Finalmente, ha esclamato qualche compagno. Una liberazione, ha detto qualcun altro. Ci sono voluti diciotto anni, ma alla fine l’equivoco degli eredi del PCI al lavoro per rinnovare la sinistra italiana si è concluso. Fassino ha un bel dire che nel partito democratico porteranno le bandiere della loro storia. Esse non sono apprezzate da Rutelli e margheritini che, al loro congresso, hanno confermato il niet all’adesione al partito socialista europeo e non vogliono morire socialisti. D’altra parte, ad essere sinceri, ci sembra giusto dire che quelle bandiere sono state ammainate da molti anni ed è da molti anni che i valori ed gli interessi da esse rappresentate non sono più nell’agenda politica dei riformisti italiani. Le radici sono state tagliate da tempo. Da quando i riformisti (a quel tempo si chiamavano progressisti) scelsero di americanizzare la politica italiana: la politica divenne per molti carriera personale, le sezioni comitati elettorali e i gruppi dirigenti oligarchie inamovibili.
Non è questa l’occasione, ma forse sarebbe utile una ricerca su quello che è oggi il partito dei DS. Siamo convinti che anche se i dirigenti, a tutti i livelli, sono gli stessi di venti anni fa, la base degli iscritti e degli elettori ha subito una mutazione genetica profondissima.  Il mitico popolo “rosso” non esiste da lunghissimo tempo e il congresso di Firenze ne certifica soltanto la scomparsa.
Finisce una storia, ne inizia un’altra o meglio altre due. Quella del partito di Rutelli e Fassino e quella di un movimento per ricomporre la sinistra italiana. Chi ha più filo tesserà , si diceva una volta tra comunisti e socialisti.
Come nasce il PD? Quali i valori e gli interessi che si vuol rappresentare?
“Non abbiamo chiarito niente di ciò che è essenziale. I grandi temi – lavoro,sapere, ambiente, questione morale e riforma della politica ““ galleggiano con insostenibile leggerezza nel dibattito politico sul Partito Democratico.” Fabio Mussi ha ragione quando denuncia l’inconsistenza della piattaforma politica con cui i DS si accingono a sciogliersi nel partito democratico.
Poteva essere altrimenti? Fassino assicura che non si sta lavorando ad un partito all’americana. Gli atti concreti dicono il contrario. La non riproducibilità  dei partiti di massa conosciuti nel passato non significa optare per una politica che esaurisce il suo compito nell’amministrare la cosa pubblica. Fassino, nella sua relazione, non ha minimamente affrontato la questione dello stato della democrazia italiana. Ha denunciato la presenza di ventitre partiti in Parlamento senza domandarsi il perchè di questa frantumazione. I partiti personali e quelli famigliari sono il prodotto delle scelte sbagliate nelle “riforme” istituzionali prodotte anche dalla sinistra riformista: il presidenzialismo è ormai nel patrimonio genetico del ceto politico diessino. Riproporre un partito che ha come compito esclusivo quello di produrre assessori e sindaci, manager pubblici o presidenti può servire a gestire l’esistente più o meno bene, ma difficilmente riesce a cambiare un Paese e non rinvigorisce la democrazia.
Ridurre la selezione delle classi dirigenti al meccanismo delle primarie produce principi, feudatari e vassalli, non intelligenze collettive. Veltroni, king maker del PD, sostiene che essere di sinistra è un moto dell’anima e non una collocazione politica. Sarà  così, ma è complesso immaginare una sinistra guidata da tante Teresa di Calcutta. Non convinti della tesi del sindaco di Roma, noi apprezziamo la scelta dei compagni del correntone di dar vita ad un movimento per l’unità  della sinistra. Impresa non semplice per lo situazione difficile della sinistra e della democrazia italiana e per la disistima di cui gode la politica in larghi strati anche popolari.
Da dove riprendere? Certamente la prima operazione non può che essere uno sforzo collettivo per capire che cosa è oggi l’Italia.
E’ tempo di andare oltre le generiche denunce dello stato precario di gran parte della società  italiana. Che il mondo del lavoro dipendente abbia subito negli ultimi venti anni un ridimensionamento nelle condizioni materiali è fuori discussione. Basta guardare ai dati ISTAT o più semplicemente discutere con qualche operaio. Bisogna capire che la catastrofe non riguarda soltanto il mondo dei salariati, anche coloro collocabili dal punto di vista sociologico nel ceto medio impiegatizio o tecnico, hanno perso di ruolo e di capacità  economiche. Anche il mondo delle partite IVA è qualcosa di molto articolato che deve essere indagato per trovare forme di rappresentazione politica esattamente come per l’universo della precarietà  del lavoro.
E’ generica la definizione di lavoratore del pubblico impiego. E’ pagato con denaro pubblico il manager che guadagna oltre duecentomila Euro l’anno per incarico politico, è dipendente pubblico anche il giovane laureato che ne guadagna ventiquattromila con contratto a tempo determinato.
La precarietà  e il sottosalario sono caratteristica del lavoro di tanti giovani occupati nel pubblico impiego come in quello del settore privato. Non è questione soltanto sindacale la contrattualistica inventata dai riformisti negli ultimi anni. Con questa  banale elencazione delle problematiche dei problemi inerenti alcuni dei gruppi sociali che devono essere il riferimento di un partito della sinistra, vogliamo sottolineare l’esigenza di coniugare lo sforzo tutto politico di aggregazione delle sparse membra della sinistra “istituzionale” dopo la dipartita dei DS, con quello di capire il mondo che ci sta attorno.

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