Il Forum “C’è vita a sinistra” (il manifesto, 8 luglio) ha avuto il merito di mettere finalmente di fronte alcuni interpreti potenziali della costruzione di una lista di sinistra e forse, obiettivo ancor più ambizioso, di un processo unitario, facendoli interloquire direttamente.

Cosa che prima era avvenuta solo a distanza e in modo separato. Il guaio è che con qualche variante è ancora quello che sta accadendo ora.

Le chance «da uno a dieci» di avere una «lista si sinistra capace di raccogliere il consenso di quei milioni di ex elettori che non votano più» – la domanda iniziale del Forum – sembrano assottigliarsi. C’è bisogno del classico colpo di reni e sarebbe bene avvenisse prima della cesura estiva, tracciando fin d’ora un road map che ci metta al sicuro da indecisioni e tentennamenti autunnali, che sarebbero letali.

I singoli hanno le loro responsabilità, passate e presenti, anche per quella sorta di irrigidimento autodifensivo generato da debolezza, ma sarebbe ingeneroso e fuorviante fermarsi a questo. Il nodo da sciogliere è che cosa si vuole ottenere con una presentazione elettorale. Va detto con nettezza che la posta in gioco non è il governo del paese. Dirlo con onestà non allontanerebbe voti. Anzi. Un obiettivo di simile natura è completamente fuori dalla portata di ciò che esiste a sinistra.

Non è poi così banale affermarlo, dal momento che dietro la ripetitività della formula del cosiddetto nuovo centrosinistra, si cela l’ambizione se non la convinzione della possibilità di ricoprire ruoli di governo seppure in forma subordinata. Un senso di responsabilità completamente travisato. Anche quando ce ne si rende conto, poi lo si nega nel passaggio successivo.

Ad esempio, D’Alema – persona attenta con le parole – afferma nel forum che la domanda è “volete o no che ci sia la sinistra?” Giustissimo, è esattamente questo l’interrogativo che dovremmo porre al nostro potenziale elettorato. Riguarda sia una lista che un eventuale soggetto politico. E’ un interrogativo che
segna un’epoca, proprio perché la risposta è tutt’altro che scontata. Quindi ci si dovrebbe presentare a un simile appuntamento con l’intelligenza dell’umiltà che non significa affatto la dismissione di ruoli e responsabilità ma la loro giusta riconsiderazione alla luce delle attuali condizioni.

Ma poi lo stesso D’Alema ripropone il centrosinistra, la “bandiera gettata nel fango” da Renzi, negando quindi l’assunto iniziale. Invece qui bisogna scegliere. O si lavora per ricostruire una sinistra, di cui il passaggio elettorale può essere un primo atto, oppure ci si prepara ad essere come l’intendenza che segue e a un più che probabile fiasco elettorale. Obiettivo, esiti e credibilità della lista vanno assieme. Se non è chiaro il primo non si ottengono gli altri e viceversa. D’altro canto in questi dieci giorni – guardando per ora solo lo scenario nazionale, ma con la consapevolezza che agiamo in un ambito europeo interdipendente chiamato anch’esso tra meno di due anni a elezioni – alcune cose si sono venute chiarendo.

Se qualcuno avesse avuto qualche dubbio sulla vocazione centrista con sguardo fisso a destra del Pd – ed è la definizione più tenera – se li è potuti togliere. Basti pensare alla vergogna della rinuncia allo ius soli o alla stessa ipotesi di agitare la carta dell’allontanamento del fiscal compact per abbassare le tasse anziché per rilanciare la spesa sociale e per investimenti, malgrado si sia coscienti, o si dovrebbe esserlo, che gli effetti reflattivi della prima scelta sono ben inferiori alla seconda. Mentre la repentina conversione destrorsa del M5Stelle libera forze in attesa di una credibile rappresentanza che non andrebbero deluse.

La stessa rinuncia di Pisapia a candidarsi alle elezioni – un episodio in sé minore – è sintomatica di una irrisolta identità e autonomia. Era già chiara la differenza fra il Brancaccio e Piazza Santi Apostoli. Il primo era percorso dalla domanda “cosa proponiamo?”, la seconda da “chi siamo?”.

Questioni di per sé non confliggenti, ma che necessitano un ordine di percorso (crono)logico-politico per essere risolte. Per questa ragione conviene partire dal Brancaccio e necessita una maggiore e tempestiva presa di responsabilità da parte di chi vi ha dato vita e vi ha partecipato.

I tempi sono brevissimi e impietosi. A quell’appuntamento sono seguite assemblee di territorio e altre ne seguiranno. Così pure approfondimenti tematici. Come si vede una scelta ben diversa da quella di improbabili primarie non si capisce fra chi, con chi e per cosa, alla ricerca del nuovo o del perduto leader.

L’esperienza di altri paesi europei ci dice che non esiste un’unica formula o un modello di percorso per dare o ridare vita a una sinistra. Ma un principio di base, sì. Un principio che rifiuta di essere confuso con un generico e indistinto populismo, considerando quest’ultimo come un terreno di lotta fra destra e sinistra.
Sul tema dei migranti questo è di una chiarezza solare. Ed è il legame dialettico, cioè non monodirezionale, con persone e figure sociali, diffuse e/o organizzate, portatrici di pensiero, di idee, di bisogni, di diritti.

Solo questo può evitare la frantumazione sia del giorno prima come del giorno dopo la scadenza elettorale.

Certo ci vuole coraggio. E il coraggio non ama modelli né continuismi: è sempre originale.
Alfonso Gianni
il manifesto 18 Luglio 2017

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