Dalla Padania all’isola di Lampedusa un solo grido di giubilo si è levato dal popolo: Lui resta. Resta a fare il Capo fino a quando non riuscirà  ad abbassare le tasse agli italiani. Lui ha la squadra dei nominati/acquisiti in Parlamento e andrà  avanti per salvare l’Italia dai comunisti.
Esattamente come diciassette anni or sono e dopo che il Cavaliere è stato al governo per otto anni degli ultimi dieci, siamo ancora alla promessa berlusconiana dell’abbassamento delle tasse.
Per intanto il Suo governo approva una manovra finanziaria che in tre anni farà  alzare la pressione fiscale in maniera ancor più radicale di quanto abbiano già  fatto i governi della destra in questi anni. Sia chiaro l’aumento non riguarderà  tutti: coloro che non hanno pagato mai le tasse o lo hanno fatto in modo parziale, continueranno o a evadere o a eludere sistematicamente.
Non un Euro in più pagheranno i precettori di rendite finanziarie o il ceto politico. Le grandi ricchezze non saranno nemmeno sfiorate dalla manovra lacrime e sangue del governo della destra berlusconiana.
L’evento parlamentare di venerdì? Si è trattato di un Family Day all’incontrario.
Saranno, infatti, le famiglie a sostenere l’intera manovra necessitata dal risanamento dei conti pubblici. Chissà  se le gerarchie cattoliche prenderanno coscienza del disastro, per le famiglie e il Paese, prodotto dalle scelte dei cattolicissimi berluscones? Mentre la Camera dei Deputati approvava la manovra, l’Istat pubblicava una nota: “La povertà  in Italia”. Agghiacciante. Sono oltre otto milioni gli individui in condizioni di povertà  relativa. Sono oltre un milione le famiglie in condizione di povertà  assoluta. Marco Revelli scrive sul “Manifesto” di sabato: “Soprattutto però i dati Istat confermano la persistenza, anzi l’aggravamento, di tutte le caratteristiche
che sono state indicate come tipiche del “modello di povertà ” italiano. Un modello patologico, senza confronti in Europa.
Esse sono tre. In primo luogo lo squilibrio nord-sud, con un differenziale territoriale che per la povertà  relativa raggiunge le 5 volte: il 67% della povertà  italiana continua a concentrarsi
nel Mezzogiorno, nonostante vi risieda appena il 31% della popolazione. In secondo luogo l’altissima incidenza della povertà  tra le famiglie numerose, in particolare quelle con figli
minori a carico, che fa dell’Italia la maglia nera in Europa per quanto riguarda la più scandalosa delle povertà , quella dei minori, che qui raggiunge la percentuale record del 25% (secondo l’agenzia statistica europea Eurostat). Infine l’alto livello di povertà , sia relativa che assoluta, tra i lavoratori. La presenza,
imbarazzante, dei working poor, dei “poveri al lavoro”. O, se si preferisce, di coloro che sono poveri sebbene lavorino (più del 6% sono in condizione di povertà  assoluta!). Ebbene, tutti e tre questi aspetti risultano ““ in alcuni casi drammaticamente ““ peggiorati nell’ultimo anno. àˆ sconvolgente che la povertà 
relativa sia aumentata, in un solo anno, tra le famiglie numerose, di ben 5 punti percentuali (dal 24,9% al 29,9%). E che nel Meridione, tra le famiglie con tre e più figli minori, il balzo
sia stato addirittura di 11 punti (dal 36,7% al47,3%). Significa che lì, un minore su due vive in una famiglia povera.
Purtroppo la manovra approvata aggraverà  questa situazione già  di per se allarmante.
Anche il sorridente Bersani si è accorto che quella approvata venerdì scorso è una manovra classista che scarica sui ceti medi e sui più poveri l’onere del risanamento dei conti pubblici. Forse anche nel PD comincia ad emergere una velata critica all’ideologia liberista dominante a Roma e a Bruxelles? Che di fronte al rischio dovuto all’ondata speculativa fosse necessario uno scatto del Parlamento nel decidere l’intervento, è sembrata cosa saggia. Che il risultato prodotto sarà  quello di bloccare la speculazione non è affatto scontato. Uno dei problemi del Paese è certo il debito pubblico, ma fondamentale rimane il fatto che sono ormai dieci anni di epopea berlusconiana in cui l’Italia non è cresciuta nella sua economia. Senza crescita i problemi del debito non potranno che aggravarsi. Colpendo così radicalmente le condizioni economiche del ceto medio e dei meno abbienti come sarà  possibile invertire la tendenza alla recessione? Quale incidenza potranno avere i consumi di quel 10 per cento di straricchi che possiede quasi il 50% della ricchezza nazionale? Quante Suv o panfili o ville al mare e in montagna potranno acquistare i ricconi per aiutare la ripresa del Paese? L’egoismo proprietario è uno dei motori del declino italiano.
Se all’aumento della pressione fiscale per lavoratori e pensionati si aggiunge la destrutturazione di quel poco di welfare che c’era in Italia, non ci resta che piangere e indignarsi e protestare contro una classe dirigente irresponsabile.
Il federalismo? La Lega se lo scordi. Con i tagli previsti da oggi al 2014 per tutto il sistema delle autonomie locali e delle regioni, parlare di federalismo fiscale è come tentare di vendere frigoriferi al polo nord. Comuni e Regioni non avranno le risorse per assicurare servizi essenziali al cittadino se non aumentando in maniera radicale tariffe e imposte. Chi potrà  pagare le rette dei pochi asilo nido o delle esigue strutture di supporto agli anziani? Chi avrà  i mezzi per aiutare l’indigente?
La manovra ha come conseguenza istituzionale un’ondata di centralismo che svuota completamente ogni possibilità  di autogoverno cittadino o regionale.
Per l’Umbria l’autogoverno è stato sempre un obbiettivo, una bandiera delle classi dirigenti politiche e sociali.
La nostra comunità  ha cominciato ad uscire dal sottosviluppo quando si sono conquistati spazzi per governare le collettività  locali attraverso processi di partecipazione diffusa in un disegno regionalista. Al di là  dei giudizi sul ceto politico, recuperare uno spazio di salvaguardia dell’autonomia locale è compito che riguarda l’intera classe dirigente dell’Umbria. Se c’è batta un colpo.

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