L’accoglienza è stata definita tiepida e gli applausi di pura
cortesia. Eppure il governo Prodi era andato con le migliori
intenzioni: diciotto ministri, un esercito di sottosegretari
presenti in aula. Questa dimostrazione trasbordante di attenzione
non è bastata ad ottenere fiducia all’assemblea annuale della
confindustria. Perchè? La nostalgia di Berlusconi premier? E’
possibile. Ma ad una analisi più attenta si può ritenere che la
manifestazione confindustriale sia stata l’ultima dimostrazione
della volontà  dell’economia di rendere ancora più subalterna la
politica. Che si vuol dire? Che l’Italia non se la passi bene è
evidente a tutti. Non è chiaro di chi sono le responsabilità . Lo
scaricabarile è uno sport molto amato nel nostro bel Paese. Tutti
della politica i ritardi e le insufficienze? Sembrerebbe strano.
Qualche contributo al disastro, certificato dall’ultimo rapporto
ISTAT e dai giudizi delle agenzie di rating, lo hanno dato anche
le forze sociali della nazione. Non è così?
Pur con i vincoli di una legislazione che non favorisce lo
sviluppo, c’è da chiedersi se la classe dirigente imprenditoriale
ha svolto in questi anni il ruolo che ad essa compete per lo
sviluppo del Paese. Porsi questo quesito è legittimo. Ed è giusto
anche valutare se Montezemolo e gli industriali del Nord-Est
possono imporre la loro visione delle cose a chi è chiamato a
governare l’Italia nell’interesse di tutti e non solo di una parte
pur importante. Non è da tutti accettato quale unico valore di una
società  il primato del profitto d’impresa. Non è legge divina la
pretesa di chiedere il libero mercato e le privatizzazioni
all’italiana per poi pretendere il sostegno dell’intervento
pubblico a favore delle imprese. Il regime fiscale vigente non
favorisce affatto gli investimenti produttivi e non premia nè il
lavoro nè l’imprenditoria più dinamica. E’ vero e bisogna
intervenire per risolvere il problema. La proposta di Prodi di
ridurre le tasse sul lavoro a vantaggio di lavoratori e imprese è
una proposta su cui impegnare governo e forze della produzione.
Non basta? Probabilmente no, certamente c’è anche da approfondire
il perchè si è consolidata negli anni una scarsa capacità  di
innovazione del “sistema Italia” per ciò che concerne la presenza
nei mercati esteri. Tutta colpa della pessima politica di questi
anni? Non è così, ma se così fosse bisognerebbe ricordare la
passione dell’ex presidente della confindustria, D’Amato, per il
nascente governo del centrodestra guidato dall’industriale
Berlusconi. Il governo “amico” non ha aiutato l’industria a
crescere, ma il problema è più complesso dei limiti di Berlusconi.
Che la Confindustria non abbia voluto fare un bilancio veritiero
dell’esperienza governativa di Berlusconi non aiuta a comprendere
le cose da fare per uscire dal declino nè paiono convincenti le
richieste di tagli alla spesa pubblica. Dove tagliare? I servizi
al cittadino sono già  scadenti. Sanità  e pensioni già 
ridimensionati. La scarsità  delle risorse investite in ricerca ed
innovazione di prodotto è uno dei motivi della crisi del made in
Italy. Lo dicono tutti, ma nessuno ha fatto nulla per risolvere il
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problema. L’insufficienza egli investimenti nel futuro va
aggiunta alla storica debolezza delle grandi infrastrutture e dei
servizi all’impresa a cominciare dal sistema creditizio. Da questo
punto di vista nessuno può dare lezioni. Tutti hanno rinviato i
problemi. E’ tempo che ognuno faccia il proprio mestiere al meglio
e possibilmente guardando all’interesse generale.
Da questo punto di vista è impressionate il torrente di
dichiarazioni dei nuovi nostri governanti. Come “Allegre comari di
Windsor”, ministri, vice ministri, sottosegretari, presidenti di
gruppi, segretari dell’Unione, ci hanno sommerso di dichiarazioni
su tutto e di tutto di più. Pagine e pagine di giornali piene di
chiacchiere inutili. La marmellata della politica in televisione
non è cessata dopo le elezioni. Come se niente fosse alcuni leader
hanno ripreso il loro ruolo di attori televisivi. Stesse battute,
stessi tic, stesse ovvietà . Solo Prodi ha detto un bel No al
padrone di Porta a Porta. La confusione era tanta che Prodi è
dovuto intervenire per richiamare all’ordine la sua armata di
esternatori del nulla.
Per natura non sono per “un solo uomo al comando”, una coalizione
rappresenta interessi e sensibilità  diverse che non possono che
essere rappresentate. Possibilmente con misura, serietà  e
intelligenza. Il problema è banale: in giro per l’Italia c’è un
signore, Berlusconi, che continua nella sua campagna di
delegittimazione del governo Prodi. Non riconosce la sconfitta e
si ritiene truffato. Lui. L’esigenza per tutti dovrebbe essere
quella di mettere all’opera una compagine di governo che dia il
senso di una svolta profonda rispetto ai comportamenti dei
berluscones. Se Berlusconi minaccia una nuova “marcia su Roma”, la
saggia risposta è dimostrare al Paese una capacità  di concrete
scelte coraggiose e radicali che diano fiducia alla gente. Il
centrosinistra non può aver timore se le piazze si riempiono di
cittadini. La democrazia per la cultura della sinistra è anche
l’agorà . Il limite della classe dirigente politica è stato ed è
proprio quello di marginalizzare il tema della democrazia di
massa. Ad un mese dal referendum confermativo sulla “riforma” che
distrugge la Costituzione i grandi leader dell’Unione non sembra
abbiano alcuna intenzione di mobilitare la gente in difesa della
Carta costituzionale. Se i Sì vincessero il referendum il governo
dell’Ulivo farebbe finta di niente? Il disegno destabilizzante del
cavaliere si compirebbe e qualche problema per la democrazia
italiana ci sarebbe. Pensarci in tempo sarebbe utile.
Corriere dell’Umbria 28 maggio 2006

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