Poteva essere una catastrofe. L’intervista di Piero Fassino al
giornale del suo amico dell’infanzia politica torinese, Giuliano
Ferrara, era di tale gravità da lasciare aperto qualsiasi scenario
per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella sua
creatività il segretario diessino sollecitava un voto favorevole
della destra sulla base di quattro punti programmatici che il
candidato D’Alema avrebbe dichiarato. Una follia istituzionale a
sentire costituzionalisti di fama o il senatore Scalfaro.
Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che il
presidente della repubblica non ha né può avere un programma, ma
deve rispettare soltanto il vincolo del dettato costituzionale.
L’invenzione fassiniana, per fortuna, è durata lo spazio di un
mattino. Resta inevasa la domanda del perché di questa caduta
politica. Si può ipotizzare che si sia trattato di un errore
commesso per ingenuità? La cosa non ha più rilevanza. Saggiamente
D’Alema ha cercato di non bruciarsi ulteriormente e ha lavorato
per candidare Napolitano. Bene, anzi molto bene. L’eletto
presidente della repubblica è persona apprezzabile per molti
aspetti. Ad esempio è un ex comunista che pur riconoscendo gli
errori compiuti dal PCI, non ha abiurato, non è un pentito della
sua storia. Vi paresse poco in una stagione in cui dominano i
tanti convertiti sulla via di Damasco. Soltanto la cecità politica
dei berluscones ha impedito che il Presidente fosse eletto a più
larga maggioranza. Il carattere, la qualità istituzionale di
Napolitano rassicurano sulla sua capacità di essere al di sopra
dei settarismi di parte. Berlusconi non lo ha capito, ma ci vuole
pazienza. Con il tempo capirà di aver perso le elezioni e la
storiella dei brogli potrà continuare a raccontarla soltanto a
Bondi e Cicchitto. Presidente della Repubblica soltanto della
maggioranza? La cosa non mi appassiona più di tanto ed è anzi la
conferma che il centrosinistra, se vuol governare nell’interesse
del Paese, deve avere una sua linea politica aperta al contributo
di tutti, ma ferma nei suoi punti essenziali.
Adesso si tratta di formare il governo. Sembra tutto fatto. Il
popolo è in ansia di sapere se il grande Rutelli sarà oltre che
ministro anche vice-presidente. Forse Prodi dovrebbe esercitare la
funzione che la Costituzione gli affida. E’ il capo del governo
che sceglie i ministri: non c’è logica politica che imponga una
vice presidenza rutelliana. Si tratta soltanto di ambizione
personale. D’Alema ha fatto passi indietro importanti. Fassino,
bontà sua, ne ha fatto un altro. Potrebbe per una volta farne uno
l’ex-radicale? Non è che abbia un curriculum di così travolgenti
successi politici da richiedere particolari medaglie. Lo stesso
ultimo risultato elettorale non appare come un torrente di voti
per la Margherita. Non è tempo che i vari oligarchi cessino di
preoccuparsi delle proprie posizioni di potere?
Prodi se ci sei batti un colpo, è tempo.
E qualche colpo dovrebbero battere anche i dirigenti dell’Unione
in Umbria. Le cose non vanno benissimo nelle istituzioni locali.
Gli scadenti risultati elettorali ne sono un segno. La crisi del
sistema pubblico è nelle cose. Meno risorse e meno capacità
progettuale. L’impressione è quella di enti che negli anni hanno
visto il crescere delle spese per il proprio mantenimento rispetto
a quelle per gli investimenti. La diminuzione delle risorse
comunitarie renderà problematica qualsiasi azione d’innovazione.
Gli ottimi rapporti, consolidati attraverso i molti viaggi
all’estero dei nostri amministratori, con le grandi finanziarie
giapponesi, americane, sudamericane e svizzere, non hanno portato
grandi risorse in Umbria. Dove trovare i mezzi per affrontare le
problematiche dell’Umbria? Forse cominciando a risparmiare nella
spesa corrente.
Sembrerebbe obbligatoria una marcia indietro rispetto al processo
di “entificazione” dei problemi che abbiamo vissuto per decenni.
Quanti enti, aziende, strutture vivono attraverso i contributi
pubblici? Non esistono ricerche al riguardo. La stagione della
“regione leggera” ha prodotto qualcosa, magari dei frutti OGM?
Nemmeno quelli.
Si parla, ormai da anni, di riformare gli apparati pubblici verso
una semplificazione istituzionale capace di produrre maggior
efficacia, maggior trasparenza e minori costi di gestione.
Le proposte sono tante: terza provincia, quattro circondari ecc.
ecc.. Processo non facile. Interessi legittimi dei vari territori
si intrecciano con localismi inammissibili e con egoismi
personali. Quello che si avverte con nettezza è l’esigenza di
costruire una proposta che prescinde dall’interesse immediato del
ceto politico. Abbiamo a che fare con una classe dirigente che
vive un eterno presente senza radici che ha in testa come unica
cosa futura interessante la prospettiva personale. Esangui i
partiti politici, rimangono le lobbies, le famigliole e i clientes
del territorio. Ognuno si fa il programma per il prossimo incarico
senza che ci sia luogo dove si progetti l’interesse complessivo di
un partito, di un movimento, di una coalizione. Che in una
situazione come questa ci si illude di aggregare le forze
riformiste in un unico partito, dimostra che, nei nostri eroi,
all’ottimismo della volontà si è sostituito l’ottimismo
dell’intelligenza. E non è buona cosa.
Corriere dell’Umbria 14 maggio 2006

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