Sono passate tre settimane dalle elezioni e il mondo della
politica è in fibrillazione per la scelta del successore di
Ciampi. Si schierano tutti e tutti danno consigli al
centrosinistra affinchè scelga un candidato apprezzato anche dalla
destra. La storiella del Paese diviso in due continua ad essere
l’argomento con cui editorialisti di centro, di destra e di parte
della sinistra sollecitano l’elezioni di questo o di quello.
Stupisce il provincialismo di columnist di grido. Sono tutti
ammiratori della democrazia americana, ma non sembra che ne
conoscano il funzionamento. Il presidente Bush, eletto con il
trenta percento di voti ha assegnato a repubblicani di provata
fede: la presidenza di Camera e Senato, il presidente e tutti i
giudici della Suprema Corte, i presidenti di tutte le commissioni
del Congresso. Qui si vuole per forza che il presidente della
repubblica sia concordato con Berlusconi. Misteri italiani. In
genere a noi comuni mortali viene lasciato lo spazio che ha il
tifoso della curva nord. E’ anche questa della corsa al Quirinale
una partita truccata come a quanto sembra quelle del campionato?
Qualche sospetto è lecito visto come l’Unione ha gestito e
gestisce la questione degli incarichi di governo e nelle
istituzioni. Tutti si dicono interessati ad un presidente eletto
con vasto consenso, ma è possibile trovarlo questo plebiscito? E’
fattibile convincere Berlusconi a votare per un candidato indicato
dal centrosinistra? Soltanto venerdì scorso in uno sfavillante
comizio a Napoli Berlusconi ha detto: «Apprestiamoci a resistere
alla sinistra, non arretreremo neanche di un passo. In Parlamento
abbiamo i numeri per non far passare leggi che ritenessimo
contrarie all’interesse del paese». Siamo stati scippati di una
vittoria sonante. Abbiamo vinto ma non abbiamo trovato un giudice
a Berlino, come si suol dire, che facesse giustizia e che
controllasse il milione e 100mila schede». Se la lingua italiana
ha un senso il Capo di Forza Italia considera truffatori quelli
dell’Ulivo. Colpisce il silenzio diessino rispetto alla pretesa
berlusconiana di escludere a priori l’elezione di D’Alema perchè
di “storia comunista”. Uno può apprezzare o no l’idea di eleggere
il presidente diessino a Capo dello Stato, ciò che risulta
bizzarro è il disinteresse di Fassino e compagni nel difendere la
storia dei comunisti italiani. Un attacco sostenuto da un
gentiluomo, Berlusconi, nella cui coalizione sono stati ammessi
neofascisti ed altri adoratori della croce uncinata. Visto il
patrimonio di voti, di prestigio e di moralità  che hanno ricevuto
dai dirigenti del passato, un po’ di rispetto i diessini
dovrebbero pretenderlo. I comunisti italiani sono stati tra coloro
che hanno costruito la democrazia italiana. Dimenticarlo è
inaccettabile per milioni di persone perbene.
Che sottobanco la destra faccia sapere che ci sono gli excomunisti
buoni (Napolitano) e quelli cattivi (D’Alema) o che è meglio anche
un excraxiano (Amato), fa parte di questa sorta di gioco dell’oca
che la classe politica perpetua ormai da decenni con gli stessi
giocatori.
Se c’è un partito in difficoltà , questo è quello dei DS.
Una difficoltà  che viene da lontano e frutto anche dei sacrifici
che questo partito ha dovuto subire per consolidare una coalizione
difficile. Se si pensa che, dall’alto del successo elettorale
ottenuto, la Rosa nel Pugno si sente obbligata a mettere il veto
alla candidatura di D’Alema, ci si rende conto del disagio del
maggior partito dell’Ulivo. Un malessere che non è piovuto dal
cielo. Esso è frutto della perdita di un’identità  politica
riconoscibile e non è casuale che soltanto nelle tradizionali
regioni rosse i DS mantengono una consistenza apprezzabile. Il
retaggio del passato ancora funziona. In realtà  la sloganistica
del riformismo non ha risolto il problema del trapasso dal PCI ad
un partito della sinistra europea. La scelta della costruzione
assieme a Rutelli e compagni del partito democratico è, da parti
consistenti dei gruppi dirigenti, subita come ripiego alla
mancanza di qualsiasi piattaforma di rilancio di un vero partito
socialdemocratico.
Esemplificativo è lo stato dei DS in Umbria. Le elezioni sono
andate male per i DS eppure non se ne discute se non in qualche
ritiro spirituale. Per intanto alle prossime elezioni
amministrative del 28 maggio, si vota in alcuni importanti comuni
umbri, nelle candidature l’Unione si è dissolta e anche l’Ulivo
non sta benissimo se a Città  di Castello avremo un candidato
Sindaco diessino e uno della Margherita. Che poi, a Gubbio, non si
è saputa trovare una soluzione unitaria, suona come la conferma
della fragilità  dei rapporti politici nel centrosinistra umbro.
Una spiegazione dovrà  pur essere cercata se si vuol affrontare una
fase particolarmente difficile per la nostra regione. E forse non
si è lontani dal vero quando si riconduce all’autoreferenzialità 
del ceto politico amministrativo la causa vera della pochezza
della politica anche nella nostra terra. Siamo diventati anche noi
artisti del gioco dell’oca.
Corriere dell’Umbria 7 maggio9 2006

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