Un suicidio. Questa è stata la definizione di Prodi alla decisione della
Margherita di non accettare la lista unica per le prossime elezioni politiche. Ha
ragione Prodi o ha ragione Rutelli? Sommessamente si può tranquillamente
affermare che hanno tutte e due torto. Prodi ha voluto, assieme a Fassino e
company, forzare la mano per le elezioni regionali imponendo uno schema che
ingabbiava in una sola lista i diversi partiti del centrosinistra. Non tutti però, ad
iniziare dai rutelliani, erano convinti che la federazione dell’Ulivo dovesse
muoversi a realizzare un partito che comprendesse De Mita e Fabio Mussi.
Il risultato elettorale del listone è stato positivo? Sì, ma anche dove i partiti
dell’Ulivo si sono presentati con propri simboli Berlusconi è stato battuto alla
grande. La spinta anti cavaliere di Arcore è stata così forte da provocare la
disfatta del centrodestra in quasi tutte le regioni al di là delle soluzioni
“organizzative” che Fassino o Rutelli volevano.
E’ vero che si è consolidata nel senso comune del popolo dell’Ulivo l’idea che
bisogna essere uniti. E’ questo che importa alla gente e non le beghe del ceto
politico. Non rispondere a questa esigenza sarebbe catastrofico.
Il problema dell’unità delle forze contrarie al centrodestra è un problema reale:
la sconfitta nelle elezioni politiche del 2001 è dovuta anche alla divisione tra
Ulivo e Rifondazione. E i risultati di quella divisione li sta pagando il Paese.
Il problema è quale unità costruire. Si può essere uniti anche in una coalizione
o bisogna federarsi o stare in un unico partito dei riformisti? Ai posteri l’ardua
sentenza. Per intanto risulta evidente che la scelta di costruire il partito dei
riformisti è stata una opzione tutta ideologica. E l’ideologia come ci è stato
spiegato da saggi riformisti non è cosa buona. E’ l’esigenza della salvaguardia
delle identità di partito che ha guidato la scelta di Rutelli a rompere il progetto
prodiano della lista dell’Ulivo? Gli addetti ai lavori dicono di no. D’altra parte è
difficile riconoscere una qualche identità in partiti costruiti da un ceto politico di
provenienze articolate e che, a partire dal nome “botanico”, sono il massimo
della genericità politica. Sembra più convincente un’altra spiegazione alle
scelte dell’ex radicale. Non sarà un problema di salvaguardia del ceto politico
margheritiano? In questi mesi si è consolidato un rapporto molto forte tra i
diesse e Prodi. Si sostiene che il professore voleva la certezza che nel nuovo
parlamento ci fosse un bel gruppo di parlamentari prodiani D.O.C. e aveva
chiesto garanzie ai diessini. Quaranta deputati e trenta senatori, così scrivono i
giornali, scelti direttamente da Prodi a prescindere dai desiderata della
Margherita. Quando si tratta di collegi sicuri e di posti da ministro,
sottosegretario, assessore, presidente di commissione scatta la molla della
identità e della pari dignità dei partiti.
E tra minacce e lusinghe viene sollecitato l’orgoglio di appartenenza e a quel
punto non si scherza più: i clientes devono essere soddisfatti nella loro carriera
politica e la lotta si fa dura senza paura a prescindere da ciò che pensa
l’opinione pubblica.
La fase politica che attraversiamo somiglia ad una commedia all’italiana.
Purtroppo la sceneggiatura non è di Age e Scarpelli e la regia non è di Monicelli.
Di questa commedia ne abbiamo avuto esperienza anche in Umbria.
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Il consiglio regionale ha eletto i propri organi e così si è soddisfatta anche la
voracità dei partiti umbri per l’occupazione delle sedie e degli strapuntini.
Siamo creativi e così ci siamo inventati, per una assemblea di trenta membri,
una ripartizione in sette commissioni permanenti. Con sette presidenti, sette
segreterie, sette dirigenti, sette di tutto. Visto l’intenso processo legislativo
degli ultimi dieci anni, abbiamo la certezza che ai consiglieri regionali rimarrà
molto tempo per consolidare il loro rapporto con i propri elettori e avranno
anche modo di approfondire i problemi della nostra terra e trovare le giuste
soluzioni. Non sarà facile.
Secondo un’indagine della CGIL del perugino, la situazione economico sociale
del territorio è pessima. Aumento del lavoro precario e nuove forme di povertà
che riguardano fette consistenti della popolazione. Che il sindacato umbro
presenti un quadro così allarmante è in parte una novità. Che fare? Siamo in
una fase di grave recessione e la spesa pubblica per gli investimenti e per il
sociale subisce forti ridimensionamenti. Con un governo come quello attuale è
difficile che da Roma giungano stimoli e risorse per affrontare i nostri problemi.
Lo sforzo per individuare i nodi da sciogliere deve essere fatto dalla classe
dirigente umbra in tutte le sue componenti.
E’ stato chiesto al Ministro Siniscalco di fare un’operazione di verità, ma
nonostante l’impegno preso il “tecnico” ha preferito farfugliare giustificazioni al
disastro prodotto dalle politiche economiche del governo Berlusconi.
Diamo un esempio noi umbri. Facciamolo noi un discorso veritiero sullo stato
della nostra economia. Le elezioni ci sono state. Ognuno ha avuto la propria
sistemazione in consiglio regionale o in qualche ente pubblico. Si può adesso
pretendere dal ceto politico un’accelerazione nel lavoro amministrativo e
legislativo a vantaggio del bene comune?
Corriere dell’Umbria 22 maggio 2005

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