Quando il futuro di una società  diventa incerto si è portati a
pensare a meccanismi salvifici. Certi slogan e certe parole
divengono abusati in tutti gli ambienti e in tutte le
conversazioni. Ad esempio si parla con un politico che ti spiega i
meriti dell’innovazione esattamente come può fare un imprenditore
o un dirigente pubblico. Poi quando si cerca di approfondire il
discorso il politico sfugge verso la critica a Berlusconi e/o
Prodi, l’imprenditore ti parla del costo del lavoro e il dirigente
dell’ultima stupidata dell’assessore al ramo.
L’innovazione sembra essere un po’ come il riformismo, troppo
frequentemente una vuota enunciazione del niente.
Tutti sono riformisti e tutti vogliono innovare senza spiegarti
cosa, perchè, come e con quale obbiettivo. Nessuno ti dice per
quale ragione dovresti essere entusiasta se il tuo lavoro da fisso
diviene precario o per quale motivo dovrebbe essere entusiasmante
il fatto che la farmacia comunale viene privatizzata a vantaggio
del Dottor Sempronio. Nessuno ci ha spiegato perchè da venti anni
è necessario per il ceto politico di destra, di centro e di
sinistra, cambiare una Costituzione, la nostra, che in tutto il
mondo è ritenuta avanzata e civile e il cui unico vero limite sta
nella sua non applicazione.
In realtà  dietro la sloganistica dell’innovazione e del riformismo
sembra esserci il vuoto assoluto. Prevalgono così le ricette
ideologiche della destra nonostante che l’intero mondo stia
subendo i limiti del liberismo selvaggio.
Nella pubblica amministrazione, ma non solo, non è facile
riformare. Per farlo bisogna rimettere in discussione poteri e
consuetudini radicati. Ricordo una violenta discussione negli anni
ottanta quando si tentò di modificare la forma enfatica di tutte
le strutture sub-regionali esistenti in quegli anni a partire
dalle comunità  montane. Non si riuscì a modificare molto per la
resistenza di apparati e di interessi particolari che il ceto
politico di allora non ebbe la forza di contrastare.
Negli anni novanta si impose la filosofia dell’aziendalizzazione e
brillò, per una sola estate, la dottrina della “regione leggera”.
Sarebbe interessante una ricerca che valuti i costi per la
pubblica amministrazione dei processi che hanno ridotto il ruolo
della politica nella gestione della cosa pubblica a vantaggio dei
manager e di una concezione economicista della presenza pubblica
nella società . Non si sa di quanto, ma certamente gli enti, le
agenzie e le aziende pubbliche sono aumentate ed i costi
gestionali sono esplosi. E il rapporto costi/benefici? Meglio non
parlarne. Dimostrare il contrario sarebbe impresa ardua. La strada
maestra è quella dell’innovazione nel modo di produrre servizi e
beni pubblici. Ne parlano tutti ma concretamente gli enfatizzati
processi innovativi sono realtà  marginali. Chi ci prova ad
innovare veramente si scontra con incrostazioni e privilegi
arcaici che la classi amministrativa e politica non riesce a
rimuovere. Da cosa dipende? Il sistema politico ha prodotto un
localismo arcaico che a sua volta costruisce califfati e feudi che
rendono vani gli sforzi di riforma della struttura pubblica. In
tutti i settori della nostra comunità  non abbiamo a che fare con
una classe dirigente composta da poderosi combattenti. Le stesse
forze sociali sembrano disinteressate ad un processo riformatore.
Anche se non mancano forti personalità  nella politica o nella
economia, il galleggiamento sembra essere l’arte preminente. Non
deve meravigliare l’attitudine della classe politica ad una sorta
di timore nei confronti delle burocrazie e dei manager. La
subalternità  della politica all’economia e l’aziendalizzazione di
tutto è un consolidato processo mondiale dal quale noi umbri non
siamo alieni.
Nonostante il potere politico stabile della sinistra e del centro
democratico, anche da noi prevale una concezione contabile
dell’intervento pubblico.
Forse bisognerà  incoraggiare i nostri dirigenti mostrando loro
realtà  che sembrano non conoscere o che sottovalutano.
Ad esempio, anche in Umbria esistono imprese che sarebbero capaci
di contribuire all’innovazione del sistema istituzionale,
economico e sociale dell’Umbria. Basterebbe aprire gli occhi e si
scoprirebbero imprese della nostra regione incentrate su giovani
che hanno idee e competenze adeguate alla bisogna e che già  oggi
competono, a livello nazionale, in gare e appalti di questo o
quell’ente o di società  private.
Necessiterebbe trovare il modo di accompagnare queste esperienze
nel loro processo di crescita partendo da una certezza: la
struttura pubblica ha bisogno di essere concretamente cambiata.
Nessun mercato protetto, ma disponibilità  a riformare veramente la
struttura amministrativa. Per farlo necessita trovare le risorse,
ma anche di motivare adeguatamente le forze sociali e gli apparati
degli addetti ai lavori. Da questo punto di vista il sistema
retributivo vigente nella pubblica amministrazione è semplicemente
paradossale. Lo scarto tra lo stipendio del livello più basso e
quello del dirigente è quanto di più disincentivante ci possa
essere.
Per cambiare le cose ci vuole molta capacità  politica e molta
disponibilità  a uscire dai meccanismi del consenso a tutti i
costi. Non guasterebbe una certa curiosità  a guardare fuori dai
confini del proprio ente e del proprio territorio. Nelle sue
dichiarazioni programmatiche la presidente Lorenzetti ha
sottolineato con giusta enfasi l’esigenza della riforma della
pubblica amministrazione. Tanti auguri. Come è noto anche da noi
il sindacato più forte è quello dei presidenti. Accorpare enti e
tagliare posti di comando è difficile quasi come evitare l’ultima
barzelletta di Berlusconi.
Corriere dell’Umbria 17 luglio 2005

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