Grande la letizia tra il popolo per la gioia che prova il Pontefice per il nuovo clima politico del Paese. Apprezzata la nuova stagione di dialogo tra le forze politiche che siedono in Parlamento, il Papa ha precisato le priorità  della Nazione e, last but not least, rivendicato ulteriori finanziamenti alle scuole cattoliche. Il gentile Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del consiglio, ha definito quello del Papa, un buon viatico per il lavoro del governo. Ed ha ragione.
L’apprezzamento pontificio non è cosa di tutti giorni e con ragione il popolo della libertà  esulta, mentre i vari leader assicurano che il “programma” dettato dal Vaticano sarà  attuato. Il Partito Democratico osserva un rispettoso silenzio. Soltanto Pannella e pezzi della sinistra extraparlamentare, rivendicano il valore della laicità  dello Stato. Ma sono minoranze che poco incidono nel concreto svolgersi delle scelte politiche del Paese.
A leggere i giornali non sembrerebbe proprio che il clima politico sia entusiasmante. Episodi di xenofobia si mescolano quasi quotidianamente ad una sorta di giustizia fai da te che rende precaria la vita non soltanto agli immigrati clandestini, ma anche a quelli che clandestini non sono. L’italica creatività  ha prodotto, unico Paese in Europa, le ronde a salvaguardia della sicurezza e del decoro delle città . Non succede soltanto nelle città  amministrate dalla Lega. Le ronde sono patrimonio anche di alcune amministrazioni di centrosinistra a conferma che è sempre più difficile capire dove sta la destra e dove la sinistra. Il ritardo con cui la sinistra ha avvertito l’esplodere della questione sicurezza è stato uno dei motivi della sconfitta elettorale. Si può anche arrivare in ritardo nel capire un’emergenza, ma la cosa che più angoscia è l’incapacità  del centrosinistra di dare una risposta diversa da quella della tolleranza zero, all’ondata di immigrazione che sconvolge anche l’Italia.
Gli studiosi sostengono che il 2% del prodotto interno lordo sia dovuto a lavoratori clandestini. E’ noto che senza il lavoro degli immigrati interi settori dell’economia si fermerebbero al Nord, al Centro, al Sud del Paese. La cronica carenza di servizi sociali a sostegno delle famiglie è sdrammatizzata dal lavoro di assistenza di lavoratori e lavoratrici provenienti da tutto il mondo. L’Italia ha bisogno di questa forza lavoro ma nessuna politica di integrazione è stata fino ad oggi capace di dare dignità  a questi uomini e donne.
Nella mia giovinezza politica sono andato spesso ad incontrare le comunità  di italiani sparse per il mondo. L’Umbria è stata terra di emigrazioni massicce e soltanto nel 1972 ha recuperato gli abitanti del 1953. Non erano esperienze allegre quelle del lavoro politico tra gli emigranti del Belgio, della Svizzera o dell’Argentina. L’emigrare è drammaticamente triste e spesso non basta trovare un lavoro decente per superare il disagio della lontananza dalla propria terra. Quanti umbri, veneti, friulani, calabresi sparsi in ogni angolo del globo che negli anni sono divenuti classe dirigente in Paesi lontani. La memoria di quel travaglio che svuotò tante nostre città , dovrebbe essere insegnata nelle nostre scuole. Forse aiuterebbe ad affrontare con maggiore saggezza la problematica di un processo, le ondate migratorie, che ci preoccupa anche perchè difficilmente arrestabile. Se non mutano i rapporti economici tra Paesi ricchi e Paesi poveri la speranza di una vita migliore continuerà  a spostare milioni e milioni di uomini e donne verso l’occidente ricco.
I processi di integrazione dei nostri emigranti si differenziava molto da zona a zona. I problemi erano molti, ma dappertutto era sottolineata un’esigenza primaria da soddisfare. Impossibile qualsiasi integrazione in mancanza del diritto al voto.  Amministrativo innanzi tutto ma spesso anche il voto per le elezioni politiche. Giustamente si rivendicava il diritto a partecipare al processo democratico come condizione decisiva per l’inserimento nella società  ospite.
Il diritto al voto è diritto primario in una società  democratica.
La guerra di indipendenza americana, tra coloni e Inghilterra, scoppiò a causa di un problema di tasse.
No taxation without representation. Niente tasse senza una rappresentanza politica. Questo fu lo slogan che portò alla dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776 di un popolo fatto di immigrati da tutte le parti del mondo.
In gran parte dei Paesi occidentali chi paga le tasse partecipa anche alla vita democratica e al di là  della nazionalità  vota per scegliere i propri amministratori e politici. Perchè in Italia no?
Perchè il centrosinistra non è andato oltre, e soltanto in pochi casi, al permettere l’elezione di un rappresentante degli immigrati in consiglio comunale?
E’ da estremisti sostenere il diritto al voto di persone che lavorano e pagano le tasse esattamente come gli italiani?
Sinceramente capisco poco le chiusure leghiste, ma rimango stupito dalla sottovalutazione del problema che riformisti e sinistra, hanno del ritardo italiano rispetto al diritto al voto di coloro che vivono e producono ricchezza in Italia.
Speriamo che l’elaborazione del lutto per le elezioni perdute non duri a lungo per i riformisti e per la sinistra. E che all’interno del clima che ha reso gioioso il Pontefice ci sia spazio per una discussione seria su come dare sicurezza ai cittadini italiani favorendo nel contempo un’integrazione con gli immigrati.
Sono persuaso che essi rappresentano non un problema ma una straordinaria ricchezza per il Bel Paese.

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