Il libro-intervista di Alberto Asor Rosa titolato “Il Grande silenzio” è un saggio sul ruolo degli intellettuali nella politica italiana. Il libro è di grande interesse e aiuta a capire i processi che hanno portato alla catastrofica situazione attuale. Asor Rosa, intervistato da Simonetta Fiori , rispetto alla fine delle ideologie, afferma:”Ma se l’ideologia è un sistema di ideali e di valori grazie ai quali la politica si è mossa per diversi decenni in vista di interessi generali e di obbiettivi di largo respiro, allora la sua estinzione non è stata positiva”. Quando le grandi ideologie entrano in crisi, la politica si riduce a pura amministrazione. E quando si riduce a pura amministrazione, la gestione della macchina politica prevale sugli obbiettivi che la stessa macchina dovrebbe proporsi. Insomma l’esercizio del potere per il potere, senza alcuna motivazione ideale.”. Conseguenza, l’auto perpetuazione del ceto politico italiano. Sostiene, con ragione, l’intellettuale romano, che non esiste al mondo un ceto politico longevo come quello italiano. Sono sempre gli stessi da decenni:
“Siamo circondati da sconfitti, che si presentano presuntuosamente come i futuri, possibili vincitori. I processi di selezione del ceto politico sono governati dall’alto, con la conseguenza, che esso tende a riprodursi con caratteristiche sempre uguali”¦La produzione e l’autoriproduzione. E l’uomo politico tende a riprodurre dei cloni che sono peggiori di lui, facilmente addomesticabili.”. La lunga citazione mi serve per esprimere una riflessione rispetto al congresso che il PD sta svolgendo in queste settimane. Si è riaperta la discussione tra chi si autodefinisce rinnovatore e coloro che vengono presentati di pura conservazione. E’ un dibattito che è lungo quanto l’infelice storia della così detta seconda repubblica. Diciannove anni sono lunghi eppure non sono stati fatti passi in avanti nella soluzione del problema. Perchè? Perchè è sbagliato il terreno scelto. Mi spiego. La crisi della democrazia italiana si intreccia con il disastro economico innestato dall’avidità  dei liberisti. E’ fuori dubbio che le risposte alla crisi non possono essere che fortemente innovative. Chiunque vincerà  la corsa alla segreteria e chiunque sarà  chiamato a governare la macchina pubblica regionale e locale, dovrà  avere una forte capacità  di fare i conti con il ridimensionamento della spesa pubblica e con le nuove contraddizioni dell’Umbria e dell’Italia. Tremonti può essere apprezzato o no, rimane il fatto che lo stato dei conti pubblici è tanto disastroso da richiedere un nuovo modo di gestire e principalmente avere diverse priorità  nell’azione politica. Un’esigenza imprescindibile per chiunque governi la struttura pubblica. Ciò richiede una eccezionale capacità  di costruzione di valori e ideali adeguati alla bisogna e attorno ai quali organizzare interessi e passione politica per una nuova idea di Paese. Interessa poco una discussione sulla qualità  espressa in questi anni dal centrosinistra nel governo locale. Anche se fosse stata ottima saremo obbligati ad una forte innovazione e a costruire una nuova idea dell’Umbria. Galleggiare nell’esistente, nel già  noto, non sarà  possibile. Ben amministrare sarà  necessario ma non sufficiente. Questo vale per il ceto politico ma anche per le forze sociali e culturali. E’ l’intera classe dirigente che deve costruire e progettare una nuova fase della nostra comunità . Nel sistema produttivo tornano ad emergere le antiche fragilità  e non sembra in grado, così strutturato, di assicurare occupazione per le vecchie e nuove generazioni di lavoratori. La fuga di cervelli riguarda anche la nostra regione.
La tenuta sociale di cui siamo giustamente soddisfatti non ha un futuro assicurato. Quel poco di welfare costruito con tanti sacrifici nei decenni passati, è a rischio. I tagli al sistema sanitario annunciati dal governo sono tali da rendere impossibile il mantenimento dei servizi che invece necessitano di risorse aggiuntive. E si potrebbe andare avanti con i disastri annunciati. Basta pensare a ciò che sta succedendo nella scuola e nell’Università  per provare qualche brivido sulle prospettive del Paese.
Sarebbe stato utile se nel congresso del PD di queste cose si fosse parlato. Non è stato così e la discussione si è incentrata sui pregi e difetti dei candidati. Sinceramente, con tutta la buona volontà , non è stato possibile appassionarsi. Il cervellotico sistema scelto dagli scienziati della politica che hanno costruito lo statuto del PD sta producendo lacerazioni e un attitudine al trasformismo che dureranno nel tempo. Una specie di guerra civile in cui non si fanno prigionieri. Con tutto il rispetto, il popolo del centrosinistra meritava qualcosa di diverso. Altre le aspettative per il nuovo partito.
Nessuno ne parla, non coinvolge nessuno, se non gli addetti ai lavori, la discussione attorno alla legge elettorale regionale. Che le istituzioni democratiche abbiano qualche problema di rapporto con il popolo è cosa certa. Che il problema possa essere risolto attraverso una legge elettorale che prevede ancora una volta i nominati dai partiti, attraverso i listini, e il restringimento della rappresentanza politica con soglie di sbarramento incomprensibili in presenza di premi di maggioranza, sembrerebbe una sciocchezza. Ma di sciocchezze in questi anni ne sono state fatte moltissime si dirà , ma perseverare imponendo un’altra legge elettorale tagliata a misura del ceto politico in campo, se per molti può apparire la conferma che al peggio non c’è mai fine, per altri sarà  legittimo, per il bene della democrazia, sedersi sulla riva del fiume ed aspettare il passaggio di un ceto politico che, smarrito l’orizzonte dell’interesse generale, e sempre più volto a guardare il proprio ombelico, ad un certo punto affonderà  travolto dalle proprie lotte intestine. Consigliabile la pazienza e l’ironia.

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