RIPENSARE L’UMBRIA IN CHIAVE EUROPEA

La Rai Radiotelevisione Italiana è un servizio pubblico. La convenzione tra
azienda e Stato Italiano prevede l’obbligo per la televisione pubblica di fornire
informazione, cultura e quanto di altro esiste nel mondo della comunicazione
non scritta. Per utilizzare questo servizio i cittadini hanno l’obbligo di pagare un
canone annuale. La Rai è giustamente criticata per la qualità  dei suoi
programmi e il servilismo nei confronti del potere che si percepisce in certi
salotti televisivi fa da pendant alla volgarità  di certi programmi di
intrattenimento. La Rai, insomma, non è la BBC. Tuttavia su un punto il
giudizio è da sempre positivo e bipartisan:la qualità  tecnica e d’innovazione
delle strutture Rai sono di primo livello. Un programma ripreso dai tecnici e
organizzato dai coordinatori della televisione pubblica può essere scadente e
spesso lo è per i contenuti, ma perfetti per la qualità  tecnica. La nostra
televisione è famosa nel mondo per questo motivo. Eppure il fatto istituzionale
e politico più rilevante per l’Europa degli ultimi decenni, la firma a Roma della
costituzione europea, non è stato ripreso dalla Rai. Il servizio pubblico è stato
escluso per volontà  del capo del governo e i poveri giornalisti Rai hanno dovuto
commentare immagini costruite da un privato. Le riprese televisive sono state
affidate dall’ineffabile cavaliere ad una società  privata. Berlusconi oltre il
barbiere e il cuoco personale ha anche un regista di fiducia. E’ per questo che
abbiamo potuto ammirare la classe superiore dello spot della firma del trattato
costituzionale europeo diretto da Franco Zeffirelli. Ammirevole che il capo del
governo non abbia affidato l’appalto dell’evento a Mediaset, ma ci è stato
spiegato che le società  del premier non hanno bisogno di ulteriore aiuto:nel
primo semestre del 2004 l’utile della Fininvest pre-imposte è aumentato del 90
per cento. Non male con la crisi che attanaglia gran parte delle imprese italiane.
Invita alla riflessione il fatto che una cerimonia che ha visto impegnati i leader
istituzionali di tutta Europa sia stata congegnata come un noioso sceneggiato
televisivo in cui la retorica l’ha fatta da padrona.
L’Europa dei popoli? Roma venerdì era una città  surreale, la gente è stata
tenuta lontana da tutto il centro storico. Solo arroganti auto blu ne
attraversavano le strade. Evidentemente il popolo era previsto seduto davanti
alla televisione. Ragioni di sicurezza c’è stato spiegato ed anche la motivazione
ci descrive i pessimi tempi che viviamo.
Al di là  di tutto, che l’Europa comunitaria sia una grande opportunità  lo
sappiamo bene noi umbri. Che la nostra regione utilizza fondi comunitari sono
ormai moltissimi anni. I diversi progetti comunitari hanno contribuito in modo
sostanziale allo sviluppo economico e sociale dell’Umbria e non è stato soltanto
una questione di risorse economiche non soltanto una questione di aiuti
comunitari per le zone disagiate. Il rapporto con Bruxelles ha obbligato tutta la
struttura pubblica e in parte quella privata a modificare le metodologie di
intervento. Lo stesso rapporto con i governi centrali ha mutato di segno. Non
più generiche richieste di intervento, ma un impegno forte alla elaborazione di
progetti e di scelte programmatiche all’interno di obbiettivi di innovazione
concordati con le autorità  di Bruxelles e poi con il governo di Roma.
Per molti anni l’Umbria è stata una regione con vaste aree di sottosviluppo o di
crisi nei settori della siderurgia e di altri comparti industriali. Ancora oggi zone
significative soffrono di mancato o insufficiente sviluppo. E’ cosa nota che
2
l’aumento dell’occupazione che pur si è avuto negli ultimi anni, non ha affatto
risolto il vecchio problema di una disoccupazione intellettuale molto
significativa. L’Umbria non è più terra di emigrazione? E’ vero per ciò che
riguarda il lavoro tradizionale. Rimane però una regione dove per molti giovani
laureati l’unica speranza è un impiego pubblico”¦.a tempo determinato. Anche
questa precaria occupazione è una sorta di vincita all’enalotto. Altrimenti si
emigra.
Le punte di eccellenza che pur ci sono di imprese innovative, non riescono ad
assorbire l’offerta di lavoro qualificato di tanti ragazzi e ragazze laureate.
Questo è un enorme problema non facilmente risolvibile. Scorciatoie non ce ne
sono.
E’ tempo di ripensare l’Umbria senza arroccarsi nel già  fatto.
Anche da questo punto di vista lo spazio Europeo è una chance, ma è anche un
rischio. Con il 2006 i parametri che hanno consentito all’Umbria di ottenere
molti aiuti comunitari non saranno più efficaci. Con l’allargamento a 25 Paesi si
perdono le caratteristiche che ci hanno permesso di accedere a risorse
significative. Che fare? Importante è considerare l’alta scolarizzazione presente
in Umbria come una risorsa e non come solo un problema di disoccupati da
sistemare. D’altra parte nella struttura pubblica la carta della “rottamazione”
del personale non sembra risponda all’esigenza di riqualificazione e il turnover
del personale dovrà  fare i conti con organici già  sostanziosi.
La risposta va ricercata in altri settori. Il sostegno alle imprese innovative è
uno dei punti chiave del Patto per lo Sviluppo costruito tra le istituzione e le
forze sociali? Così si dice. Non ci è dato sapere i risultati raggiunti dall’accordo
e pur comprendendo la pazienza necessaria per ottenere risultati in certe cose,
non sarebbe male una messa a punto delle cose fatte e quelle da fare.
Un poco di ottimismo è consentito. Non tutto è negativo. Ad esempio, in
queste ore giunge la notizia che il nostro Paese non dovrà  rinunciare alla
cultura e alle competenze dell’onorevole Buttiglione. Ormai è deciso, il filosofo
prestato alla politica non va più a Bruxelles come commissario. Rimane come
ministro in Italia nel compatto governo Berlusconi.

RIPENSARE L’UMBRIA IN CHIAVE EUROPEA

La Rai Radiotelevisione Italiana è un servizio pubblico. La convenzione tra
azienda e Stato Italiano prevede l’obbligo per la televisione pubblica di fornire
informazione, cultura e quanto di altro esiste nel mondo della comunicazione
non scritta. Per utilizzare questo servizio i cittadini hanno l’obbligo di pagare un
canone annuale. La Rai è giustamente criticata per la qualità dei suoi
programmi e il servilismo nei confronti del potere che si percepisce in certi
salotti televisivi fa da pendant alla volgarità di certi programmi di
intrattenimento. La Rai, insomma, non è la BBC. Tuttavia su un punto il
giudizio è da sempre positivo e bipartisan:la qualità tecnica e d’innovazione
delle strutture Rai sono di primo livello. Un programma ripreso dai tecnici e
organizzato dai coordinatori della televisione pubblica può essere scadente e
spesso lo è per i contenuti, ma perfetti per la qualità tecnica. La nostra
televisione è famosa nel mondo per questo motivo. Eppure il fatto istituzionale
e politico più rilevante per l’Europa degli ultimi decenni, la firma a Roma della
costituzione europea, non è stato ripreso dalla Rai. Il servizio pubblico è stato
escluso per volontà del capo del governo e i poveri giornalisti Rai hanno dovuto
commentare immagini costruite da un privato. Le riprese televisive sono state
affidate dall’ineffabile cavaliere ad una società privata. Berlusconi oltre il
barbiere e il cuoco personale ha anche un regista di fiducia. E’ per questo che
abbiamo potuto ammirare la classe superiore dello spot della firma del trattato
costituzionale europeo diretto da Franco Zeffirelli. Ammirevole che il capo del
governo non abbia affidato l’appalto dell’evento a Mediaset, ma ci è stato
spiegato che le società del premier non hanno bisogno di ulteriore aiuto:nel
primo semestre del 2004 l’utile della Fininvest pre-imposte è aumentato del 90
per cento. Non male con la crisi che attanaglia gran parte delle imprese italiane.
Invita alla riflessione il fatto che una cerimonia che ha visto impegnati i leader
istituzionali di tutta Europa sia stata congegnata come un noioso sceneggiato
televisivo in cui la retorica l’ha fatta da padrona.
L’Europa dei popoli? Roma venerdì era una città surreale, la gente è stata
tenuta lontana da tutto il centro storico. Solo arroganti auto blu ne
attraversavano le strade. Evidentemente il popolo era previsto seduto davanti
alla televisione. Ragioni di sicurezza c’è stato spiegato ed anche la motivazione
ci descrive i pessimi tempi che viviamo.
Al di là di tutto, che l’Europa comunitaria sia una grande opportunità lo
sappiamo bene noi umbri. Che la nostra regione utilizza fondi comunitari sono
ormai moltissimi anni. I diversi progetti comunitari hanno contribuito in modo
sostanziale allo sviluppo economico e sociale dell’Umbria e non è stato soltanto
una questione di risorse economiche non soltanto una questione di aiuti
comunitari per le zone disagiate. Il rapporto con Bruxelles ha obbligato tutta la
struttura pubblica e in parte quella privata a modificare le metodologie di
intervento. Lo stesso rapporto con i governi centrali ha mutato di segno. Non
più generiche richieste di intervento, ma un impegno forte alla elaborazione di
progetti e di scelte programmatiche all’interno di obbiettivi di innovazione
concordati con le autorità di Bruxelles e poi con il governo di Roma.
Per molti anni l’Umbria è stata una regione con vaste aree di sottosviluppo o di
crisi nei settori della siderurgia e di altri comparti industriali. Ancora oggi zone
significative soffrono di mancato o insufficiente sviluppo. E’ cosa nota che
2
l’aumento dell’occupazione che pur si è avuto negli ultimi anni, non ha affatto
risolto il vecchio problema di una disoccupazione intellettuale molto
significativa. L’Umbria non è più terra di emigrazione? E’ vero per ciò che
riguarda il lavoro tradizionale. Rimane però una regione dove per molti giovani
laureati l’unica speranza è un impiego pubblico….a tempo determinato. Anche
questa precaria occupazione è una sorta di vincita all’enalotto. Altrimenti si
emigra.
Le punte di eccellenza che pur ci sono di imprese innovative, non riescono ad
assorbire l’offerta di lavoro qualificato di tanti ragazzi e ragazze laureate.
Questo è un enorme problema non facilmente risolvibile. Scorciatoie non ce ne
sono.
E’ tempo di ripensare l’Umbria senza arroccarsi nel già fatto.
Anche da questo punto di vista lo spazio Europeo è una chance, ma è anche un
rischio. Con il 2006 i parametri che hanno consentito all’Umbria di ottenere
molti aiuti comunitari non saranno più efficaci. Con l’allargamento a 25 Paesi si
perdono le caratteristiche che ci hanno permesso di accedere a risorse
significative. Che fare? Importante è considerare l’alta scolarizzazione presente
in Umbria come una risorsa e non come solo un problema di disoccupati da
sistemare. D’altra parte nella struttura pubblica la carta della “rottamazione”
del personale non sembra risponda all’esigenza di riqualificazione e il turnover
del personale dovrà fare i conti con organici già sostanziosi.
La risposta va ricercata in altri settori. Il sostegno alle imprese innovative è
uno dei punti chiave del Patto per lo Sviluppo costruito tra le istituzione e le
forze sociali? Così si dice. Non ci è dato sapere i risultati raggiunti dall’accordo
e pur comprendendo la pazienza necessaria per ottenere risultati in certe cose,
non sarebbe male una messa a punto delle cose fatte e quelle da fare.
Un poco di ottimismo è consentito. Non tutto è negativo. Ad esempio, in
queste ore giunge la notizia che il nostro Paese non dovrà rinunciare alla
cultura e alle competenze dell’onorevole Buttiglione. Ormai è deciso, il filosofo
prestato alla politica non va più a Bruxelles come commissario. Rimane come
ministro in Italia nel compatto governo Berlusconi.

IL CONGRESSO DEI DS SARA’ SOLTANTO UN RITO

Un congresso di partito è sempre un evento importante per la democrazia.
Naturalmente non sempre le assise di partito hanno lo spessore di una svolta
rilevante per la vita interna e per l’immagine esterna di una data formazione
politica. Dipende dalle fasi della democrazia e questa che viviamo è una
pessima fase.
Da un esame delle piattaforme presentate dalle diverse correnti con cui i
Diesse vanno a congresso non sembrano risolti i problemi che attraversano il
maggior raggruppamento della sinistra italiana. Sarebbe ingeneroso non
considerare lo sforzo di elaborazione, ma le idee con cui Fassino vuol essere
riconfermato segretario non hanno la limpidezza necessaria a sciogliere il nodo
che aggroviglia da anni il partito nato dallo scioglimento del PCI. Partito
democratico o partito del socialismo europeo? Siamo ancora a questo nodo.
Nella mozione del segretario diessino rimane irrisolta la questione dell’identità 
dei DS.
E’ tanto vero questo che esponenti di primo piano (Ruffolo, Trentin, Reichlin e
molti altri quasi tutti “fassiniani”), hanno sottoscritto un documento che chiede
al congresso la scelta di enfatizzare il fiore del socialismo europeo nel simbolo
diessino. Meno quercia e più rosa. Se non vuole essere una banale operazione
di marketing, bisognerebbe che gli stessi dirigenti facciano un passo avanti nel
dibattito congressuale chiedendo, alla solida maggioranza di Fassino, di
risolvere finalmente la questione che ha afflitto i diesse negli ultimi quindici
anni: quali valori e ideali rappresentare in Italia e in Europa. E principalmente
quale società  intendono contribuire a costruire dal punto di vista sociale e
democratico.
Riproporre, come Fassino scrive, il riformismo come discrimine e come ideale
non basta. In Italia tutti si dichiarano riformisti, anche i beluscones che a modo
loro, stanno “riformando” il Paese.
Le parole, specialmente se sono aggettivi e non sostantivi, mutano nel tempo e
nel significato. Riformismo non significa niente se non si precisa che cosa e in
quale direzione si riforma. Affermare che i diesse sono per un riformismo di
tipo socialista, chiarirebbe meglio la differenza tra una sinistra moderna, il
centro democratico e la destra liberista. Ma forse qui sta il punto. Una parte
consistente (?) della maggioranza che si richiama a Fassino ritiene che è
proprio l’orizzonte di obbiettivi socialisti che va abolito? E’ questa una
spiegazione logica per l’ambiguità  e il travaglio di questi anni. Il modello di
riformismo che si ha in testa è il blairismo e non la socialdemocrazia
scandinava? Si comprende la cautela. Esplicitare questa scelta (con la guerra
angloamericana in Iraq) qualche problema lo provocherebbe al segretario e alla
sua maggioranza. L’incertezza rimarrà .
L’accordo con la mozione di Fassino sembra essere preponderante.
Le proposte congressuali sono quattro, ma per esseri franchi non sembra che
ci siano grandi possibilità  nè per la mozione dell’onorevole Salvi nè per la
mozione ambientalista. E anche per il raggruppamento che un tempo si
chiamava il correntone le prospettive congressuali non sono esaltanti. Si sono
sfilati i pezzi da novanta e le scelte di Cofferrati hanno perso di significativa
influenza nella dinamica nazionale. L’ex segretario della CGIL diventerà  un
2
buon sindaco ma le consistenti forze della sinistra che ha attratto nel passato si
vanno sfarinando cercando collocazioni più consone.
Esemplare è ciò che sta succedendo in Umbria. La stagione pre elettorale, per
le regionali e politiche, consiglia a molti una ricollocazione negli schieramenti
interni. Niente di nuovo sotto il sole. Una posizione di minoranza non è facile
da gestire. Anche nel passato nei gruppi dirigenti umbri del PCI, le minoranze
non avevano grandi chance di divenire maggioranza e pochi riuscivano a
tenere posizioni diverse da quelle del centro del partito. Nelle fasi congressuali,
mai nel PCI umbro le idee di Ingrao sono state in maggioranza. Nonostante
l’influenza personale del leader della sinistra del partito nella nostra terra
prevaleva sempre la consonanza con Roma.
A conferma, basta analizzare i congressi di “Svolta” del PCI per verificare
quanto risicati erano i voti sulle tesi alternative a quelle del segretario
nazionale. Pochi del gruppo dirigente umbro votavano assieme a Ingrao. La
leggenda dell’Umbria ingraiana è appunto una favola.
La grandezza del PCI umbro consisteva nel sollecitare l’elezione al parlamento
di Ingrao nel collegio umbro pur non condividendo le sue posizioni politiche.
Altri tempi. Pur approvando la linea che veniva da Roma, i leader locali erano
in grado di gestire il dissenso ed anzi come gruppo dirigente complessivo
rivendicavano una autonomia di elaborazione politica dal centro del partito. E
in molte circostanze, l’Umbria divenne laboratorio di idee e di esperienze
particolarmente innovative nel settore della programmazione e nel rapporto tra
le istituzioni democratiche e i cittadini. “Umbria regione aperta” fu il primo
slogan della prima giunta regionale. Visto con gli occhi di oggi sembra uno
slogan eretico.
Non è casuale che il regionalismo umbro sia stato ravvisato, nel passato, tra
quelli a più alta capacità  progettuale e che molte delle concrete realizzazioni
siano state poi “esportate”.
Le stesse esperienze di autogoverno locale hanno contribuito in modo
significativo al progresso della nostra comunità . Anche quando i sindaci o i
presidenti non venivano eletti direttamente, essi erano percepiti, in genere,
come leader popolari e non come professionisti della politica. Il mondo è
cambiato ed inutile stabilire se in meglio o in peggio. In realtà  l’impressione è
che il prossimo congresso dei DS rischia di essere soltanto un rito. Molti giochi
sono fatti (federazione dei riformisti, liste uniche, ecc.. ecc.) e i gruppi dirigenti
che si affermeranno non saranno novità  scioccanti per nessuno. Prevale il
bisogno di volti noti e di continuità .
Corriere dell’Umbria 24 ottobre 2004

IL CONGRESSO DEI DS SARA’ SOLTANTO UN RITO

Un congresso di partito è sempre un evento importante per la democrazia.
Naturalmente non sempre le assise di partito hanno lo spessore di una svolta
rilevante per la vita interna e per l’immagine esterna di una data formazione
politica. Dipende dalle fasi della democrazia e questa che viviamo è una
pessima fase.
Da un esame delle piattaforme presentate dalle diverse correnti con cui i
Diesse vanno a congresso non sembrano risolti i problemi che attraversano il
maggior raggruppamento della sinistra italiana. Sarebbe ingeneroso non
considerare lo sforzo di elaborazione, ma le idee con cui Fassino vuol essere
riconfermato segretario non hanno la limpidezza necessaria a sciogliere il nodo
che aggroviglia da anni il partito nato dallo scioglimento del PCI. Partito
democratico o partito del socialismo europeo? Siamo ancora a questo nodo.
Nella mozione del segretario diessino rimane irrisolta la questione dell’identità
dei DS.
E’ tanto vero questo che esponenti di primo piano (Ruffolo, Trentin, Reichlin e
molti altri quasi tutti “fassiniani”), hanno sottoscritto un documento che chiede
al congresso la scelta di enfatizzare il fiore del socialismo europeo nel simbolo
diessino. Meno quercia e più rosa. Se non vuole essere una banale operazione
di marketing, bisognerebbe che gli stessi dirigenti facciano un passo avanti nel
dibattito congressuale chiedendo, alla solida maggioranza di Fassino, di
risolvere finalmente la questione che ha afflitto i diesse negli ultimi quindici
anni: quali valori e ideali rappresentare in Italia e in Europa. E principalmente
quale società intendono contribuire a costruire dal punto di vista sociale e
democratico.
Riproporre, come Fassino scrive, il riformismo come discrimine e come ideale
non basta. In Italia tutti si dichiarano riformisti, anche i beluscones che a modo
loro, stanno “riformando” il Paese.
Le parole, specialmente se sono aggettivi e non sostantivi, mutano nel tempo e
nel significato. Riformismo non significa niente se non si precisa che cosa e in
quale direzione si riforma. Affermare che i diesse sono per un riformismo di
tipo socialista, chiarirebbe meglio la differenza tra una sinistra moderna, il
centro democratico e la destra liberista. Ma forse qui sta il punto. Una parte
consistente (?) della maggioranza che si richiama a Fassino ritiene che è
proprio l’orizzonte di obbiettivi socialisti che va abolito? E’ questa una
spiegazione logica per l’ambiguità e il travaglio di questi anni. Il modello di
riformismo che si ha in testa è il blairismo e non la socialdemocrazia
scandinava? Si comprende la cautela. Esplicitare questa scelta (con la guerra
angloamericana in Iraq) qualche problema lo provocherebbe al segretario e alla
sua maggioranza. L’incertezza rimarrà.
L’accordo con la mozione di Fassino sembra essere preponderante.
Le proposte congressuali sono quattro, ma per esseri franchi non sembra che
ci siano grandi possibilità né per la mozione dell’onorevole Salvi né per la
mozione ambientalista. E anche per il raggruppamento che un tempo si
chiamava il correntone le prospettive congressuali non sono esaltanti. Si sono
sfilati i pezzi da novanta e le scelte di Cofferrati hanno perso di significativa
influenza nella dinamica nazionale. L’ex segretario della CGIL diventerà un
2
buon sindaco ma le consistenti forze della sinistra che ha attratto nel passato si
vanno sfarinando cercando collocazioni più consone.
Esemplare è ciò che sta succedendo in Umbria. La stagione pre elettorale, per
le regionali e politiche, consiglia a molti una ricollocazione negli schieramenti
interni. Niente di nuovo sotto il sole. Una posizione di minoranza non è facile
da gestire. Anche nel passato nei gruppi dirigenti umbri del PCI, le minoranze
non avevano grandi chance di divenire maggioranza e pochi riuscivano a
tenere posizioni diverse da quelle del centro del partito. Nelle fasi congressuali,
mai nel PCI umbro le idee di Ingrao sono state in maggioranza. Nonostante
l’influenza personale del leader della sinistra del partito nella nostra terra
prevaleva sempre la consonanza con Roma.
A conferma, basta analizzare i congressi di “Svolta” del PCI per verificare
quanto risicati erano i voti sulle tesi alternative a quelle del segretario
nazionale. Pochi del gruppo dirigente umbro votavano assieme a Ingrao. La
leggenda dell’Umbria ingraiana è appunto una favola.
La grandezza del PCI umbro consisteva nel sollecitare l’elezione al parlamento
di Ingrao nel collegio umbro pur non condividendo le sue posizioni politiche.
Altri tempi. Pur approvando la linea che veniva da Roma, i leader locali erano
in grado di gestire il dissenso ed anzi come gruppo dirigente complessivo
rivendicavano una autonomia di elaborazione politica dal centro del partito. E
in molte circostanze, l’Umbria divenne laboratorio di idee e di esperienze
particolarmente innovative nel settore della programmazione e nel rapporto tra
le istituzioni democratiche e i cittadini. “Umbria regione aperta” fu il primo
slogan della prima giunta regionale. Visto con gli occhi di oggi sembra uno
slogan eretico.
Non è casuale che il regionalismo umbro sia stato ravvisato, nel passato, tra
quelli a più alta capacità progettuale e che molte delle concrete realizzazioni
siano state poi “esportate”.
Le stesse esperienze di autogoverno locale hanno contribuito in modo
significativo al progresso della nostra comunità. Anche quando i sindaci o i
presidenti non venivano eletti direttamente, essi erano percepiti, in genere,
come leader popolari e non come professionisti della politica. Il mondo è
cambiato ed inutile stabilire se in meglio o in peggio. In realtà l’impressione è
che il prossimo congresso dei DS rischia di essere soltanto un rito. Molti giochi
sono fatti (federazione dei riformisti, liste uniche, ecc.. ecc.) e i gruppi dirigenti
che si affermeranno non saranno novità scioccanti per nessuno. Prevale il
bisogno di volti noti e di continuità.
Corriere dell’Umbria 24 ottobre 2004

L’AMERICA CHE E’ IN NOI

La stagione elettorale è iniziata con la violenza verbale del
Cavalier Berlusconi. L’accusa al centrosinistra è di aver fondato
un regime. Un regime comunista, naturalmente. Come un qualsiasi
imbonitore di successo, Berlusconi sa che gli insulti, anche se
ridicolmente falsi, ripetuti, urlati, alla fine lasciano il segno.
La pubblicità  non è tutta una costruzione di banali assurdità 
ripetute in maniera ossessiva? Non si vende un prodotto perchè è
buono, si vende un’atmosfera, un’illusione.
Berlusconi dichiara illegittime le prossime elezioni regionali
soltanto perchè, con molto ritardo, si disciplina l’uso dei mass
media nella propaganda elettorale. Berlusconi sa bene di mentire.
Continua nella sua linea peronista che, si badi bene, è abbastanza
in sintonia con molti degli umori di fondo della gente e non solo
nel nostro Paese. L’Austria insegna.
Roma è tappezzata da manifesti di Alleanza Nazionale che dicono:
“Attenti ai brogli. Il 16 aprile non ti fare espropriare il voto”.
Si mettono le mani avanti rispetto ad una possibile sconfitta del
centro destra. Si dirà  che la spinta all’astensionismo colpisce
più il centrosinistra e allora fa comodo che il Polo drammatizzi
le elezioni regionali, aumenterà  la mobilitazione dell’elettorato
del centrosinistra. L’impressione è che mistificando così si rende
ancora più fragile la democrazia del nostro Paese.
L’anomalia italiana ha cambiato segno: un tempo era il Paese
europeo con la sinistra comunista più forte. Oggi l’anomalia sta
tutta nel tipo di destra e nella leadership berlusconiana. E’ da
non sottovalutare il lavoro fatto in questi anni da Berlusconi per
accreditarsi come un moderato spendibile nel mercato del liberismo
imperante. L’adesione ai Popolari Europei è stato un indubbio
successo di Forza Italia e una sconfitta per i popolari italiani.
Tornando alle origini Forza Italia, il Polo sarebbe meglio dire,
mette sempre al primo posto gli interessi materiali del suo Capo.
Così è stato per la legge sulla regolamentazione degli spazi
televisivi. Il Polo ha messo in moto al grido “libertà “ tutti i
mezzi disponibili: manifesti, spot a migliaia, aerei in cielo con
striscioni, presentatori e ballerine delle reti Mediaset.
Affrontare, con qualche anno di ritardo, la questione del
conflitto d’interessi di Berlusconi rischia di causare la terza
guerra mondiale.
C’è una certezza assoluta: l’incapacità  del centrosinistra di
scegliere i tempi nel fare le cose. Non si pongono nemmeno il
problema di perchè, nonostante che il Governo del Paese e tanta
parte del Governo Locale siano diretti da uomini e donne dei
Partiti che formano la coalizione, il consenso e i voti non
aumentino anzi. Le sinistre italiane sono numerose come sigle.
Tutte al loro minimo storico.
Stupisce la debolezza della risposta delle forze politiche del
centrosinistra, il silenzio rumoroso di tanta parte
dell’intellettualità  italiana, la quasi indifferenza del movimento
sindacale, rispetto allo stato della democrazia italiana, sul vero
e proprio tracollo del rapporto politica con i cittadini. Si
preferisce discutere su chi dovrà  essere il leader per le elezioni
del 2001 indebolendo il già  fragile Governo D’Alema.
Forme di schizofrenia politica prevalgono sulla limpidezza delle
posizioni. Pannella e la Bonino fanno accordi con Berlusconi?
Veltroni richiama tutti al dovere di discutere con il duetto più
amato d’Italia perchè: “Tante cose ci uniscono ai radicali”.
Quali? Non è dato sapere. Lo spinello libero non ci sembra
sufficiente per un alleanza con i liberisti più liberisti
d’Italia.
Il congresso di Torino rivendica il legame con la Socialdemocrazia
Europea. Veltroni organizza i Diesse come un partito americano. Ci
si inventa il fund raiser (cercatore di sottoscrizioni) tipica
figura del Partito di Clinton.
Il fascista Haider promette guerra agli immigrati e agli
emarginati. Il Ministro Bianco propone di mandare in galera dopo
il primo grado di giudizio a prescindere dalla Costituzione su cui
ha giurato fedeltà .
Si riapre la possibilità  di un accordo Centrosinistra-
Rifondazione. Il PCDI si sente discriminato e strilla l’esigenza
di valorizzare gli unici comunisti doc. Naturalmente sarebbero
loro.
Come ci orientiamo noi poveracci che dovremo votare tra un mese?
Il rigetto del berlusconismo sarà  sufficiente ad evitare altre
ondate di astensione di massa del popolo della sinistra?
Vengono al pettine gli intrecci di una stagione politica in cui la
sinistra di governo italiana ha smarrito ogni senso di sè, della
sua storia, dei suoi doveri. Si doveva andare oltre le tradizioni
del movimento operaio non appiattirsi sull’esistente.
Se si esaminano bene le cose quanto sta succedendo ciò è
certamente dovuto a scelte incaute dei dirigenti del
centrosinistra, l’elenco degli errori sarebbe lungo. Ma non si è
trattato di errori non voluti. Lo stato delle cose è frutto di una
scelta consapevole e convinta dei tanti, intellettuali, militanti
e dirigenti politici, che ritengono applicabile in Italia il
modello del maggioritario secco che vige in Inghilterra e negli
Stati Uniti come risposta alla crisi democratica. Il sistema
maggioritario come nuova ideologia.
I fattori di svolta sono stati molti. Ne citò soltanto due: il
referendum guidato da Segni contro la quota proporzionale; la
legge per l’elezione diretta dei sindaci.
Questi due momenti, dell’ultimo decennio, hanno significato la
morte della Repubblica fondata sui partiti di massa molto più che
i colpi venuti da Tangentopoli al sistema politico corrotto. Non
si è voluto riformare i partiti, si è coscientemente scelta la
strada della loro distruzione. Si è agito per governi “forti” e
per assemblee elettive senza poteri reali.
Che cosa si vuol dire? Eleggere direttamente il sindaco ha tolto,
finalmente, alle segreterie dei partiti il potere di decidere? Sì,
ma ha sostituito quel potere con un altro potere. Quello personale
del candidato e quello delle oligarchie che selezionano il
candidato. Nessun rimpianto per i vecchi metodi, ma dovremo pur
riflettere sulle conseguenze di una scelta di sistema elettorale
di tipo presidenziale. Questo sistema ha creato una nuova figura
politica. Un leader che con una propria squadra, risponde una
volta eletto, soltanto agli elettori. Non ha più bisogno di
strutture politiche di sostegno, i partiti politici divengono
obsoleti esattamente come le assemblee elettive. L’unica forma di
aggregazione reale è quella dei comitati elettorali che, come è
ovvio, servono per le elezioni e non per discussioni politiche.
Come si è visto, poi, alcuni di questi nostri Sindaci sanno far di
tutto un po’. Parlamentari europei, dirigenti di movimenti,
Ministri della Repubblica, alcuni corrono per diventare
Governatori (i prossimi Presidenti di Regione). Alcuni hanno una
visione dell’opportunità  politica molto particolare e tutte dovute
alle loro esigenze personali. Ognuno di loro potenzialmente è un
piccolo partito e agisce come tale.
Tentato il Movimento dei Sindaci, alcuni si accontentano di una
carriera politica che non deve mai avere limiti. L’elezione
diretta dei presidenti di giunta regionale prosegue, enfatizza,
questa scelta istituzionale. E’ questa la personalizzazione della
politica.
Non bisogna essere provinciali.
Questo processo non è stato inventato nè da Segni nè da Veltroni
nè da Rutelli. E’ quanto successo, ormai da molti anni, negli
Stati Uniti. Non è un sistema politico perfetto. Funziona così,
così, a me non piace. Il popolo americano vota poco, ma questo
rientra nelle loro tradizioni e poi l’importante è vincere anche
con pochi votanti. Per essere eletti in America bisogna avere
tantissimi soldi le campagne elettorali durano mesi e costano
tanto. Una volta eletto il deputato o il senatore, per essere
confermato, ha bisogno di molti fund raiser e molti lobbisti che
pagano, ma le leggi di quel Paese lo consentono (da noi no). E’
noto che il ricambio delle classi politiche in America è tra i più
lenti del mondo. Se entri al Senato o alla Camera hai molte
possibilità  di ritornarci per molte volte, basta assecondare i
lobbisti. Forse anche per questo il sistema piace ai nostri
innovatori al potere. Il futuro è assicurato. La cosa non deve
scandalizzare più di tanto. Quando la politica cessa di essere
strumento di mutamento della condizione umana per divenire
strumento passivo dell’economia è logica il prevalere di una
visione particolaristica della vita democratica. Non più leader
politici, ma gestori dell’esistente.Riformisti che non fanno
riforme. Innovatori che non innovano. Galleggiano su un esistente
non da loro determinato e che non riusciranno a modificare.
Micropolis febbraio 2000

L’AMERICA CHE E’ IN NOI

La stagione elettorale è iniziata con la violenza verbale del
Cavalier Berlusconi. L’accusa al centrosinistra è di aver fondato
un regime. Un regime comunista, naturalmente. Come un qualsiasi
imbonitore di successo, Berlusconi sa che gli insulti, anche se
ridicolmente falsi, ripetuti, urlati, alla fine lasciano il segno.
La pubblicità non è tutta una costruzione di banali assurdità
ripetute in maniera ossessiva? Non si vende un prodotto perché è
buono, si vende un’atmosfera, un’illusione.
Berlusconi dichiara illegittime le prossime elezioni regionali
soltanto perché, con molto ritardo, si disciplina l’uso dei mass
media nella propaganda elettorale. Berlusconi sa bene di mentire.
Continua nella sua linea peronista che, si badi bene, è abbastanza
in sintonia con molti degli umori di fondo della gente e non solo
nel nostro Paese. L’Austria insegna.
Roma è tappezzata da manifesti di Alleanza Nazionale che dicono:
“Attenti ai brogli. Il 16 aprile non ti fare espropriare il voto”.
Si mettono le mani avanti rispetto ad una possibile sconfitta del
centro destra. Si dirà che la spinta all’astensionismo colpisce
più il centrosinistra e allora fa comodo che il Polo drammatizzi
le elezioni regionali, aumenterà la mobilitazione dell’elettorato
del centrosinistra. L’impressione è che mistificando così si rende
ancora più fragile la democrazia del nostro Paese.
L’anomalia italiana ha cambiato segno: un tempo era il Paese
europeo con la sinistra comunista più forte. Oggi l’anomalia sta
tutta nel tipo di destra e nella leadership berlusconiana. E’ da
non sottovalutare il lavoro fatto in questi anni da Berlusconi per
accreditarsi come un moderato spendibile nel mercato del liberismo
imperante. L’adesione ai Popolari Europei è stato un indubbio
successo di Forza Italia e una sconfitta per i popolari italiani.
Tornando alle origini Forza Italia, il Polo sarebbe meglio dire,
mette sempre al primo posto gli interessi materiali del suo Capo.
Così è stato per la legge sulla regolamentazione degli spazi
televisivi. Il Polo ha messo in moto al grido “libertà” tutti i
mezzi disponibili: manifesti, spot a migliaia, aerei in cielo con
striscioni, presentatori e ballerine delle reti Mediaset.
Affrontare, con qualche anno di ritardo, la questione del
conflitto d’interessi di Berlusconi rischia di causare la terza
guerra mondiale.
C’è una certezza assoluta: l’incapacità del centrosinistra di
scegliere i tempi nel fare le cose. Non si pongono nemmeno il
problema di perché, nonostante che il Governo del Paese e tanta
parte del Governo Locale siano diretti da uomini e donne dei
Partiti che formano la coalizione, il consenso e i voti non
aumentino anzi. Le sinistre italiane sono numerose come sigle.
Tutte al loro minimo storico.
Stupisce la debolezza della risposta delle forze politiche del
centrosinistra, il silenzio rumoroso di tanta parte
dell’intellettualità italiana, la quasi indifferenza del movimento
sindacale, rispetto allo stato della democrazia italiana, sul vero
e proprio tracollo del rapporto politica con i cittadini. Si
preferisce discutere su chi dovrà essere il leader per le elezioni
del 2001 indebolendo il già fragile Governo D’Alema.
Forme di schizofrenia politica prevalgono sulla limpidezza delle
posizioni. Pannella e la Bonino fanno accordi con Berlusconi?
Veltroni richiama tutti al dovere di discutere con il duetto più
amato d’Italia perché: “Tante cose ci uniscono ai radicali”.
Quali? Non è dato sapere. Lo spinello libero non ci sembra
sufficiente per un alleanza con i liberisti più liberisti
d’Italia.
Il congresso di Torino rivendica il legame con la Socialdemocrazia
Europea. Veltroni organizza i Diesse come un partito americano. Ci
si inventa il fund raiser (cercatore di sottoscrizioni) tipica
figura del Partito di Clinton.
Il fascista Haider promette guerra agli immigrati e agli
emarginati. Il Ministro Bianco propone di mandare in galera dopo
il primo grado di giudizio a prescindere dalla Costituzione su cui
ha giurato fedeltà.
Si riapre la possibilità di un accordo Centrosinistra-
Rifondazione. Il PCDI si sente discriminato e strilla l’esigenza
di valorizzare gli unici comunisti doc. Naturalmente sarebbero
loro.
Come ci orientiamo noi poveracci che dovremo votare tra un mese?
Il rigetto del berlusconismo sarà sufficiente ad evitare altre
ondate di astensione di massa del popolo della sinistra?
Vengono al pettine gli intrecci di una stagione politica in cui la
sinistra di governo italiana ha smarrito ogni senso di sé, della
sua storia, dei suoi doveri. Si doveva andare oltre le tradizioni
del movimento operaio non appiattirsi sull’esistente.
Se si esaminano bene le cose quanto sta succedendo ciò è
certamente dovuto a scelte incaute dei dirigenti del
centrosinistra, l’elenco degli errori sarebbe lungo. Ma non si è
trattato di errori non voluti. Lo stato delle cose è frutto di una
scelta consapevole e convinta dei tanti, intellettuali, militanti
e dirigenti politici, che ritengono applicabile in Italia il
modello del maggioritario secco che vige in Inghilterra e negli
Stati Uniti come risposta alla crisi democratica. Il sistema
maggioritario come nuova ideologia.
I fattori di svolta sono stati molti. Ne citò soltanto due: il
referendum guidato da Segni contro la quota proporzionale; la
legge per l’elezione diretta dei sindaci.
Questi due momenti, dell’ultimo decennio, hanno significato la
morte della Repubblica fondata sui partiti di massa molto più che
i colpi venuti da Tangentopoli al sistema politico corrotto. Non
si è voluto riformare i partiti, si è coscientemente scelta la
strada della loro distruzione. Si è agito per governi “forti” e
per assemblee elettive senza poteri reali.
Che cosa si vuol dire? Eleggere direttamente il sindaco ha tolto,
finalmente, alle segreterie dei partiti il potere di decidere? Sì,
ma ha sostituito quel potere con un altro potere. Quello personale
del candidato e quello delle oligarchie che selezionano il
candidato. Nessun rimpianto per i vecchi metodi, ma dovremo pur
riflettere sulle conseguenze di una scelta di sistema elettorale
di tipo presidenziale. Questo sistema ha creato una nuova figura
politica. Un leader che con una propria squadra, risponde una
volta eletto, soltanto agli elettori. Non ha più bisogno di
strutture politiche di sostegno, i partiti politici divengono
obsoleti esattamente come le assemblee elettive. L’unica forma di
aggregazione reale è quella dei comitati elettorali che, come è
ovvio, servono per le elezioni e non per discussioni politiche.
Come si è visto, poi, alcuni di questi nostri Sindaci sanno far di
tutto un po’. Parlamentari europei, dirigenti di movimenti,
Ministri della Repubblica, alcuni corrono per diventare
Governatori (i prossimi Presidenti di Regione). Alcuni hanno una
visione dell’opportunità politica molto particolare e tutte dovute
alle loro esigenze personali. Ognuno di loro potenzialmente è un
piccolo partito e agisce come tale.
Tentato il Movimento dei Sindaci, alcuni si accontentano di una
carriera politica che non deve mai avere limiti. L’elezione
diretta dei presidenti di giunta regionale prosegue, enfatizza,
questa scelta istituzionale. E’ questa la personalizzazione della
politica.
Non bisogna essere provinciali.
Questo processo non è stato inventato né da Segni né da Veltroni
né da Rutelli. E’ quanto successo, ormai da molti anni, negli
Stati Uniti. Non è un sistema politico perfetto. Funziona così,
così, a me non piace. Il popolo americano vota poco, ma questo
rientra nelle loro tradizioni e poi l’importante è vincere anche
con pochi votanti. Per essere eletti in America bisogna avere
tantissimi soldi le campagne elettorali durano mesi e costano
tanto. Una volta eletto il deputato o il senatore, per essere
confermato, ha bisogno di molti fund raiser e molti lobbisti che
pagano, ma le leggi di quel Paese lo consentono (da noi no). E’
noto che il ricambio delle classi politiche in America è tra i più
lenti del mondo. Se entri al Senato o alla Camera hai molte
possibilità di ritornarci per molte volte, basta assecondare i
lobbisti. Forse anche per questo il sistema piace ai nostri
innovatori al potere. Il futuro è assicurato. La cosa non deve
scandalizzare più di tanto. Quando la politica cessa di essere
strumento di mutamento della condizione umana per divenire
strumento passivo dell’economia è logica il prevalere di una
visione particolaristica della vita democratica. Non più leader
politici, ma gestori dell’esistente.Riformisti che non fanno
riforme. Innovatori che non innovano. Galleggiano su un esistente
non da loro determinato e che non riusciranno a modificare.
Micropolis febbraio 2000