Nel mercatone dei nominati in Parlamento i saldi di fine stagione stanno spostando forze dall’opposizione al governo Berlusconi-Bossi. La transumanza assume aspetti dell’avanspettacolo degli anni 50 con comiche conversioni o riconversioni come quella del senatore Paolo Guzzanti autore di “Mignottocrazia”, un libro scritto in onore del Cavaliere o Sultano di Arcore. Guzzanti è stato fondatore, soltanto due mesi or sono, del mitico Terzo Polo di Fini, Rutelli e Casini, lui rappresentava il PLI. Il Guzzanti esce dal Partito Liberale Italiano e va con il gruppo dei Responsabili che come è noto lavorano disinteressatamente per il bene del Paese.
Più complessa la vicenda delle fuoriuscite dal novello partito di Fini. Fondato a Milano una settimana fa, ha cominciato a registrare le fughe di diversi senatori e deputati. Le ragioni di alcuni sono brutali per chiarezza. Il senatore Giuseppe Menardi, ingegnere e imprenditore, ha svolto tre legislature e ne vuole fare una quarta. Potrà  così continuare a prendere i lauti compensi del parlamentare, aumentare il vitalizio e contemporaneamente occuparsi della sua Società  di progettazione. Meglio di così?
Ma altre defezioni dal FLI hanno motivazioni più politiche e forse la responsabilità  dello smottamento ricade anche su Fini. Berlusconi è il proprietario del PDL. Un Partito che non ha organi di direzione che svolgono riunioni e prendono decisioni. I tre coordinatori Verdini, La Russa e Bondi ricevono telefonate dal Capo e agiscono di conseguenza. E’ ammissibile che il FLI si sia dato un gruppo dirigente sulla base delle esclusive volontà  del Presidente della Camera? Così facendo non si porta acqua alla deriva della democrazia italiana? Scopre adesso, Fini, che Berlusconi ha un potere economico e mediatico tale da consentire campagne acquisti per vincere il campionato di calcio e rimanere in sella al suo governicchio? Se Fini avesse la pazienza di leggere i giornali esteri avrebbe coscienza di come è considerata l’Italia fuori dai confini e non da oggi.
“Il lento ma costante declino economico dell’Italia compromette la sua capacità  di svolgere un ruolo nell’arena internazionale. La sua leadership spesso manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno paese europeo. La riluttanza o l’incapacità  dei leader italiani a contrastare molti dei problemi che affliggono la società , come un sistema economico non competitivo, l’obsolescenza delle infrastrutture, il debito pubblico crescente, la corruzione endemica, hanno dato tra i partner l’impressione di una governance inefficiente e irresponsabile. Il primo ministro Silvio Berlusconi è il simbolo di questa immagine.
Il premier Silvio Berlusconi con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole ha offeso nel corso del suo mandato quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader politico europeo, mentre la sua volontà  di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa ed ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell’Italia in molte branche del governo degli Stati Uniti”.
Così scriveva nel febbraio 2009 l’ambasciatore americano a Roma.
Anche la vicenda di Futuro e Libertà  segnala la crisi dei partiti e del ceto politico in campo. Un ceto che è rimasto a bocca aperta domenica scorsa quando un milione di donne è sceso in piazza a salvaguardia della dignità  loro e dell’Italia. Una mobilitazione fuori dai partiti e dalle logiche di palazzo, frutto soltanto di uno scatto collettivo di indignazione e di democratica ribellione per lo stato in cui è ridotta la Repubblica e, per una volta, i giornali di tutto il mondo hanno apprezzato con meraviglia ciò che succedeva nel Bel Paese. Soltanto le donne ci possono salvare? Molti lo pensano.
Le oligarchie della politica sono tutte segnate da personaggi sclerotizzati da anni di carriera politica che non si è interrotta nemmeno dopo sonore sconfitte. Il berlusconismo è un modo di essere e di vivere la politica che ha segnato nel profondo il popolo ma anche la classe dirigente politica e non solo. La grande stampa d’informazione non sembra accorgersi di come la democrazia italiana si sia trasformata in qualcosa di diverso dal conosciuto. Ci è stato insegnato che si può definire democratico un regime dove esistono tre poteri autonomi: il legislativo, l’esecutivo, la magistratura. Oggi in Italia il potere legislativo non ha più alcuna autonomia. La paralisi del Paralamento è sotto gli occhi di tutti. I nominati lavorano tre giorni a settimana perchè c’è pochissimo da legiferare. Il decreto Mille Proroghe non passerà  all’esame delle commissioni a prescindere dai regolamenti a conferma della subalternità  del potere legislativo. Il Consiglio dei Ministri delibera non decreti legge ma una bozza delle linee della controriforma della magistratura. Berlusconi promette che le toghe rosse cesseranno di indagare e intercettare e se lo dice Lui dobbiamo credergli.
Posso sbagliare, ma a me sembra che il regime in cui viviamo somigli sempre più alle democrazie popolari del sistema imposto ai Paesi satelliti dai vecchi compagni di Putin. Anche in Bulgaria i parlamentari non venivano eletti, ma nominati. I parlamenti legiferavano sulla base delle direttive del partito e la magistratura rispondeva ai desiderata della burocrazia politica.
Lo sforzo dovrebbe essere quello di attivare un processo che inverta quanto successo negli ultimi venti anni nel nostro Paese. Gli anticorpi sono tutti scritti nella Carta Costituzionale il cui rispetto è compito del Presidente Napolitano. Non è senza ragione se l’unica figura apprezzata dalla stragrande maggioranza del popolo sia il Presidente della Repubblica. Questo apprezzamento significa che la deriva plebiscitaria può essere fermata. Le agorà  del Mediterraneo stanno cacciando, con la non violenza, dittatori che sembravano immortali. Anche l’amico Gheddafi non se la passa benissimo e i morti che la sua polizia sta provocando non sono cosa che il Ministro Frattini può continuare ad ignorare.
Il lungo sonno degli italiani sembra finire e, nonostante la debolezza dell’opposizione parlamentare, si può cominciare a pensare che ci sia la condizione per andare oltre alla miseria dei saldi di fine stagione del mercato della politica. Le donne e i giovani ci salveranno.

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