica per le prossime elezioni politiche. Ha
ragione Prodi o ha ragione Rutelli? Sommessamente si può tranquillamente
affermare che hanno tutte e due torto. Prodi ha voluto, assieme a Fassino e
company, forzare la mano per le elezioni regionali imponendo uno schema che
ingabbiava in una sola lista i diversi partiti del centrosinistra. Non tutti però, ad
iniziare dai rutelliani, erano convinti che la federazione dell’Ulivo dovesse
muoversi a realizzare un partito che comprendesse De Mita e Fabio Mussi.
Il risultato elettorale del listone è stato positivo? Sì, ma anche dove i partiti
dell’Ulivo si sono presentati con propri simboli Berlusconi è stato battuto alla
grande. La spinta anti cavaliere di Arcore è stata così forte da provocare la
disfatta del centrodestra in quasi tutte le regioni al di là delle soluzioni
“organizzative†che Fassino o Rutelli volevano.
E’ vero che si è consolidata nel senso comune del popolo dell’Ulivo l’idea che
bisogna essere uniti. E’ questo che importa alla gente e non le beghe del ceto
politico. Non rispondere a questa esigenza sarebbe catastrofico.
Il problema dell’unità delle forze contrarie al centrodestra è un problema reale:
la sconfitta nelle elezioni politiche del 2001 è dovuta anche alla divisione tra
Ulivo e Rifondazione. E i risultati di quella divisione li sta pagando il Paese.
Il problema è quale unità costruire. Si può essere uniti anche in una coalizione
o bisogna federarsi o stare in un unico partito dei riformisti? Ai posteri l’ardua
sentenza. Per intanto risulta evidente che la scelta di costruire il partito dei
riformisti è stata una opzione tutta ideologica. E l’ideologia come ci è stato
spiegato da saggi riformisti non è cosa buona. E’ l’esigenza della salvaguardia
delle identità di partito che ha guidato la scelta di Rutelli a rompere il progetto
prodiano della lista dell’Ulivo? Gli addetti ai lavori dicono di no. D’altra parte è
difficile riconoscere una qualche identità in partiti costruiti da un ceto politico di
provenienze articolate e che, a partire dal nome “botanicoâ€, sono il massimo
della genericità politica. Sembra più convincente un’altra spiegazione alle
scelte dell’ex radicale. Non sarà un problema di salvaguardia del ceto politico
margheritiano? In questi mesi si è consolidato un rapporto molto forte tra i
diesse e Prodi. Si sostiene che il professore voleva la certezza che nel nuovo
parlamento ci fosse un bel gruppo di parlamentari prodiani D.O.C. e aveva
chiesto garanzie ai diessini. Quaranta deputati e trenta senatori, così scrivono i
giornali, scelti direttamente da Prodi a prescindere dai desiderata della
Margherita. Quando si tratta di collegi sicuri e di posti da ministro,
sottosegretario, assessore, presidente di commissione scatta la molla della
identità e della pari dignità dei partiti.
E tra minacce e lusinghe viene sollecitato l’orgoglio di appartenenza e a quel
punto non si scherza più: i clientes devono essere soddisfatti nella loro carriera
politica e la lotta si fa dura senza paura a prescindere da ciò che pensa
l’opinione pubblica.
La fase politica che attraversiamo somiglia ad una commedia all’italiana.
Purtroppo la sceneggiatura non è di Age e Scarpelli e la regia non è di Monicelli.
Di questa commedia ne abbiamo avuto esperienza anche in Umbria.
2
Il consiglio regionale ha eletto i propri organi e così si è soddisfatta anche la
voracità dei partiti umbri per l’occupazione delle sedie e degli strapuntini.
Siamo creativi e così ci siamo inventati, per una assemblea di trenta membri,
una ripartizione in sette commissioni permanenti. Con sette presidenti, sette
segreterie, sette dirigenti, sette di tutto. Visto l’intenso processo legislativo
degli ultimi dieci anni, abbiamo la certezza che ai consiglieri regionali rimarrÃ
molto tempo per consolidare il loro rapporto con i propri elettori e avranno
anche modo di approfondire i problemi della nostra terra e trovare le giuste
soluzioni. Non sarà facile.
Secondo un’indagine della CGIL del perugino, la situazione economico sociale
del territorio è pessima. Aumento del lavoro precario e nuove forme di povertÃ
che riguardano fette consistenti della popolazione. Che il sindacato umbro
presenti un quadro così allarmante è in parte una novità . Che fare? Siamo in
una fase di grave recessione e la spesa pubblica per gli investimenti e per il
sociale subisce forti ridimensionamenti. Con un governo come quello attuale è
difficile che da Roma giungano stimoli e risorse per affrontare i nostri problemi.
Lo sforzo per individuare i nodi da sciogliere deve essere fatto dalla classe
dirigente umbra in tutte le sue componenti.
E’ stato chiesto al Ministro Siniscalco di fare un’operazione di verità , ma
nonostante l’impegno preso il “tecnico†ha preferito farfugliare giustificazioni al
disastro prodotto dalle politiche economiche del governo Berlusconi.
Diamo un esempio noi umbri. Facciamolo noi un discorso veritiero sullo stato
della nostra economia. Le elezioni ci sono state. Ognuno ha avuto la propria
sistemazione in consiglio regionale o in qualche ente pubblico. Si può adesso
pretendere dal ceto politico un’accelerazione nel lavoro amministrativo e
legislativo a vantaggio del bene comune?
Corriere dell’Umbria 22 maggio 2005
da Francesco Mandarini | Mag 22, 2005
Un suicidio. Questa è stata la definizione di Prodi alla decisione della
Margherita di non accettare la lista unica per le prossime elezioni politiche. Ha
ragione Prodi o ha ragione Rutelli? Sommessamente si può tranquillamente
affermare che hanno tutte e due torto. Prodi ha voluto, assieme a Fassino e
company, forzare la mano per le elezioni regionali imponendo uno schema che
ingabbiava in una sola lista i diversi partiti del centrosinistra. Non tutti però, ad
iniziare dai rutelliani, erano convinti che la federazione dell’Ulivo dovesse
muoversi a realizzare un partito che comprendesse De Mita e Fabio Mussi.
Il risultato elettorale del listone è stato positivo? Sì, ma anche dove i partiti
dell’Ulivo si sono presentati con propri simboli Berlusconi è stato battuto alla
grande. La spinta anti cavaliere di Arcore è stata così forte da provocare la
disfatta del centrodestra in quasi tutte le regioni al di là delle soluzioni
“organizzative” che Fassino o Rutelli volevano.
E’ vero che si è consolidata nel senso comune del popolo dell’Ulivo l’idea che
bisogna essere uniti. E’ questo che importa alla gente e non le beghe del ceto
politico. Non rispondere a questa esigenza sarebbe catastrofico.
Il problema dell’unità delle forze contrarie al centrodestra è un problema reale:
la sconfitta nelle elezioni politiche del 2001 è dovuta anche alla divisione tra
Ulivo e Rifondazione. E i risultati di quella divisione li sta pagando il Paese.
Il problema è quale unità costruire. Si può essere uniti anche in una coalizione
o bisogna federarsi o stare in un unico partito dei riformisti? Ai posteri l’ardua
sentenza. Per intanto risulta evidente che la scelta di costruire il partito dei
riformisti è stata una opzione tutta ideologica. E l’ideologia come ci è stato
spiegato da saggi riformisti non è cosa buona. E’ l’esigenza della salvaguardia
delle identità di partito che ha guidato la scelta di Rutelli a rompere il progetto
prodiano della lista dell’Ulivo? Gli addetti ai lavori dicono di no. D’altra parte è
difficile riconoscere una qualche identità in partiti costruiti da un ceto politico di
provenienze articolate e che, a partire dal nome “botanico”, sono il massimo
della genericità politica. Sembra più convincente un’altra spiegazione alle
scelte dell’ex radicale. Non sarà un problema di salvaguardia del ceto politico
margheritiano? In questi mesi si è consolidato un rapporto molto forte tra i
diesse e Prodi. Si sostiene che il professore voleva la certezza che nel nuovo
parlamento ci fosse un bel gruppo di parlamentari prodiani D.O.C. e aveva
chiesto garanzie ai diessini. Quaranta deputati e trenta senatori, così scrivono i
giornali, scelti direttamente da Prodi a prescindere dai desiderata della
Margherita. Quando si tratta di collegi sicuri e di posti da ministro,
sottosegretario, assessore, presidente di commissione scatta la molla della
identità e della pari dignità dei partiti.
E tra minacce e lusinghe viene sollecitato l’orgoglio di appartenenza e a quel
punto non si scherza più: i clientes devono essere soddisfatti nella loro carriera
politica e la lotta si fa dura senza paura a prescindere da ciò che pensa
l’opinione pubblica.
La fase politica che attraversiamo somiglia ad una commedia all’italiana.
Purtroppo la sceneggiatura non è di Age e Scarpelli e la regia non è di Monicelli.
Di questa commedia ne abbiamo avuto esperienza anche in Umbria.
2
Il consiglio regionale ha eletto i propri organi e così si è soddisfatta anche la
voracità dei partiti umbri per l’occupazione delle sedie e degli strapuntini.
Siamo creativi e così ci siamo inventati, per una assemblea di trenta membri,
una ripartizione in sette commissioni permanenti. Con sette presidenti, sette
segreterie, sette dirigenti, sette di tutto. Visto l’intenso processo legislativo
degli ultimi dieci anni, abbiamo la certezza che ai consiglieri regionali rimarrà
molto tempo per consolidare il loro rapporto con i propri elettori e avranno
anche modo di approfondire i problemi della nostra terra e trovare le giuste
soluzioni. Non sarà facile.
Secondo un’indagine della CGIL del perugino, la situazione economico sociale
del territorio è pessima. Aumento del lavoro precario e nuove forme di povertà
che riguardano fette consistenti della popolazione. Che il sindacato umbro
presenti un quadro così allarmante è in parte una novità . Che fare? Siamo in
una fase di grave recessione e la spesa pubblica per gli investimenti e per il
sociale subisce forti ridimensionamenti. Con un governo come quello attuale è
difficile che da Roma giungano stimoli e risorse per affrontare i nostri problemi.
Lo sforzo per individuare i nodi da sciogliere deve essere fatto dalla classe
dirigente umbra in tutte le sue componenti.
E’ stato chiesto al Ministro Siniscalco di fare un’operazione di verità , ma
nonostante l’impegno preso il “tecnico” ha preferito farfugliare giustificazioni al
disastro prodotto dalle politiche economiche del governo Berlusconi.
Diamo un esempio noi umbri. Facciamolo noi un discorso veritiero sullo stato
della nostra economia. Le elezioni ci sono state. Ognuno ha avuto la propria
sistemazione in consiglio regionale o in qualche ente pubblico. Si può adesso
pretendere dal ceto politico un’accelerazione nel lavoro amministrativo e
legislativo a vantaggio del bene comune?
Corriere dell’Umbria 22 maggio 2005
da Francesco Mandarini | Nov 7, 2004
Il segretario regionale dei diesse, Fabrizio Bracco, si è arrabbiato. In una secca
intervista se la prende con una “gola profonda†interna al partito e con “queiâ€
personaggi che dentro i DS ormai non sono più in grado di spostare nemmeno
una matita. Il linguaggio usato è pesante e non abituale per una persona
educata come il segretario. Voler dare “calci nel sedere†ad un collega di
partito senza in più nominarlo, non è il massimo dello chic e non sembra
proprio un bel sentire. Considerare pezzi del gruppo dirigente come interessati
esclusivamente alle propria collocazione non è, a pochi mesi dalle elezioni, una
buona propaganda per il maggior raggruppamento politico della sinistra.
Perché Bracco è così adirato? La questione riguarda la ricandidatura nelle liste
regionali di coloro che hanno svolto già due mandati amministrativi. Lo statuto
dei DS prevede una turnazione dopo due mandati e Bracco dice che la
questione è immodificabile: a casa i sei consiglieri regionali che si trovano nella
situazione prevista dallo statuto. Sembrerebbe semplice, ma così non è. Come
il solito le cose sono più complicate.
Immaginate un giovane trentenne eletto in Comune. Il nostro si fa due
legislature in quella assemblea e poi, essendo bravino, si sposta per un paio di
legislature in Provincia. Divenuto maturo passa per dieci anni in Consiglio
Regionale. Arrivano i sessanta anni ed oplà , è tempo di svolgere due
legislature in Parlamento. Essendo un quadro ormai sperimentato è utile
eleggerlo al Parlamento Europeo. Il percorso può essere ovviamente meno
lineare. Ad esempio si può passare prima a Montecitorio e poi arrivare a
Palazzo Cesaroni o a Palazzo dei Priori non importa dove si inizia. Importante è
non finire mai la carriera. Il gioco dell’oca è un gioco che piace molto agli
addetti ai lavori dell’attuale politica.
Il vincolo statutario è stato rispettato, ma il nostro eroe ha sacrificato tutta la
sua vita dentro la macchina pubblica. La storiella non è tanto paradossale se si
osservano alcuni dei protagonisti ancora in attività permanente ed effettiva nel
proprio sacrificio per il bene pubblico. Tutto si può dire dell’Umbria ma qui da
noi non rischiamo certo choc da new entry nella politica amministrativa
regionale. La continuità è il principio fondante di un consenso elettorale che si
consolida grazie al berlusconismo e che ci rincuora. Volete mettere con il
rischio dell’ignoto?
Il problema è il funzionamento dei gruppi dirigenti dentro partiti sempre ridotti
a litigiosi comitati elettorali. E a quanto si capisce dalle ire di Bracco, quello dei
diesse è poco solidale e poco incline ad una visione complessiva. Prevalgono
ormai i motivi di carriera personale. Non è questione di buona volontà dei
singoli. Sono i meccanismi del sistema politico che devono essere ripensati alla
radice. Lo svuotamento della democrazia non è dovuto soltanto al
berlusconismo. La sinistra riformista ha permesso e a volte promosso, forme di
feudalizzazione del rapporto con il corpo elettorale che al di là della sensibilitÃ
dei singoli non può che produrre “signorie†e feudatari.
La situazione si è aggravata in Umbria per l’impossibilità di aumentare i
consiglieri regionali e per l’orientamento a presentare la lista unica (DS,
Margherita, Sdi, Repubblicani). I posti sono quelli che sono e i pretendenti al
seggio sono tanti, troppi. Quadrare il cerchio sarà complicato.
2
Ciò che manca è “l’arbitro†della contesa. Un tempo, nei vecchi partiti di massa,
vigeva la regola che chi organizzava le liste elettorali da presentare alla base
del partito in genere era fuori del gioco. Adesso vince la rappresentanza locale
su una visione generale di gruppo dirigente. A differenza del passato non sono
più previste incompatibilità di alcun genere e questo rende tutto più opaco. Il
partito non può più svolgere il ruolo del “principe†capace di ridimensionare il
peso del feudatario e così grazie ai sistemi elettorali prevale il si salvi chi può.
Vengono oggi al pettine i nodi di una stagione politica molto confusa che il
centrosinistra sta cercando di risolvere con forzature e con scelte rischiose. La
lista unica, ad esempio, non sembra una scelta condivisa in Umbria da gran
parte del gruppo dirigente diessino eppure è probabile che alla fine si faccia.
Ne trarrà vantaggio Rifondazione e il PCDI? E’ possibile anche per l’innovazione
che Bertinotti ha impresso al suo partito. L’ipotesi di una aggregazione delle
forze della sinistra esterna al preannunciato listone, non è una possibilitÃ
astratta anche dal punto di vista elettorale. Può avere uno spazio e un percorso
interessante. Dipenderà dalla determinazione del gruppo dirigente dei
rifondatori e degli altri raggruppamenti della sinistra. Cercare di riaggregare le
forze dopo la diaspora di questi anni è una linea che può portare consensi
politici e voti e questo i diesse non possono sottovalutarlo.
Le elezioni regionali sono cosa diversa da quelle locali. E’ vero che il
centrodestra in Umbria non sembra in grado di rappresentare una alternativa
credibile alla coalizione diretta da Rita Lorenzetti, ma sbagliare candidature e
mostrarsi chiusi come ceto politico autoreferenziale, potrebbe sollecitare
disimpegni e aumentare il corposo mondo dei delusi dalla politica. I tempi sono
difficili.
Il ministro Siniscalco si è accorto che molte famiglie italiane non riescono ad
arrivare alla fine del mese. L’Istat ci dice che in Umbria 27000 famiglie sono
povere. I sacri testi della politica hanno insegnato che la povertà produce una
disaffezione verso la sinistra e un rincorrere le demagogie della destra. Anche
le elezioni americane hanno confermato che l’indigente è facilmente
conquistabile dai reazionari. E’ errato dare per riconquistata la Regione alle
forze del centrosinistra e per questo continuare a sbranarsi per un posto al sole.
Non è carino.
Corriere dell’Umbria 7 novembre 2004
da Francesco Mandarini | Nov 7, 2004
Il segretario regionale dei diesse, Fabrizio Bracco, si è arrabbiato. In una secca
intervista se la prende con una “gola profonda” interna al partito e con “quei”
personaggi che dentro i DS ormai non sono più in grado di spostare nemmeno
una matita. Il linguaggio usato è pesante e non abituale per una persona
educata come il segretario. Voler dare “calci nel sedere” ad un collega di
partito senza in più nominarlo, non è il massimo dello chic e non sembra
proprio un bel sentire. Considerare pezzi del gruppo dirigente come interessati
esclusivamente alle propria collocazione non è, a pochi mesi dalle elezioni, una
buona propaganda per il maggior raggruppamento politico della sinistra.
Perchè Bracco è così adirato? La questione riguarda la ricandidatura nelle liste
regionali di coloro che hanno svolto già due mandati amministrativi. Lo statuto
dei DS prevede una turnazione dopo due mandati e Bracco dice che la
questione è immodificabile: a casa i sei consiglieri regionali che si trovano nella
situazione prevista dallo statuto. Sembrerebbe semplice, ma così non è. Come
il solito le cose sono più complicate.
Immaginate un giovane trentenne eletto in Comune. Il nostro si fa due
legislature in quella assemblea e poi, essendo bravino, si sposta per un paio di
legislature in Provincia. Divenuto maturo passa per dieci anni in Consiglio
Regionale. Arrivano i sessanta anni ed oplà , è tempo di svolgere due
legislature in Parlamento. Essendo un quadro ormai sperimentato è utile
eleggerlo al Parlamento Europeo. Il percorso può essere ovviamente meno
lineare. Ad esempio si può passare prima a Montecitorio e poi arrivare a
Palazzo Cesaroni o a Palazzo dei Priori non importa dove si inizia. Importante è
non finire mai la carriera. Il gioco dell’oca è un gioco che piace molto agli
addetti ai lavori dell’attuale politica.
Il vincolo statutario è stato rispettato, ma il nostro eroe ha sacrificato tutta la
sua vita dentro la macchina pubblica. La storiella non è tanto paradossale se si
osservano alcuni dei protagonisti ancora in attività permanente ed effettiva nel
proprio sacrificio per il bene pubblico. Tutto si può dire dell’Umbria ma qui da
noi non rischiamo certo choc da new entry nella politica amministrativa
regionale. La continuità è il principio fondante di un consenso elettorale che si
consolida grazie al berlusconismo e che ci rincuora. Volete mettere con il
rischio dell’ignoto?
Il problema è il funzionamento dei gruppi dirigenti dentro partiti sempre ridotti
a litigiosi comitati elettorali. E a quanto si capisce dalle ire di Bracco, quello dei
diesse è poco solidale e poco incline ad una visione complessiva. Prevalgono
ormai i motivi di carriera personale. Non è questione di buona volontà dei
singoli. Sono i meccanismi del sistema politico che devono essere ripensati alla
radice. Lo svuotamento della democrazia non è dovuto soltanto al
berlusconismo. La sinistra riformista ha permesso e a volte promosso, forme di
feudalizzazione del rapporto con il corpo elettorale che al di là della sensibilità
dei singoli non può che produrre “signorie” e feudatari.
La situazione si è aggravata in Umbria per l’impossibilità di aumentare i
consiglieri regionali e per l’orientamento a presentare la lista unica (DS,
Margherita, Sdi, Repubblicani). I posti sono quelli che sono e i pretendenti al
seggio sono tanti, troppi. Quadrare il cerchio sarà complicato.
2
Ciò che manca è “l’arbitro” della contesa. Un tempo, nei vecchi partiti di massa,
vigeva la regola che chi organizzava le liste elettorali da presentare alla base
del partito in genere era fuori del gioco. Adesso vince la rappresentanza locale
su una visione generale di gruppo dirigente. A differenza del passato non sono
più previste incompatibilità di alcun genere e questo rende tutto più opaco. Il
partito non può più svolgere il ruolo del “principe” capace di ridimensionare il
peso del feudatario e così grazie ai sistemi elettorali prevale il si salvi chi può.
Vengono oggi al pettine i nodi di una stagione politica molto confusa che il
centrosinistra sta cercando di risolvere con forzature e con scelte rischiose. La
lista unica, ad esempio, non sembra una scelta condivisa in Umbria da gran
parte del gruppo dirigente diessino eppure è probabile che alla fine si faccia.
Ne trarrà vantaggio Rifondazione e il PCDI? E’ possibile anche per l’innovazione
che Bertinotti ha impresso al suo partito. L’ipotesi di una aggregazione delle
forze della sinistra esterna al preannunciato listone, non è una possibilità
astratta anche dal punto di vista elettorale. Può avere uno spazio e un percorso
interessante. Dipenderà dalla determinazione del gruppo dirigente dei
rifondatori e degli altri raggruppamenti della sinistra. Cercare di riaggregare le
forze dopo la diaspora di questi anni è una linea che può portare consensi
politici e voti e questo i diesse non possono sottovalutarlo.
Le elezioni regionali sono cosa diversa da quelle locali. E’ vero che il
centrodestra in Umbria non sembra in grado di rappresentare una alternativa
credibile alla coalizione diretta da Rita Lorenzetti, ma sbagliare candidature e
mostrarsi chiusi come ceto politico autoreferenziale, potrebbe sollecitare
disimpegni e aumentare il corposo mondo dei delusi dalla politica. I tempi sono
difficili.
Il ministro Siniscalco si è accorto che molte famiglie italiane non riescono ad
arrivare alla fine del mese. L’Istat ci dice che in Umbria 27000 famiglie sono
povere. I sacri testi della politica hanno insegnato che la povertà produce una
disaffezione verso la sinistra e un rincorrere le demagogie della destra. Anche
le elezioni americane hanno confermato che l’indigente è facilmente
conquistabile dai reazionari. E’ errato dare per riconquistata la Regione alle
forze del centrosinistra e per questo continuare a sbranarsi per un posto al sole.
Non è carino.
Corriere dell’Umbria 7 novembre 2004