Anno nuovo, politica nuova? No. Si ricomincia il “Gioco dell’Oca”. Sono una ventina d’anni che la politica si arrovella su come cambiare il sistema democratico avendo come unico obbiettivo quello di assicurare una governabilità  forte ai governi. commissioni bicamerali, referendum, riforme dei ministeri e della presidenza del consiglio, leggi elettorali le più fantasiose si sono susseguite negli anni sfibrando la democrazia italiana. E adesso si ricomincia. Dimentichi del risultato dell’ultimo referendum costituzionale, Amato e riformisti di destra, di centro e di sinistra vogliono modificare insieme la pessima legge elettorale imposta da Berlusconi subito prima delle ultime elezioni politiche. Con entusiasmo il cavaliere di Arcore ha aderito alla proposta Amato: facciamo una bella convention e decidiamo le modifiche da apportare alla “mia” legge e poi avanti tutti assieme appassionatamente nelle altre riforme istituzionali. Così si fa felice anche il presidente Napolitano.
Che la legge debba essere modificata è giusto, è il come che lascia perplessi. Il popolo italiano nel giugno scorso ha confermato la volontà  di voler vivere in una repubblica parlamentare. Il presidenzialismo insito nella controriforma berlusconiana è stato respinto con un referendum. Come concilia il ministro Chiti quel voto con la proposta del “sindaco d’Italia”? Si vuol nuovamente una discussione per modificare la Costituzione? Il sistema elettorale in vigore per le regioni, se applicato nelle elezioni politiche, comporta una modifica costituzionale e il ministro dovrebbe saperlo. E dovrebbe essere spiegato perchè soltanto Israele, un paese in guerra permanente, prevede l’elezione diretta del primo ministro. Se si vuole una repubblica presidenziale lo si dica con chiarezza senza cercare mistificazioni che servono soltanto a perpetuare la classe politica al potere.
Altrettanto intollerabile è il fatto che tutti i piccoli partiti della coalizione dell’Unione mettano, nella discussione sulla legge elettorale, paletti tali da rendere impossibile ogni cambiamento. Le bandierine che alzano i vari Pecoraro Scanio, Mastella,Di Pietro, Diliberto e Giordano sono ormai simboli logori che mobilitano soltanto i clientes elettorali e non aiutano affatto la riqualificazione della democrazia rappresentativa. Possibile che la sinistra-sinistra non riesca a trovare il modo di mettere insieme le forze che ancora votano per partiti alternativi al modello economico-sociale voluto dal liberismo? Come non vedono e non sentono crescere nel Paese una disaffezione alla politica frutto del modo di essere delle formazioni politiche anche della sinistra?
La stessa discussione attorno al partito democratico avviene nella genericità  più assoluta. In Italia si dichiarano riformisti quasi tutti. Ds, Margherita, Forza Italia e così elencando. Non è tempo di esplicitare e aggettivare la parola riformismo? Cosa e come riformare dovrebbe essere ormai chiarito. La discriminante non può essere soltanto l’adesione o meno all’Internazionale socialista. Deve essere chiarita innanzitutto la funzione del partito che si vuole mettere in campo in sostituzione di quelli esistenti, ma anche quale forma di democrazia si ha in testa di costruire considerando il pessimo stato di quella esistente.
Rimossi da anni ormai i timidi tentativi di una democrazia della partecipazione, anche il centrosinistra si è adattato alla democrazia della delega. Ogni cinque anni si vota per candidati scelti dalle oligarchie di partito, poi tutti a casa a tifare per i nostri eroi impegnati nei reality show televisivi. Non è tempo di cambiare?
Consiglio la lettura di un saggio: “La democrazia che non c’蔝. Lo ha scritto uno storico inglese, Paul Ginsborg, che vive e insegna in Italia da moltissimi anni. Nel frontespizio c’è scritto: “la democrazia è un sistema mutevole e insieme vulnerabile. Per rivitalizzarla oggi è indispensabile connettere rappresentanza e partecipazione, economia e politica, famiglia e istituzioni”. Che bellissimo incipit per i riformisti e anche per la sinistra radicale.

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