Un terremoto, un’alluvione, una qualsiasi catastrofe naturale? Dopo i primi pianti e pelose solidarietà , i governi dei decenni passati, per trovare le risorse per affrontare i danni, in genere aumentavano le accise sulla benzina e il costo delle sigarette. Le accise sono un’imposta sulla fabbricazione. Una tassa indiretta, insomma. Una volta messa non viene più tolta. Ancora oggi paghiamo accise per catastrofi avvenute una vita fa. Qualche esempio? 90 lire per la guerra di Abissinia del 1935; 14 lire per la crisi di Suez del 1956;10 lire per il disastro del Vajont del 1963;10 lire per l’alluvione di Firenze del 1966;10 lire per il terremoto del Belice del 1968;99 lire per il terremoto del Friuli del 1976;
75 lire per il terremoto dell’Irpinia del 1980;205 lire per la missione in Libano del 1983; 22 lire per la missione in Bosnia del 1996; 0,020 euro per rinnovo contratto autoferrotranviari 2004.  Forse sono state rimosse soltanto le accise per finanziare l’ultima guerra punica. Comunque sia, il geniale Ministro Tremonti ha miracolosamente trovato le risorse scomparse per finanziare il Fondo Unico dello Spettacolo.  Essendo un fondo creato con legge molti anni or sono, e non rientrando nella categoria del catastrofico, il suo finanziamento dovrebbe essere assicurato attraverso risorse ordinarie e non straordinarie. Essendo un creativo, Tremonti ha pensato bene di trarre insegnamento dal passato, così ha aumentato le accise sulla benzina. Poteva fare altrimenti? Indifferente alle sollecitazioni delle commissioni parlamentari, snobbato i vagiti disperati del gentile Ministro Bondi (ex al momento), Tremonti non ha resistito alle sollecitazioni del Maestro Mutti.
E’ vero che in un momento particolarmente volatile per il costo del petrolio, aumentare la benzina qualche problema lo creerà , ma il cinema, la musica e il teatro meritavano di non morire. Certo, invece che le accise si potevano trovare le stesse risorse unificando la prossima tornata elettorale amministrativa con i referendum, ma questo sarebbe stato rischioso per gli affari del signor Giulio Cesare.
In questo caso l’interesse della destra al potere è quello di impedire che i referendum sul nucleare, sull’acqua pubblica e sul legittimo impedimento, raggiungano il quorum. Parlamento e Governo sono ormai piegati principalmente alle esigenze personali.
In quale democrazia il processo legislativo è determinato da parlamentari la cui professione è quella di avvocati difensori di altri parlamentari accusati delle più svariate malefatte? Sono trentotto le leggi ad personam votate in questi anni. Dietro la balla della riforma del sistema giudiziario c’è esclusivamente la volontà  di impedire che i processi al signor Giulio Cesare vadano in porto. Il resto è propaganda e forse anche i volenterosi del centrosinistra cominciano a capirlo. Forse.
Sarebbe certo utile e necessario che la giustizia amministrativa e penale venga innovata profondamente superando procedimenti arcaici che rendono difficile per la magistratura assicurare una giustizia trasparente ed efficace. Per innescare un processo virtuoso sarebbe necessaria la volontà  di tutti, magistrati e politici, a darsi l’orizzonte dell’interesse generale e non quello del ceto di appartenenza. Difficile immaginare che nel parlamento vigente si formi una maggioranza politica capace di affrontare la sfida dell’innovazione nell’interesse di tutti. Il parlamento dovrebbe essere il luogo dove il processo democratico è gestito da persone che hanno un’idea delle esigenze primarie di un Paese ormai in declino in cui anche le straordinarie risorse, ad iniziare dalle nuove generazioni, vengono giornalmente annichilite dalle oligarchie al potere. Il nostro è un parlamento formato non da eletti dal popolo che al popolo devono rendere conto del proprio lavoro. I nostri sono parlamentari nominati dalle caste politiche ed a queste devono rispondere se vogliono assicurarsi un futuro di prebende varie. L’Italia è tra i protagonisti di un’altra guerra umanitaria. Un intervento militare voluto dall’Onu si dice. La sostanza è che dopo un mese dall’inizio dei sommovimenti libici nessuno conosce quali sono gli obbiettivi reali dell’intervento.
Che un’azione militare venga chiamata “alba dell’Odissea” dimostra innanzi tutto l’approssimazione culturale del generale americano che evidentemente non conosce bene l’opera di Omero. Ma al di là  del ridicolo titolo dell’intervento, quello che emerge è l’inconsistenza politica dell’Europa. Sono almeno sette le posizioni in campo. Il ministro degli esteri dell’Europa comunitaria, la baronessa Ashton, è silente come una trota. In compenso Sarkozy parla molto, assieme a Cameron e come se fossero il generale Bernard Law Montgomery, decidono da soli quando e come attaccare la Libia. La Merkel interessata alle elezioni regionali non si occupa del problema. E’ l’Italia? Dal relativo dibattito parlamentare non si capisce chi vuole eseguire la delibera dell’ONU e chi no. La destra sembra riscoprire il pacifismo.
Con la consueta sensibilità  democratica il capo del governo non ha partecipato alla discussione. Ripetutamente ha esternato la sua sofferenza per le afflizioni dell’amico di merende, Gheddafi.
Frattini, agitatissimo, rimbecca francesi e inglesi assicurando che anche gli italiani hanno qualche idea del che fare in Libia. Quali propositi abbiamo non ci è stato detto.
Non si capisce se l’ombrello NATO invocato dall’Italia sarà  politico o militare. Questi Paesi autodefinitisi volenterosi non sembra abbiano un’idea in comune su come procedere. La politica è veramente messa male. Tra volenterosi internazionali, responsabili nazionali non ci resta che piangere: l’impressione è quella di essere nelle mani di una classe dirigente nazionale e mondiale di una mediocrità  allarmante.
Per fortuna le Regioni e le amministrazioni locali hanno dato la loro disponibilità  ad affrontare con civiltà  la questione dei profughi. Almeno una parte delle istituzioni italiane sembra in grado di scegliere una strada intelligente per affrontare un problema come le emigrazioni che, come evidente, sarà  un processo di portata storica da gestire cogliendone le potenzialità  positive, limitandone i danni.

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